domenica 16 gennaio 2011

Dicembre 2005


"L' ATTESA"


Dicembre 2005

Mi gira la testa. Faccio promesse che non so se posso mantenere attualmente, e poi sono tornata a scuola, ma è come avere tanti padri al posto dei professori, professori sorridenti che ci comprano con biscotti l’attenzione e compagni di corso indifesi, quasi sereni, in questa merda di situazione, in questa disoccupazione, questa realtà sospesa, sorpresa solo a piccoli istanti di coscienza, quando come ragno, scende tra i banchi appesa al filo e ondeggia. E io anche. Le ore. I giorni. Non è così atroce. Niente. Basta metterci sui binari e tutti andiamo, tutti sappiamo dove andare, così siamo qualcosa, siamo allievi ad esempio. Che beatitudine. Che solitudine, che silenzio fa il mondo quando si è chiusi a studiare, a imparare, ad inventarsi un ruolo. Il mio migliore amico non si è reso conto che il suo stivale mi schiacciava il petto, spingeva e ci restava sopra a fumare, gridare era fare rimbalzare ossigeno al vetro, senza che questo, anche solo per sbaglio, potesse una volta tanto attraversarmi la gola, ma no! Esitava, esitava e il tempo passava e le risposte, tutte, hanno cominciato a corrermi sulla pelle che era quasi impossibile tradurre, tradurre simultaneamente. Quanto vuoi amico mio? Quanto vuoi per me? Nulla, basta la sala piena, la pancia piena, e guardarsi negli occhi non conta più. Bene. Non muoio. Qui all’angolo del mondo mi riposo. Convengo la strategia da usare e quasi non ti odio, solo, la delusione forma pozze d’acqua sporca, con cui i miei piedi, scusa, giocano. Ho bisogno di dipingere e di spiegare al mondo che decapitare teste di fanciulli e sacrificare animali sugli altari non lo salveranno dall’amore, l’amore rimarrà appiccicato a qualche roccia, anche solo qualche tentacolo sbocconcellato, anche solo se poco prima qualcuno è morto, tingendo d’inchiostro un sentimento come la paura. Basta tremare. Basta tremare, che gli occhi stiano aperti sul colore, su un colore che non lascia spazio, ipotesi, scarto o altra soluzione, che blocchi lingua, respiro, intenzione. C’è una figura esile a lato di una tela fredda che non dipingo ancora, e la sua gemella è una donna nuda con una gatta in testa e un vestito rosso le casca, c’è una figura estranea che rallenta il tempo della composizione e le spetta un piccolo spazio a disposizione, un piccolo spazio di tela rosa e fredda, i suoi occhi di cipria troppo grandi e reclinata la testa. Sensuale, sottile, protesta la voglia d’urlare, di capire quello che non si può capire; “lungimirante” che cazzo vuole dire? Non so se lo sono, mi sa di stregoneria. La professoressa è compressa nel tailleur di nessun colore, l’espressione vacua, incompresa, incompresi noi costretti all’educazione, mi faccia passare che manca l’aria e l’idea che la precede.

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