Dove crescono le viole selvatiche
per la fine di un amore
Mi è volata una coccinella sulle labbra e le ho
immobilizzate per non farle male, ho finito di leggere un libro e la mia pelle
ha il sapore di sole e crema, tornando a casa pensavo di scrivere, di noi, e
pensavo a come censurare il tuo nome, a come evitare parole, verità, come
simulare, come dire di tutto senza citare niente, forse non è una buona idea
mettersi qui e scrivere, forse era meglio dipingere, forse era meglio rimanere
sotto il sole, isolata su una panchina e stare immobili come un filo d’erba, un
albero, e lasciare che una coccinella si appoggi per sbaglio, la libertà di
essere vento senza per una volta diventare quello che sento. Dall’adolescenza a
ora, a essere una donna matura, è stato un balzo in avanti, scaricare fendenti
sul passato e i parenti, non per un fatto che avesse chissà quale significato
in sé solo non c’entravo niente con me, è da un tempo infinito che pago per
quello che penso e che dico, ma non mi tradisco, a volte striscio, ferisco, mi
butto di lato, la festa di turno non ha nulla da dirmi, vorrei andarmene via
senza disturbare, senza neppure lasciare un pensiero sul fatto che potevo ma
non c’ero.
Per un maestro ed amico
Mi sento orfana, mi sento come mi mancasse un arto, mozzata,
incompleta, abbandonata
Manchi
Ti amavo incredibilmente
La morte mi ha avvicinata non allontanata,
addirittura sei dentro
le mie mani saranno le tue mani per dipingere
non so se sarò all’altezza
forse è impossibile,
ma ti farò camminare nella mia passione che è grande è forte
e ha spalle larghe,
come lo erano le tue
so che ci sei
ti sento
so che non mi hai lasciata
non con l’anima
però non riesco a cancellare quel tuo numero di telefono
e muoio all’idea di non poterti mai più chiamare,
vedere
abbracciare,
parlare per ore.
Ed è la stessa luna
Ti verrò a cercare là dove non è bene stare,
dove non sono stata invitata,
in un posto fuori luogo dove ti stai annoiando,
ti troverò al di fuori del contesto,
in errore,
tra i perdenti,
quelli al di fuori del socialmente giusto,
ti troverò tra i rifiutati,
ci troveremo ancora complici come solo sanno esserlo quelli
che profanano il dolore e lo trasformano in arte,
saremo ancora lì a squadrarci da capo a piedi e riconoscerci
immorali,
saremo dove siamo stati sempre
tra quelli che conoscono tutto il peso di un sorriso
Siamo tutti lì
abbagliati dalla radura degli unicorni, dove abbiamo lasciato la magia per la
praticità, dove i sogni vergognandosi di noi sono andati ad abitare,
aspettandoci nudi, ci riconosceranno quando la nostra bocca al posto delle
parole saprà riconoscere lo stupore, troveremo pace quando sapremo che non si
poteva imparare nulla senza sentire tutto.
per un figlio
Ho la bocca aperta in un grido
sotto una lastra di ghiaccio, dove il destino con lame d’argento ha disegnato
un otto. Lo so che siamo l’infinito nello sguardo, che abbiamo nei nostri occhi
gallerie di luce gialla che attraversiamo solo sperando di arrivare alla fine
senza essere prede, che c’è la pressione alle orecchie e bisogna compensare
questo male dentro,
che sento,
l’amore si astiene e scorre nelle vene, le mie e le
tue, abbiamo lo stesso sangue rosso brillante e saremo la stessa cenere, e né
tu e né io figlio mio, abbiamo deciso di nascere, siamo solo come tanti stati
scaraventati in questo tempo e nel nostro incontro.
Tu sarai sempre l’inverno perfetto, quando scende la
neve e io ho il tuo cuore accanto e mi dico che è tanto, è tutto, è persino
troppo, adesso. Che tutti i miliardi del mondo, tutte le più belle giornate non
le avrei mai scambiate con te, non mi sarei fatta portare via dalla tua
malattia, ma di certo mi ha invaso la bocca di neve e gli occhi di pianto, sono
così stanca che sia il tempo a decidere dell’amore, quello concesso prima del
taglio lacerante, quello che si deve trattenere, come le mani abbracciano mani
dalle sbarre, il tempo della follia umana e la burocrazia in precedenza al
lutto, e questo tempo ridotto, raggiunto, sedotto, a tentare di corromperlo per
averti, per minuti, secondi, che poi tenterò di dilatare come una tovaglia che
si stende a coprire ciò che non si può né vedere, e né sentire. Puoi dormire,
amore, puoi dormire. Sei stato la gioia su passi di velluto, sei stato tutti
gli angeli a cui non ho mai creduto, sei stato lì ad avvolgermi i giorni e
sempre dietro o davanti alla porta, che aprivo o chiudevo, eri davanti a me e
alle mie spalle, nei sogni e nelle mani, nei ventricoli del mio cuore, nel suo
battito, nell’aorta e nei polmoni, nell’immagine capovolta e perfetta dentro il
mio sguardo, eri a succhiare il latte, a finire un piatto e io credevo che lì
fosse finito tutto, tutto il significato di ciò che era giusto, tutto quello
che mi poteva servire per dirmi sono viva, sono felice, rimanevo incantata e tu
dovevi solo finire di leccare gli ultimi pezzi di cibo e restituirmi quel
piccolo piatto come nuovo, era bello toglierti la fame, era bello toglierti
ogni peso dal cuore e riempirmi di questo, solo di amore. L’amore è semplice,
quotidiano, ed è sempre lui che ti trova, non sei mai tu a scegliere, l’amore è
semplice e istintivo e non se ne va, l’amore è per sempre, ed è per questo ora
che i miei polmoni sono privi di ossigeno, e che sono così sospesa sotto una
lastra di ghiaccio pesante con la bocca aperta in un grido che manca, le labbra
viola e il cuore fermo per sempre, così ci si sente, mentre il tempo ride
persino della mia pelle.
Grazie dell’inverno perfetto che mi hai regalato
quando ti ho accolto nella mia vita, grazie per avermi scelta come unico e
insostituibile essere umano che hai voluto accanto, essere scelti da una
creatura perfetta come te sarà per me motivo d’orgoglio, di forza per tutta la
mia vita, diglielo alla morte che
tornerò a prenderti, che tornerò a prendervi tutti, grazie di avermi lasciato
con il tuo ultimo respiro non l’addio, ma l’infinito nel cuore, perché al
nostro amore persino la morte si è dovuta inchinare, il tuo corpo è morto, ma
la morte ha ucciso anche il tumore che ti mangiava la vita giorno dopo giorno,
che ingrassava del tuo dolore e della mia impotenza, è morto il tumore, tu hai
smesso di soffrire, io devo ancora finire.
Io devo ancora finire…
Arrivederci Marcos
Per la fine di un amore, per un maestro ed un amico, per un figlio, per troppi figli, ho cancellato la parola lutto, perché quello che si prova e subisce metamorfosi profonde e misteriose, merita un nome con più luce, un posto dove crescono le viole selvatiche, un posto dove esistono gli unicorni, un posto che non può appartenere a chiunque, non può fare parte di un vocabolario comune, perché nessuna vita lo è.