mercoledì 15 gennaio 2020

Clochard - parte seconda

 
 
Clochard - drammaturgia Eloisa Guidarelli - seconda parte -
 
 
 
Ettore – E tu donna barbuta ce l'hai un uomo? Ce l'avrai avuto un uomo.
 
Gretel – Certo che ce l'ho avuto. Ce ne ho avuti tanti. Quando ero giovane lavoravo a un villaggio, un centro naturista in Corsica. (pausa) “La chiappa”. (pausa) E lì mi sono innamorata di un francese, se sento ancora una parola in francese mi calo le mutande e piscio qui, sulla strada. Ma io non ce l’avevo con i francesi, prima. Prima di fidanzarmi con quello. Ora vorrei essere un cecchino nella macchia e farli cadere uno a uno. Ero troppo autentica, troppo vera, non ero così mielosa, affettata e neanche così stronza. E’ che quelli l’odio te lo tirano fuori, si impegnano finché tu all'ennesimo “Salut" gli tireresti un gancio in bocca. Steso. Ci passo sopra. Sembra che hanno fatto la storia, non sono una che si censura ma stavolta è il caso. Ho una rabbia dentro, vorrei avere quei sacchi che hanno i pugili, con una sua foto grande tutto il sacco ed esaurirmi a forza di calci e pugni. Meglio dell’orgasmo. E dovere sentire quelle frasi: "l'unico amore è quello della mamma" a me, a me che lo amavo! "per una donna, una donna è solo affetto - ribadiva - tu sei una donna, solo una donna non una madre” , cosa, cosa? Gli faccio io, speak English, Italian o speak cazzate? E’ venuto fuori questo concetto, capito? Roba da prendere la propria passera, metterla in un beauty e portarla via con il resto degli affetti personali. Montarla in un altro giorno, con un altro uomo. Cominciavo a capire che tra noi andava meglio quando per via della lingua non capivamo un cazzo. Ma l’ho imparato il francese, perché aiuta sapere una lingua, sì. Guarda qua! Dipende per fare cosa (ride sguaiatamente). Quando vai con uno straniero hai questa enorme libertà, non capire quello che dice, che è come dire la pace. Tu Mosè capivi il tuo uomo, parlavate la stessa lingua, lo credo che ti butti in mare. Insomma ci sono i ruoli, tu sei donna e non sei madre e se tu sei madre non sei donna! Allora, la prima l’ho capita, la seconda mi ha fatto vedere rosso come i tori! Mi è passato il 68 davanti, ho visto bruciare il reggiseno e penso persino di essermi rivolta alla Madonna da non credente, per chiederle se avevo capito bene (pausa, ci riflette sopra)
 
 Vabbeh magari è vero...
 
Ettore – Ti ha risposto così la Madonna?
 
Gretel – Ettore tu sei così scemo che commuovi! E’ che il mio uomo aveva quel cinismo, quel dire “mi avete fregato, ho sofferto e per dispetto non amo più” Ma allora sei morto tu! Un idealista morto non serve, un amante morto in altri letti non serve, quindi dì al tuo sesso "alzati e cammina”! E' che l'uomo ha il cervello nell'uccello e non può soffrire, l'unico modo per colpire un uomo nel profondo è un calcio nei coglioni! Che fai Mosè piangi? Ma non vale per te, tu hai il cuore di una donna, anche la testa, tu hai solo il sesso dell’uomo ma non conta, cioè non è che non conta il tuo sesso, merda, io non ci so fare con le parole, va bene, e neanche con i sentimenti e con i sentimentali, ma che cazzo ti piangi, smettila, scusa, scusa!
 
I due si guardano perplessi, Mosè piange. Buio. Cambio scena. Un altro uomo sul marciapiede solo.
 
