venerdì 3 gennaio 2020

Clochard





Clochard - Drammaturgia - Eloisa Guidarelli - Parte 1°




Clochard
 
 
 
Di
 
 
 
 
Eloisa Guidarelli
 

 

 

 
 
 

 
 
 

 







Personaggi :

 
 

Gretel

 

Ettore

 

Mosè

 

Mangiafuoco

 

Poliziotto

 

 
 

 

 


Una donna dall’età difficilmente definibile, una clochard, rumore del treno sulle rotaie. Avviluppata in una coperta, vestita per strati, con maglie logore, lise, sporche, capelli bianchi, testa bassa, respira a fatica. La testa le crolla, per poco russa, ma poi di scatto, come sorpresa, la rialza immediatamente, cerca qualcosa in un sacco di plastica, tira fuori del pane e un vasetto di carne, sembra quella per cani. Il muco le cade sul pane e fa una fatica incredibile a mangiare e respirare contemporaneamente.
 
Gretel – La gobba mi costringe a stare piegata, va bene perché non vedo in faccia la gente, la gente che si è spostata. Non riesco a mangiare e respirare, non so se ho più fame o se sono più stanca, respirare e dormire si può fare, mangiare e respirare è fatica per me. E’ bene che la gente si sia spostata, perché non devo chiedere il posto, il controllore si ostina a chiedermi il biglietto, e io faccio finta… Dove l'ho messo? Un momento che cerco, lui è nervoso non c'ha tempo, io tempo ne ho tanto invece. Non lo trovo, e svuoto il sacco.Tiro fuori un foglietto stropicciato, glielo porgo, ma scuote la testa, è solo un foglietto mica il biglietto. Quante storie! Adesso non può farmi la multa, può anche farmela ma come la pago? E lui lo sa. Può portarmi dai poliziotti ma io non ho un documento e neanche io so più come mi chiamo. Possono tenermi dentro se vogliono, ci guadagno anche un posto caldo, ma poi lo sanno,  mi devono lasciare fuori. E' incredibile come la legge vada a rotoli, quando non hai denaro non te lo possono chiedere, quando non hai un nome non ti possono perseguire e se non hai una casa... Fa finta di niente e sorride a una ragazza. Lei il biglietto lo mostra. Lei fa ancora parte della storia. Non io. Ma la ragazza mi è seduta di fronte, l’altra gente si è spostata dalla puzza perché mi sono fatta la pipì addosso e anche la cacca, ma lei resta. Da sotto la mia testa, caduta sulle ginocchia, mi sembra bella. Cerca di spiarmi, ora quasi mi tocca, questa crede che sono morta, ma io Tiè! Mi rialzo. E' una diversa, mi tratta come una persona, ci sono mille posti vuoti questa notte e lei sta qui a sniffarsi tutta sta puzza, ah per me non è un problema. Mi sposto tra le porte del treno, piene di spifferi, cosa ti porta a guardarmi, la curiosità o la paura? Quando rientro la ragazza non c’è, ma ci sono i suoi guanti... La ragazza non c'è ma avrebbe voluto lasciarmi i suoi guanti e un biglietto scritto, non l'ha fatto. Ma avrebbe voluto. Avrà temuto per un momento di finire così, come me, ma solo il treno è lo stesso. Solo il treno. Non è qualcosa che si attacca, però è uno specchio scomodo, sì. Questo sì, lo capisco.
 
Si avvicina un uomo che trascina un carrello pieno di cose.
 
Gretel - E tu chi sei?
 
Ettore – Barbone, lunga e folta barba. Per metonimia, la persona che la porta, persona che, ai margini della vita cittadina, vive d'elemosina o d'altri espedienti, incolta nell’aspetto e nell’abbigliamento.
 
Gretel – Ma che sei scemo?
 
Ettore – No, sono Ettore, non sarai una di quelle che parla la notte?
 
Gretel – Mi sono appena cacata addosso e tu ti preoccupi se parlo la notte?
 
Ettore – Sì, quello non è un problema, io alla puzza ci sono abituato e poi tiene lontani i ladri, questo è il terzo paio di scarpe.
 
Gretel – Non hai scarpe!
 
