mercoledì 18 luglio 2012

Virago






Drammaturgia – Eloisa Guidarelli


Pezzo tratto da   “…. Quello che avete dentro…
                                   Tiratelo fuori!”




Virago è in piedi in reggiseno e asciugamano in vita, ma l’asciugamano rivela forme tutt’altro che femminili, il gruppetto fissa l’asciugamano ipnotizzato -


Virago – Che c’è! Potrei essere un normalissimo travestito o non avete mai visto neppure questo? Solo che non lo sono, ce lo avevo appena accennato, ma il caro dottore che mi aveva in cura ha fatto questo bel lavoro, ha fatto qualche esperimento, Oh per carità poi mi ha sposato, diceva di amarmi, era indeciso, il dottore, se voleva un uomo o una donna e nell’attesa di asportarmi o ingrossarmi il seno, mi faceva crescere il pisello, ha offerto parte della sua faccia per questo, quando si dice una testa di cazzo. Se non lo facevo fuori chissà cos’altro si sarebbe inventato Frankeinstein.  Sono uomo e donna e non me lo sono mai scelto. (Diviene triste) Il mondo, come è fatto il mondo, c’è il bagno degli uomini e delle donne, non c’è un terzo bagno per chi è tutte e due e, le docce? Se vado dagli uomini mi guardano le tette, se vado dalle donne mi guardano il pisello, essere un fenomeno, un fenomeno da baraccone, da circo, rispondere alle domande a cui io centinaia di volte da solo ho provato a rispondermi e amare chi? Come amare e chi? Come amare e chi, senza fargli male, senza ferirla o ferirlo e le parole, maschili e femminili, i lavori maschili e femminili o più maschili o più femminili. Da bambino sotto l’albero di Natale pregavo mi arrivasse un’identità, pregavo per magia di sedermi sul cesso come una donna senza vedermi pendere quel piccolo pisello, ma il mondo, come è fatto il mondo, va pazzo per questo, pensate che sia finito il tempo delle streghe? Il tempo in cui ti bruciavano in piazza o il nazismo prendeva i diversi e gli ebrei e li faceva uscire da un camino? No, la violenza ha una gamma infinita di sfumature e su di me le sofferenze fanno arcobaleno.

Silenzio di tutti –


Arturo – Io ti sposo.


Virago – Tu sei un pervertito, ecco perché, ma nessuno lo farebbe. Oh! Come amante sì, per questo credevo che quel dottore mi amasse, sapete chi mi ha veramente amato, da chi mi sono sentito veramente amato per pochi minuti interminabili per poi perderla per sempre di vista?

Libera – Una donna?

Virago – Era una donna, ed era per me un angelo. Ero andato in piscina, ero andato con un costume intero da donna, il seno mi usciva prorompente dal costume e sotto si vedeva il resto, ma lei era entrata nella mia corsia, tra tanta gente, naturalmente in acqua fece caso solo alla mia parte superiore e mi sorrise con un sorriso di una solarità infinita, diceva semplicemente amo te e amo tutti, amo te perché sono del mondo e niente può togliermi gioia, tutto questo in quegli occhi chiari, in quel sorriso bianco e pochi ciuffi di capelli biondi che uscivano da quella cuffia in silicone nera. Le tirava la pelle tanto era stretta, le segnava quella tenera pelle, avrà avuto vent’anni, e cominciò a nuotare vasca dopo vasca, come un pesce, ne fece quaranta di fila, virava alla fine, facendo uscire dall’acqua le gambe, affiorare il sedere, per poi scomparire ancora. Il nero del costume, lucido come la pelle d’un pesce, mi evitava veloce se le capitavo davanti, per non interrompersi, per non farci male. Ma mi aveva sorriso, era entrata nella corsia dove ero io, non si era spostata, non se ne era andata, soffiava aria nella mia stessa acqua, posava le sue labbra, apriva i suoi occhi dove io posavo le mie e aprivo i miei, perché per lei non ero un diverso. Andò a  farsi la doccia, io la seguii, di nuovo sotto la doccia sorrise, tra i capelli che si toglieva dal viso e la schiuma, osservò i grandi seni, era così piccola e tutta donna lei e lo sapeva, guardò veloce all’altezza delle mie gambe, perché i miei seni erano troppo dritti e duri e perfetti, non morbidi e imperfetti come i suoi, trasalì un momento e scostò lo sguardo, capii che non mi voleva offendere e capii qualcos’altro, eravamo soli nelle docce e lei desiderava, lo sentivo, e il suo sguardo costante alla porta me lo confermava, che nessuna donna che non potesse capire entrasse e mi ferisse con lo sguardo e mi ferisse con le idee o mi facesse addirittura uscire. Il verde di quegli occhi arrossati di cloro avevano sorriso, avevano avuto paura, avevano amato, capito e protetto, nel giro di pochi secondi, era stata figlia, amante, amica e madre…