-         Sono padre, figlio, amico. Sto navigando solo, il timone nella mano, all’orizzonte niente di preciso, una calma che scende a placarsi sul cuore. Solo piccole onde piatte, solo il loro lieve rumore come canzone. Potrai fuggire ovunque, ma ovunque nel mondo sarò tuo padre, potrò fuggirti ovunque, ma ovunque nel mondo sarai mio figlio. Qualcosa mi sfugge. Come lanciato dopo anni di sofferenze nel mondo, nella vita, ancora, solo appena sedato, tirato come biglia sulla sabbia, sulla pista tutta curve di un bambino di cui seguo le tracce. Il mondo è crudele, banale, ma oggi tutto questo non mi riguarda, come se i miei occhi trattenessero solo amore con tenacia e lasciassero scorrere tutto il resto in un buco nero che mi si apre all’altezza del petto. Non so quanta disperazione ci sia in me per giungere a questa soluzione, per mettermi al centro di un sentiero a gambe incrociate e aspettare. Tutto mi filtra attraverso. Una corsa sfrenata e poi bloccarsi di scatto e … che tutto ciò che ho appena superato, mi travolga, per poi, come onda che si gonfia alle spalle, darmi la spinta, la spinta avanti. Sono nudo, il corpo a croce, galleggio nell'acqua e di me non so più nulla o forse tutto per la prima volta. Dopo non essere riuscito a spiegare a nessuno la sofferenza che mi ha travolto, sopraffatto e strizzato come spugna. Dopo e ancora dopo essere rotolato dentro me più e più volte. Ora. E non so più dove arrivano le mie braccia di padre, dove ho lasciato cadere quelle di figlio, piangente, deluso, sui fianchi.
 
Buio, cambio scena. Ettore, Gretel e Mosè, i tre clochard guardano lontano.
 
Ettore – Non ci crederai ma vedo un altro uomo in mare.
 
Gretel – Ma sono uomini o salmoni? Che è la stagione? Mosè è tuo parente quello? Quanti devono arrivare ancora? Questa è la notte più di merda della mia vita!
 
Mosè – Vado a tirarlo su.
 
Ettore – Guarda prima che non sia il poliziotto, fingono a volte di essere morti come i ragni…
 
Gretel – Guarda l’ha preso. Speriamo bene... se non è una brava persona lo ributtiamo!
 
Torna Mosè trascinando un uomo per le braccia
 
Ettore -  Guarda, questo è più furbo c’ha le scarpe come le mie!
 
Gretel – Ma non le ha!
 
Ettore – Appunto, lo conosci Mosè?
 
Mosè – Io non lo so, non so nemmeno il mio nome.
 
Ettore – (rivolto a Gretel) Dovresti farlo rinvenire come con Mosè.
 
Gretel – Va bene, ora mi metto sotto vento.
 
Uomo - Ho acceso la radio, c'era il mare in ogni canale.
 
Gretel – E’ toccato anche questo. Che notte. E’ troppo, troppo anche per dei barboni. Che fate voi due impalati?
 
Ettore – Io e Mosè andiamo a cercare qualcosa, qualcosa da mangiare. Lui non ha ancora mangiato.
 
Gretel – Ma è notte.
 
Ettore – Ma qui c'è un istituto, un istituto con dentro delle suore e proviamo a bussare, i disgraziati come noi si sa mica hanno orari. Se uno c’ha fame…
 
Gretel – Non è mica Natale, non vedi? Non c'è mica la televisione che riprende la buona azione, o vedi la televisione? A Natale ci fanno una cena coi fiocchi. Tu devi solo aspettare e mangiare tanto da fartela durare fino al prossimo Natale!
 
Ettore – Merda siamo a Febbraio. Mosè tu dovevi aspettare  Natale a fare il barbone, però vieni che si va io e te, si va, tanto per ingannare lo stomaco, se tu allo stomaco gli dici che stai andando per cercargli il cibo, quello per un po’ si placa sai? Vieni ci facciamo la litoranea dei bidoni, sai la gente a volte butta cibo ancora commestibile.
 
Gretel – Ecco andate, che vedo se riesco a dormire.
 
I due se ne vanno, rimangono Gretel e l’uomo.
 
Uomo – Io sono Mangiafuoco.
 
Gretel – Tu guarda, io la Fatina!
 
