mercoledì 23 novembre 2011

Orchidee Bianche



Mio zio mi ha regalato orchidee bianche. Orchidee bianche come il sesso delle donne. Mi guardano e in poco tempo hanno abbracciato tutta la stanza; ho mostrato i miei dipinti gettandoli sul letto e vi ho riempito gli occhi di colori e di bocche e di altri occhi su occhi e corpi e capelli. Donne. Dipingo donne. Tutte donne. E mentre le faccio cadere l’una sull’altra sotto i vostri occhi, sotto la vostra pelle, ne dipingo ancora, ancora. Le vedo, le sento. Vengono da lontano. Non mi interessano i corpi maschili, anche se vorrei sentire la pesantezza delle loro gambe quando le poggiano sull’erba, quando vicino alle donne, gli uomini, sembrano avere la gravità della terra. Le donne sono nuvole, sono sospese come i sogni e le idee, sono l’amore, la parola stessa, sono confini sottili. Non le disegno a matita, rispondo. Per forza le ho dentro, la matita presuppone un pensiero, io voglio che le tele siano il pensiero e non solo il mio. Voglio che abbiano un loro pensiero. Che mi smentiscano e smentiscano voi. Vi do erotismo che è sogno e incubo, e vi colpisco con colori forti che non lasciano agli occhi respiro. E non ci sono abbastanza iridi, abbastanza seni, abbastanza bronci per fare uscire anche una minima parte di me, di te, di tutti voi. Ho donne di panna, fianchi di seta si appoggiano a idee che sfilano sottovesti con gesti obliqui, tangenti, distanti. Ho seni che galleggiano nel colore, nelle bocche immaginate, sul sesso di chi guarda, faccio l’amore con le mie intenzioni, creo il desiderio e lo lascio lì davanti ai vostri occhi, senza nome. Dipingo le donne perché sono quadri, sono parole, sono guerre taciute, sono rivoluzione, sono oltraggio, dipingo donne perché ho una parte maschile che mi permette di sapere dove il pennello deve sostare per farvi rabbrividire e dove l’occhio deve guardare per invitarvi a non concludere, a bloccare opinioni e parole e in un sospiro entrare dentro.
Non per guardarle, per respirarle. Ho tele a gambe aperte per soddisfare acquirenti.
Ho tele indecenti, coscienti e per questo innocenti. Non sono, davvero, una pecorella smarrita, vi prego. A pecora di sovente mi trovo, ma non ho aria smarrita al momento. Sono finta magra, finta innocente, finta colpevole. Metto in atto strategie sottili, molto raffinate, di una destrezza, agilità, machiavellica.. di una perversione unica, di una razionalità così oliata e precisa che a volte.. a volte mi dimentico della strategia, se era strategia, pensavo di non dovere fottere nessuno. Finisco per fottermi da me. Al momento saltello. Ho un corpo del quale prendo atto, forse non me lo sarei scelto, ma trovo che chi l’ha fatto per me ha un certo gusto. Per ora saltello e mi trastullo come un fumetto irriverente e se non fossi donna giocherellerei col mio pisello, saltello e non ho ancora un lavoro, saltello e sono precaria, saltello da una tela all’altra, ogni tanto affondo in una buca di merda, mi scrollo, ricomincio, che persino la puzza mi sembra essenza. Ho il cuore inciso con chiodi e martello, non s’era trovato di meglio, e ogni colpo ho sentito per la L, la I, la B, la E, la R, la T e la A’.
Mi cola sangue in reticolo uguale a seguire la pelle, evitando sottili peli dorati e pori allargati come bocche annaffiate, colgono ogni lettera caduta su gole assetate di vampiri, che la notte assaporano il senso delle cadute lettere, fresco sangue simile a sorgente che invade il sesso e mi tinge i piedi. Di libertà sono fatta e come lo dimentico, se le parole sanguinanti si allacciano ai miei passi come pozzanghere rumorose che mi rinfrescano le piante dei piedi e imbrattano le strade di orme rosse.

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