martedì 18 gennaio 2011

Ideali





 vita a progetto.

Digito alberi su foto aeree e non è come toccare le cortecce o sentire odore di resina. Digito popolamenti di alberi da foto aeree e ho una visione aerea del mondo un po’ come la mosca della merda. Cosa direbbe Darwin rispetto all’odierna postura a pecora dell’Hòmo Sapiens rispetto alla scimmia? L’uomo Erectus l’ho visto solo da certi punti di vista e ne ha fatto conoscenza la mia parte bassa. Ho una visione aerea come l’avvoltoio su carogna putrefatta, un po’ tardi chiedere che vengano risparmiate le ossa. Ci sono diritti a marcire, morti pretese e lingue che non possono profferire parole. Ci sono lingue attive a leccare culi fino a renderli lustri e piroettare mostrando l’abilità come in uno spot per la brillantezza di pirofile. Ho una visione aerea come Cristo dalla croce, quando deve avere percepito che tanto era sbagliato quel concetto di peccato quanto quello di perdono. Non sanno quello che fanno. E intanto lo fanno e pertanto lo fanno e mentre lo fanno pensano a quando lo rifaranno. Sembra dall’alto, una sorta di guerra fredda, un qualcosa che esploderà sotterraneo in rivolta, giusta o sbagliata che sia, ma non accade nulla. Dall’alto, un divagare con atroce fantasia, nella pazzia, nella follia… Ci uccidiamo tutti. Partiamo dalla famiglia. Figli uccidono. Madri uccidono. Padri uccidono. Fidanzati uccidono. E il resto zombi che borbottano, deliberano, zombi necrofili che se la raccontano. Zombi a timbrare cartellini. Zombi che si preparano alla rivolta ma per strada si perdono le membra insieme alle idee che avevano e si rallenta. Cadono corde vocali a roteare come tubi impazziti e cadono i maroni ancora prima delle intenzioni. Il cuore mi batte sulle gengive, lo sento pulsare dove il dente duole, il cuore ha messo i denti del giudizio e si confonde tra ventricolo e ventricolo, destro o sinistro è quasi uguale. Ho una visione aerea e non c’è cibo da mangiare… non so cosa porterò ai miei pulcini dalle bocche aperte per la fame. Ma io non ho bambini. Del resto non è possibile costruire neppure nidi. Ho sorrisi in nero. In affitto il pensiero. Per posta sono arrivate ali di farfalla. Non le ho lette ma restavano a galla sulle mie sopracciglia. Perché nessuno si incazza? Perché morire con l’odore di tigli, perché morire senza difenderci? Ho una visione aerea di corpi in attesa, di dita su labbra a indicare il silenzio. Il coraggio è nel bolo di saliva che non sputo e non inghiotto. Il coraggio è un tempo morto che crea imbarazzo. Il coraggio è un po’ indigesto. Rompere questo silenzio è come disfare un alveare che non produce miele ma caselle esagonali per teste tutte uguali. Il coraggio è fuori moda, adesso. Ci hanno posto troppo tempo su scrivanie a spiegarci l’angolo retto. Il diametro della fregatura e agili manovre a 360 ° della lingua, mai della veduta. Perché non accade nulla? Ho un gettone per la doccia calda, ho il gettone per la mia nausea, abbiamo tutti gettoni per parole contate, abbiamo labirinti di percorsi scelti, stiamo anche noi cucendo palloni con minorenni, vendendo corpi per passarcela meglio, stiamo anche noi precipitando muti in questa visione dall’alto che lacera il vento e blocca il respiro e mai una volta che s’apra il paracadute. Perché ci stiamo ammalando, tradendo, confondendo, perché ci stiamo isolando qui dentro, in uno sgabuzzino munito di tutto, compreso il nostro tempo e ore d’aria ogni tanto, cosa è successo alle ali che non ci sostengono, perché il cielo è coperto di piume, come possiamo scambiare sorrisi con eliche. Perché non c’è un grido, perché questo silenzio, perché non c’è fame se ovunque manca cibo.


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