Libera – Virago quanto dolore, continua, parlaci dell’amore…

Virago – L’amore, lo riconosci appena ti è passato davanti, perché è troppo forte e improvviso e tu te ne difendi o lo guardi impotente come un incendio che ti brucia la casa, ti porta via tutto ciò che sei in un battibaleno ma… è fuoco e lo guardi mangiare e lo guardi e basta senza potere reagire. Ti puoi solo lasciare investire. (Riprendendo la storia trasognato) – Così si lavava senza togliersi il costume, scostandolo e insaponandosi, non per pudore, non mi voleva sbattere in faccia la sua femminilità, aveva capelli lunghi e biondi, era andata allo specchio sciogliendosi i nodi, la sua pelle scossa da brividi di freddo, era donna lei e lo sapeva, era viva di qualcosa e lo sentiva, era viva della coscienza di sé. – Pausa sofferente – Che è tutto ciò che occorre per essere in vita. Non avevo resistito  a tale delicatezza, mi avvicinai lasciando che l’acqua scorresse…

Arturo – Parlaci dell’amore Virago, continua.

Virago – Le accarezzai i capelli con le mie mani rozze e le dissi “ Guarda che bei capelli ha il nostro pesciolino”

Braga – Che frase del cazzo!

Libera – SSSSt! E’ bellissima coglione!

Virago – Sì, forse era pure una frase del cazzo, si voltò di scatto, poi il suo normale timore si trasformò ancora in amore e paura di ferirmi, mi vedeva, vedeva questa mascella enorme, questa barba rasata che mi deturpava la pelle e quelle ridicole boe in silicone e il mio cazzo e il costume nero da donna e, per la prima volta anch’io mi vedevo nell’immagine verde che lei mi rifletteva, aprì ancora il suo sorriso e quelle perle di denti bianchi e allegri mi salvarono ennesimamente dalla paura che sentivo, la paura di non essere. Disse: “Grazie” e io aggiunsi subito per paura di perderla : “Sei un pesce, nuoti come un pesce, ti chiamerò pesciolino quando ti vedrò” Le dissi anche che spesso nuotavo la sera e poi prese la sua roba e se ne andò, portandosi dietro, quella scia d’amore incondizionato che faceva parte di se’. Io rimasi al freddo e senza identità, assaggiando un sentimento gratuito che non avrei osato chiedere. Non era sesso, ne’ desiderio di lei, lei era come un’immagine sacra, che puoi solo guardare e lasciare che ti investa di tutto e lasciarti tornare niente, la doccia scorreva e questo era il solo rumore che sentivo dentro, e questo era solo ciò che ero in quel momento.