Ettore – Me le hanno date di un modello che non si vedono, è l'unico modo. Poi sono comode. Ce l'hai un nome?
 
Gretel – Ne ho uno al giorno se è per questo, perché io sono una che si annoia e poi la prima forma di schiavitù è il nome che si porta, io non lo porto, così nessuno mi chiama e non sono costretta a girarmi. Non mi hanno mai addomesticata a me.
 
Ettore – Ti dispiace se mi metto qui?
 
Gretel – Si, mi dispiacciono un sacco di cose ma non posso evitarle. L’importante è che non ti conosco e non voglio conoscerti, solo perché dividiamo lo stesso marciapiede.
 
Ettore – A me quello che mi ha rovinato è che ero un bambino sensibile, troppo. Mi ricordo che disegnavo bene da bambino e sapevo raccontare certe storie, certe storie che non tutti capivano, un giorno la maestra disse di inventarsi una storia sulle mele.
 
Gretel – Anch’io avevo una maestra che si faceva le canne...
 
Ettore – No, davvero... Io l'ho presa seriamente, ho fatto un fumetto, era la storia di due mele che cadevano dallo stesso cesto e poi ne passavano di tutti i colori, c’era chi se le voleva mangiare, rischiavano di essere schiacciate, i bambini le calciavano, ma loro rotolando si salvavano sempre ed erano sempre insieme, avevo poche vignette e dovevo concludere la storia, così ho disegnato le mele che si tenevano per mano, la strada all’orizzonte infinita, una diceva all'altra : “ …e come i vecchi invecchiano noi marciremo insieme” . Tutti mi presero in giro e la maestra disse che marcire non era romantico, forse non lo era, ma le mele non invecchiano, marciscono. Io vedevo la verità, l’ho sempre vista così com'è, né bella, né brutta, la verità. Un bambino ci rimane male quando si ride di una sua storia, di un suo disegno.
 
Gretel – A me facevano la religione a punti, sì non c’erano i voti, c'erano dei punti che ti potevi guadagnare facendo disegni, o scrivendo poesie o studiando la religione, avevi più punti se studiavi la religione, un po’ meno per una poesia e solo tre punti per un disegno!
 
Ettore – E se eri ateo?
 
Gretel – Non era contemplato, io ero atea già a sei anni e così preferivo i disegni, ma dovevo farne un sacco, valevano solo 3 punti! Disegnavo la Madonna, ma la facevo troppo bella, come una modella e con due gran poppe e il crocifisso in mezzo!
 
Ettore – Era una morte migliore, per il Cristo, intendo.
 
Gretel – Sì, ma non lo capivano, Giuseppe lo facevo giovane e bello, ma quello che non piaceva era che a Gesù gli disegnavo il pisello. Ma perché? Ce l'avrà pure avuto! Un po' come la tua storia sulle mele, non ti fanno crescere con la verità, preferiscono che vieni su a metafore. Li vedi questi piedi? Sono di un poliziotto.
 
I due alzano lo sguardo verso l’alto. Momento di pausa e risposta. Il poliziotto non è visibile. Vediamo solo i suoi piedi.
 
Gretel - Sì domani ci spostiamo, lo sappiamo 24 ore, domani ci leviamo.
 
Ettore – No, guarda non ho droga io, io sono un barbone, ma sono uno pulito, sì non mi conosci, perché mi sono ridotto così? Perché ti sei ridotto così tu! Ahi Basta! Che fai! Ho capito! Ettore, scherza, scherza, che te la fai con un barbone? Grande e grosso e se la fa con uno come me, che sta su per i quattro venti, sì vai! Gioca con il manganello, vai… che è l'unica cosa grossa che ti ritrovi tra le mani…
 
Gretel – Guarda che io non voglio casini, quelli non li devi fare incazzare!
 
Rumore del treno sui binari. Buio. Cambio scena. Una stanza, un ragazzo sui trent’anni . Voce del padre.
 
Voce - Dovresti rivedere la tua partenza, non credi? Alla luce di questi fatti! Guardami in faccia invece di imbottire quella valigia di stracci!
 
Figlio – Non sono stracci, sono le mie budella, non vedi?
 