Mangiafuoco – Nella mia zona mi chiamano così per via della barba lunga.
 
Gretel – Perché la tieni così lunga te la vuoi calpestare?
 
Mangiafuoco – Mi faccio crescere la barba fino a quando mio figlio non torna e se me l'hanno ammazzato, finché qualcuno non mi spiega perché, perché me lo hanno ammazzato, chi mi ha portato qui?
 
Gretel – Un ragazzetto che non si ricorda il nome. Uno che nell'acqua si era buttato come te. L’ha tirato su Ettore, l’altro barbone, ora se ne sono andati.
 
Mangiafuoco – Paura di dimenticarmi di me. Una persona. Paura del mio io. Tornerò a essere solo figlio? Prolungamento di qualcuno, appendice di un corpo esistito prima del mio. Dipende solo da me e da cosa il mondo ha deciso di presentarmi come menù dei miei prossimi giorni.
 
Gretel – Amen, qui non abbiamo mai avuto un gran menù...
 
Mangiafuoco (guardandosi i piedi) – I piedi dovrebbero tenere il conto, la memoria di tutti gli spazi di terra percorsi dai primi anni di vita. La mente dimentica, non trattiene, perde pensieri, perde sentieri, come scolapasta dai buchi troppo ampi. Le piante dei piedi dovrebbero percorrere i ricordi. Ma per salvezza la mente bleffa, bisognerebbe viaggiare più spesso, tagliare cordoni ombelicali appena formati, penso quasi di capire chi fugge.
 
Gretel – Anch’io. Questa notte in particolare.
 
Mangiafuoco – Ho sempre pensato fosse infantile o vigliacco, magari è una ricerca della verità. Anche quella. Fino all’osso. Mentre le onde mi lambivano teneramente le gambe, i fianchi e, giocavo con le mani, trattenendo sassi, una terribile nostalgia, preceduta da una percezione, maturare era accumulare un’infinità di adii. Legarsi, fondersi con donne e uomini e doverli irrimediabilmente lasciare, così per i familiari e le cose. Del resto non è questa la morte? Ci viene dato e tolto, forse un viaggio è come sperimentare la morte. Un sapore appena gustato. Il tempo di riconoscerlo un giorno. Forse chi fugge non sopporta tutto questo, l'addio appostato come cecchino dietro l'abbraccio. Il killer sadico che ti strizza l'occhio immediatamente dopo il coito. Anche il coito è come sperimentare la morte. L’abbandono totale delle membra, come seppie galleggianti nel mare, qualcosa che era.
 
Gretel – E quello che era stato il sapore di un bacio… era e basta.
 
Mangiafuoco – Vorrei infinitamente trattenere a me, per sempre, per sempre l'affetto. Anche quello già provato. Vorrei potermi raggiungere e trascinare in un ultimo ballo, anche quando ho già detto addio alla mia donna. Ma come potrei farlo? Io non ho un passato.
 
Gretel – Non ho avuto uomini miei. Io sono stata loro. Io sono stata loro. E così ho dipinto donne che precipitavano dai loro occhi, affogate in bicchieri colmi delle loro stesse lacrime, ho dipinto donne con occhi che erano braccia, donne con troppi seni, bambine con troppa testa. Malinconia profonda di una vista che non si ricorda, non si traduce in ciò che pensavamo fosse la vita. Un racconto che non torna, perso in qualche fiaba. Ora ci deve essere un uomo capace di trattenermi, ma con un amore convincente. Un narratore credibile che mi affascini fino in  fondo. E che i suoi occhi non mentano e gli tengano il passo come le briglie a un cavallo.
 