giovedì 5 luglio 2012

Testa o croce








Stavo all’angolo della tua mente  giocavo con l’arte dei miei perché, avevo un sorriso carta da zucchero, ero leggera come le note di una canzone che non si ricorda più a memoria, ero necessaria come l’idea della rivoluzione, sbagliata come la storia, annoiata dei fatti annodati stretti, di un cibo benedetto che lascio all’angolo del piatto, aspetto lo schiaffo, se avessi fatto la brava, lo so, da maschilista quale sei, se avessi fatto la brava oggi ne morirei… Se avessi giocato di strategia… lo so, se avessi giocato di strategia, che ingenua a perdermi dietro la fantasia… se avessi… se avessi e non ho… uomo perfetto di chi sarai e di chi sarò,  a quale gioco giochiamo, forse “Ti amo”, scusa la mia risata… non è giornata, con ciò, mi dispiace quasi per il peso che porti dentro di te, queste definizioni esatte, queste risposte giuste, questo dispensare minuti e il tempo delle giornate, come perle preziose di collane sgranate in preghiere costanti, questo odore di incenso, questo essere costretto in un progetto onesto con tutto e tutti forchè con te. Che vuoi da me, che ti ho dato la schiena, per cambiare argomento, per rubarti la scena, che vuoi da una come me, che sta andando controcorrente inciampando quasi per la fretta di evitare la via retta, che vuoi dal mio dolore, dalla mia gioia, dal mio sapore, poggiare le tue mani pesanti su seni assenti dai tuoi impegni quotidiani, cosa ami… e perché… tu corteggi l’assenza di me, della quale io stessa sono innamorata, io non posso entrare in questa giornata, come potrei parlarti dell’oblio è solo mio, come potrei parlarti della corruzione nella curiosità, nella fantasia, nel sentire alle orecchie un nome, e come posso dirti dell’ingenuità disarmante che veste il corpo di chi è in colpa da sempre, ti offro l’odore della mia pelle, poggia l’orecchio sulla ferita, sulle rotaie di questa vita, senti arrivare il locomotore, è stato un errore e si deve pagare, è un mondo in punizione, è un mondo in preghiera, è un mondo di espiazione, è un mondo di peccato, è un mondo di santi e di chi ha sempre bleffato, è un mondo esteriore, è un mondo per errore, è un mondo che ti giochi d’azzardo, cammino su vetri rotti e quando non mi taglio … è un miracolo senz’altro. Però tutti a spiare sotto i cappucci neri dei pensieri nelle briglie dei migliori avvocati, non parlo, non penso, non dico senza il mio legale, osare fa male, e sento che l’arte mi scende dalla schiena, mi accarezza le natiche, mi è tra le gambe e sento pensieri bollenti e taciuti di vizi cresciuti dietro a sbarre imponenti, senti, senti. Vieni, vieni ti manca poco, senti l’odore di quello che hai lasciato per fare felice un padrone inventato, io faccio l’amore con il vento e le cicale tu mi guardi e stai male, di me e di te e di tutti i perché, io mi gioco tutto in un momento esatto, tu aspetti troppo e sei distratto, sento la tua acquolina alla gola, la passione non rassicura e non ti consola, povero dio divenuto censura, prurito, vergogna e persino paura, e con la lingua penzoloni, muoversi a carponi sono gli ubbidienti, quelli al posto giusto e al momento esatto si presentano puntuali, nella bocca un “sissignore”, quelli che un giorno forse diranno quanto tu vali o ti compreranno, signora mia, priva di ogni fantasia, profuma di grana la tua ipocrisia, signora mia scandalizzata, da una donna più nuda, da una brutta giornata, scandali di sole e rancidi a morire, scandali come pozzanghere d’invidie, lasciate stare… stiamo ai lati di vite differenti, io ho scelto di non coprire gli occhi, questo mi permette di soffrire anche di più, ma c’è qualcosa di assolutamente divino quando sei felice dell’odore del rosmarino, del rumore delle cicale, del vostro sguardo che sale sulle mie gambe nude, c’è qualcosa di squisito nel vostro disappunto, c’è qualcosa di lascivo, nel vostro sguardo unto, c’è una spinta migliore alla schiena e la coscienza mi lascia serena. E come stai tu che non ti sei toccato perché saresti diventato cieco, e al dottore non hai giocato, non era educato, come stai con il vestito pulito nella cresima migliore della tua idea esteriore, se salti la messa e sputi l’ostia te la faccio vedere, ci stai a pensare, tempo scaduto,  era un gesto di pace, testa o croce, o usi la testa o servi la croce, ho un’idea precoce di rivoluzione, eravamo fratelli e stavamo al centro della via di un campeggio pieno di pigne, di una strada fatta di polvere, di una vita di meraviglie, ci infilavamo sotto la maglietta le bocce all’altezza del seno, e aspettavamo di fare ridere tutti i passanti, perché… eravamo adulti nani con tette in silicone, eravamo parodie libere di un passato senza colpe, eravamo glabri dal senso del peccato ed era così bello quando a uno sconosciuto scappava una risata.  Affondo le labbra nel latte bianco, a 12 anni in jeans rotti sul culo ci si sente uno schianto, come ti va, passavo di qua, curiosità nella volgarità, gioco di fioretto nel tuo giorno perfetto, come si sta ad avere la propria crescita interiore in agenda, a consumare ogni esperienza per appuntamento, forse in quella “data ora” ci si consola. Che fai, vieni di sotto con me, suoniamo tutti i campanelli, siamo così scemi e così ribelli, cosa fai, vieni con me, si entra in Chiesa, si finge di pregare e poi ci si tocca e si guarda la faccia che fa il prete, vieni con me c’è una battaglia di pigne tra bande rivali, vieni con me… che la cattiva via porta alla fantasia, vieni con me scrivi la favola nera, inventiamoci pirati buoni di certe occasioni, non facciamo male a nessuno… ma la loro moralità quella ti ucciderà… E mi innamoravo sempre del capo di qualche banda, e da bambina non ero esattamente una femmina, avevo dato un nome ad ogni parte del corpo e nulla era sporco, ero talmente dentro la natura da usarmi ogni premura e i capelli erano aria, i piedi mare e sabbia, i capezzoli acerbi viole senza giardinieri, crescevano i seni con i miei pensieri. Veri. Gioca con me.  Ero talmente dentro la natura che niente faceva paura e se mi avessero detto tornerai cenere non mi sarei stupita perché sentivo nella cenere la vita. Buttiamo l’ancora di questo vascello, tu dici è un gommone e neppure bello, allora vieni via ho una diligenza tutta mia, tu dici è una vecchia macchina da cucire… E solo per questo non vuoi salire?