Voce – Troppo facile tagliare la corda, e dove pensi di andare, con quali soldi? Dovresti invece chiederli a quella stronza di tua madre, non ne ha mai dati abbastanza per mantenerti!
 
Figlio – Mia madre, mia madre quando mi vede non mi chiede come sto, non mi chiama per nome, dice solo : "che fine hanno fatto i soldi che do a quello stronzo di tuo padre! E siccome è da quando sono bambino che faccio la piccola vedetta lombarda tra te e lei in questa farsa da libro cuore, ora vado. Non chiedo più niente. A nessuno. Ora me ne vado. Però prima ho da dirti una cosa, sai quegli attacchi di panico, sì pa’ quelli per cui mi facevano il valium in ospedale, ho capito, tutto risolto, era solo una questione psicologica, che non mi accettavo, invece nulla, sono gay! Pensa che mi credevo che mi cadesse il mondo addosso. Ma il mondo non cade addosso per questo. Ah, lo dici tu a quella stronza di mia madre? Papà non tenere la bocca aperta c’è una mosca che ti è caduta dentro. Io vado. Non torno. Così vi regolate un po’ voi con i soldi no? Pensa che sono talmente condizionato che quando vado in banca con il mio libretto, con il libretto… non sono romantico? Beh quando vado e chiedo dei soldi, miei eh? Miei alla banca, mi sento in colpa, mi sembra che l’uomo mi guardi severo e controlli quanto prendo e vorrei quasi scusarmi, perché prendo i soldi, i miei soldi. Non dire niente. Non puoi più farmi male, posso uscire da me e poi rientrare, come l’aria passa attraverso le finestre, anche se chiuse.
 

Porta che sbatte. Buio. Cambio scena. Il ragazzo solo

 
Figlio – Mi vedo davanti a mio padre, mia madre... in  un ultimo disperato appello, spiegargli con calma che sono diverso, diverso dai miei cugini, dai miei parenti, da chi fa le cose bene, si sposa con contratti e firme, anche se dentro, magari, piange o trema, ma c’è sempre alle cene di famiglia. Io manco sempre. Io da sempre sono la sedia vuota. La risposta non data. E mi vedo parlargli col cuore in mano, parlare a mia madre, al mondo, per ultimo a me. Me. Arrivo come l’ultima immagine di un mazzo di carte sventrato su un tavolo, da gesto esperto di esperto giocatore. Alla fine del gioco c'ero io. Io che dico a loro, accettatemi e basta. La voglia di vivere, la voglia di morire, alternarsi come la luna con il sole, solo raramente godo di un tramonto. Sono in lotta da sempre con me. Sono stanco. Ho di fronte un uomo profondamente tormentato, una strana alchimia di ragazzo e adulto, c’è qualcosa dentro di lui, qualcosa come una profonda sofferenza, ma sprigiona rabbia, a volte euforia. Mi racconta storie. E’ in grado di trascinarti dentro, ti artiglia con lo sguardo e... con le mani, gesto, dopo gesto, disegna le parole che ha letto. Io scorgo il quadro incantato, perfetto. Il tormento cerca il tormento, l’inquietudine cerca l'inquietudine. Sarà per questo che ci siamo trovati. E forse non voglio davvero sapere tutto dell’uomo che ho accanto. E' un bisogno umano, ma non dell'amore. Amare, come si ama un perfetto sconosciuto poi non si ama più. Accettarlo soltanto. Dargli tutto senza stabilire per quanto. Prendere tutto senza chiedere stati di famiglia. Non lo sappiamo fare. Soffrire colma dentro, fino all’orlo. Esattamente come amare, voglio passarci attraverso.
 
Il ragazzo apre le braccia a croce e si sbilancia come per un tuffo nel vuoto.
 
-         Mio amore, questo pezzo di vita salata è solo nostra. Un pezzetto di vita come piccolo pezzetto di torta, lascio a te la più grande, non ci sfamerà forse ma… toglie anche per poco quel buco allo stomaco. Saremo sorrisi di bambini a cui hanno riempito la pancia. Sorrisi di bambini denutriti dall’amore che si regalano pezzetti sporchi di pane. Di paure. Cuccioli che si leccano al buio,  soli. Cerchiamo di bastarci. Soltanto.
 