Mangiafuoco – Credevo alle sirene. Ma qualcuno ha mozzato loro il canto, venduto le loro code al mercato del pesce, fatto uno scempio. Oggi hanno occhi tristi che si bagnano per il sale e sguardi imploranti motivi, chi gli ha saccheggiato il mare e perché? Ma è il padrone in difetto in questo mondo, è il padrone a dipendere dallo schiavo. Perché sono stati sempre gli schiavi indispensabili ai padroni e mai viceversa. E’ il padrone a dipendere dallo schiavo, lo schiavo deve solo capirlo. Aspetto solo che chi mi ha sedotto cambi rotta. Io tornerò nel mio profondo. C’è stata la possibilità di morire qui, adesso voglio vedere oltre, mi serve altra vita, altra polvere per morire meglio dopo. Mi serve capire chi si nasconde davvero dentro me, chi è quella creatura misteriosa che esce a scatti dalla conchiglia, quando sente che ci sto soffiando sopra, cosa la fa uscire, cosa rientrare nella fredda spirale scolpita dalle onde. Le onde. Il loro rumore. Basta questo. E se vuoi che tutto davvero si fermi, anche solo per un attimo, sai che puoi farlo. Puoi fermarti quando vuoi e riprendere il respiro. Soprattutto se la tua corsa sfrenata non ti permette di renderti conto del paesaggio attorno. Qualcosa che ti stai perdendo. Qualcosa che ti scivola via.
 
Gretel – Quando vedrò un’orca lontana mi ricorderò di lui, lui che amava le orche per la fedeltà e il bisogno del branco. E io tornerò pipistrello. La notte voli spezzati, planate improvvise, rapido stacco da basso! Proprio quando qualcuno avrebbe potuto toccarmi con la sua mano. Un giorno racconterò l’improbabile storia d'amore tra un'orca marina e un pipistrello.
 
Cambio scena, ai bordi della strada, Mosè ed Ettore
 
Mosè – Il mio uomo dice che la morte è stupida. Anche morire per un ideale, la morte dice, è sempre stupida, perché  la morte è niente, dice. E io gli dico : "e questo, questo cos'è?"  E le parole mi escono a fatica e non sembrano venire da me, ma è da me che vengono. Sai, a volte sono stanco, vorrei dire al mondo, fammi scendere. Stanco di fare troppo parte di tutto. La politica, la guerra, sono lontane. Sono lontane, no? Da me, da te, da noi… Sono in una scatola che si guarda, sono nella carta che si legge, sono in un computer, ma implodono dentro i lamenti di uomini senza scelte e senza nome. Il mondo piange, gli ho detto. E io piango con lui. Vorrei fosse solo amore, verso i bambini, gli animali e lo stesso pianeta, vorrei che la gente amasse la gente. Semplicemente, vorrei solo conoscere la parola “dare”, avere, sarebbe di conseguenza implicito, e poi che si tornasse al baratto, che non si maneggiassero più soldi, che il petrolio non fosse mai più importante della vita, che la religione non fosse più un’abile strategia di guerra, che un figlio non fosse quantificabile in spese e bilanci. Che fosse figlio. E basta. Ma lui mi ha risposto che il mondo non era bello, semplice e perfetto, e lui riusciva a dirmelo con un sorriso quasi di scherno, tanto che mi sono sentito fesso, ingenuo e piccolo, poi mi ha detto: “leggi Sartre, la sua filosofia, leggi Eco!" Li leggerò, li leggerò, da come parlava di quei libri sembrava avere ottenuto tutte le risposte. Li leggerò. Guarda, Ettore! Una cicala, ha lasciato la sua pelle attaccata a un albero, l’involucro trasparente, perfetto, ci sono tutte le zampe… Sento che anch’io presto uscirò dalla mia stessa schiena, rimarrà un’enorme buco, vedi? Così rimarrà la mia pelle perfetta, incantata nell’ultimo atto quotidiano. Io sarò in un altro posto, nato da me stesso, lasciato da me stesso. Qualcuno passando troverà affascinante quello che era e non è, quello che era e non è di me.
 
Ettore – Ma Mosè, dov’è lui? Credo che dovresti tornare da lui.
Mosè – I legami sentimentali li vivo e li archivio, sento la fine come il lupo percepisce il fuoco. Eppure mi attrae il cibo, mi avvicino all’amore per cerchi concentrici, spalleggiato da un branco inesistente. Cerco di sapere il più possibile di chi ho di fronte, tutto senza parole. Gesti, sguardi, la mimica del corpo. Le parole sono abili maschere, indispensabili in questa ipocrita società, ma... gli occhi, gli sguardi, i gesti, le pause, soprattutto quello che non si dice, quello che di colpo si cela, quello resta intrappolato negli occhi, e allora, magari, si cambia discorso. E poi i respiri, gli odori, mi dico, torna ancora indietro, torna a quando non avevi strategie, né parole e guarda, osserva… trai conclusioni. Impara ad allontanarti tu, senza aspettare che il mondo si congedi da te. Non ho consequenzialità, non ho percezione del presente, per voi barboni, invece, il presente è ciò che conta. A me escono frasi risolutive, stupidamente romantiche, neppure collocabili in questo tempo, tanto più in questa notte. Glielo ho detto che, se non lo avessi visto più, gli avrei voluto bene sempre, e lui mi ha risposto: "io sono qui adesso". La parola “adesso" e, il suo accento, come muro d'acqua m'è planato addosso, ho avuto il tempo di guardarlo meravigliato, prima di esserne travolto. La parola “adesso” non esisteva. Cosa mi stavo perdendo. Ero già morto senza saperlo. Ho risposto qualche “sì”, senza sentirlo. Ho lasciato cadere  tutto il dolore e l’odore di morte. Il sonno ci ha colti, immediatamente. Sentivo la mia mano chiusa nella sua, non mi ha mai lasciato tutta la notte. Dovrebbe bastarmi questo.
 
Ettore – E’ nella natura umana, niente ci basta mai.
 
Mosè – Persino gli amici, in realtà, non cerco più. C’è l’esigenza di sopravvivere agli affetti. Tutti. Da quando questo dentro di me accade, le persone come api attratte dalle cose più dolci, insidiose, mi avvolgono del loro ronzio con proposte allettanti. Attratti dal succo della mia determinazione, dall’odore che sprigiona la tua pelle quando hai deciso di essere solo. Non sapevo potesse essere afrodisiaca per gli altri la ricerca disperata di me. L’annullare tutto intorno, il bastarmi. Il mondo ti lascia solo sempre, ma quando tu ci riesci, quando tu lo vuoi, cominci a mancargli e  qualcosa si stringe a te. Subdolamente tesse lenti rapporti, e parole a bava di ragno creano ragnatele perfette, allora persone come equilibristi, persone che hanno fatto parte della tua vita e perfetti sconosciuti, si calano dall’alto, tenendosi al filo teso, creato dalla propria bava. Ti guardano. E' il fascino di chi si vuole lasciare tutto alle spalle ad attrarli, di chi tenta un passo dopo l'altro di non sapere altro, o forse, è che dal momento che tu ti siedi e guardi, soltanto, compaiono subito giocolieri al tuo fianco, giullari o tristi clown, attori d’ogni sorta, venditori ambulanti, ognuno a carpirti lo spazio. Lo spazio attorno. Alla società non va troppo che tu ti fermi un attimo , che dica “onestamente qui non ci capisco più un cazzo", alla società va che tu sia l'ingranaggio e che si continui comunque a girare. Se ti fermi ci sono uomini e donne con l’acquolina in bocca che assaporano il tuo distacco. E’ tutto così erotico.  Ti si avvicinano, ti annusano, percepiscono “il nuovo”, oh sì! Eccome, lo percepiscono. Ancora prima di te. Ti temono ma ti seducono, ti seducono perché ti temono. Lascio fare. Deve passarmi tutto sopra e poi attraverso, c’è l’esigenza di trasformarsi in roccia, lasciarsi accarezzare dal vento, plasmare piano dal mare, consumarsi, diventare sabbia, conchiglia, letame. Sentirsi non immortali ma biodegradabili. Ho  corteggiatori d’ogni tipo, sbucati dal nulla, a chiedermi : "Mi concede questo ballo?" Aspettano di farlo quando io sono sporco di fango. Sorrido, stanco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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