Buio. Cambio scena, Ettore e Gretel trascinano il ragazzo che ha perso i sensi, tenendolo rispettivamente per braccia e gambe.
 
Ettore – Respira? Bisognerà cavargli fuori l’acqua. Ha il tipo di scarpe che si vedono, domani rischia di non avercele più, domani glielo spiego.
 
Gretel –Ma che gli spieghi! Questo non è mica uno dei nostri, questo lo vedi com'è vestito? Questo domani qualcuno se lo prende, io non ci voglio parlare coi poliziotti però! Sarà trenta chili d’ossa... ma pesa.
 
Ettore – Guarda tossisce, forse vomita un po' d'acqua, meno male perché io aceto per farlo rinvenire non ne avevo…
 
Gretel – questo l'ho fatto rinvenire io dalla puzza, ed è solo il buongiorno! Mi sa che gli è andata storta, neanche i barboni si fanno più i fattacci loro, questo voleva morire e noi chi siamo per decidere…non siamo Dio. Io non vorrei mica essere salvata, una volta che riesco a buttarmi nel vuoto! Se uno mi ripesca lo riempio di calci in culo, stacci tu qui ora che si risveglia.
 
Ettore – E che gli dico io?
 
Gretel – Che sei vecchio e non sai farti i cazzi tuoi!
 
Ettore (la testa sopra il ragazzo che apre gli occhi) – Sei vecchio e non sai farti i cazzi tuoi, no io, io  sono vecchio e non so farmi... No, no, non ti preoccupare delle scarpe, ti ho messo quelle di un modello che non si vedono, nelle tue c'erano i pesci... ce l'hai un nome?
 
-         Non ricordo
 
Ettore – Ti possiamo chiamare Mosè, visto come ti abbiamo trovato, tu con l'acqua non ci sai tanto fare, ma solo fino a quando non ti ricordi…
 
Mosè – Sono un clochard?
 
Gretel – No, sei un ragazzo ben vestito, non ci si improvvisa barboni, lo si è per sfiga o per scelta o tutte e due, anche per scelta sfigata.
 
Ettore – Infatti anche tu non hai la barba, non sei una barbona, lascialo stare.
 
Gretel – Andate a quel paese tutte e due, clochard, barboni, senza tetto, invisibili, tanto domani chi vi ha conosciuto mai, domani ognuno per la sua strada!
 
Mosè – Avevo un ragazzo.
 
Gretel (ridendo sguaiatamente) Sei gay! Peggio che essere barbone, il barbone a volte, a volte eh? Lo rispettano ma uno gay, la gente dice di capire, di essere moderna, ma poi ride di te, tutti ridono di te! Se non ridono ti disprezzano e comunque ti disprezzano anche se ridono. E l’hai detto ai tuoi genitori? Mamma mia meno male che non mi è capitato un figlio gay, non che… i gusti sono gusti (ride ancora)
 
Ettore – Io lo avrei tenuto un figlio gay. L'avrei tenuto.
 
Gretel – Ho detto che non l'avrei tenuto? Vedi queste scarpe? Sono quelle di un poliziotto.
 
I tre alzano la testa verso l’alto.
 
Gretel – No, non l'ho mai visto, mostrami ancora la foto che guardo meglio, no… ma che ha fatto?
 
Ettore – No, neppure io l’ho visto, ma ce l’hai una foto dove non è incappucciato? Ahi cosa calci! Non l’ho visto quel cappuccio, quella faccia a cappuccio, quella testa di cappuccio!
 
Mosè – No, io…io sono nuovo io...
 
Ettore – E’ nuovo.
 
Gretel – E’ il mio figlio gay, domani andiamo via, tu sai che io dico la verità, mi conosci tu a me, no? Ma che ha fatto l’uomo che cerchi? Ha dato fuoco a cosa? Aspetta diccelo, ma dove vai... (verso Ettore) Che farfugliava lo sbirro?
 
Mosè – Grazie!
 
Ettore – E tu donna barbuta ce l'hai un uomo? Ce l'avrai avuto un uomo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 


 















 




 















 






Nessun commento:

Posta un commento