Eloisa Guidarelli - Foto |
L’ira degli Dei
Come raccontarti del percorso
osceno della gioia, ora.
Come della giustizia che è una
puttana che decide da chi farsi sbattere, o di puerili e pochi idealisti che si
muovono come uccelli con le piume a raccogliere tempeste e vento contrario,
come spiegare ogni sbaglio, mentre piedi nudi solcano la sabbia, nell’antico
gesto del raccogliere conchiglie, necessario a dimenticarsi, per collezionare
parti di noi e risate di bambini saccheggiate dal vento, ormai da tempo,
branchie sgomente e stupite dell’amo, annaspano in preghiere d’ossigeno, fino a
quando anche il dolore diventa ovatta, e gente sorda deambula sul lungomare,
che appare pieno di fantasmi traditi da sguardi pratici e uno stomaco da
gestire in orari prestabiliti. E lì su quella parte di riva, conchiglie rotte, chele di granchi, ossi di
seppie, ho potuto pensare senza interruzioni ai tuoi capelli bianchi come
nuvole, che ti spostavo dietro le orecchie con parole leggere, leggere come
ragnatele, dove le intenzioni rimanevano impigliate e arrese.
Prima di dedicarti ogni luna
piena, mi ero resa distante, solo perché c’era qualcosa di sbagliato quanto di
perfetto nelle tue mani.
Non voglio ricordare le tue dita
ferme, ma mentre si muovono a creare, non voglio pensare i tuoi occhi fissi al
soffitto e al vuoto, li voglio pensare
a scrutare, capire e ascoltare…
INCANTATI
I tuoi occhi curiosi a cui hanno
tolto tutte le domande, erano come una città dopo un bombardamento
La tua incredulità mi ha ucciso,
come sempre mi uccide la speranza che muore.
Ti voglio bene, non ti
dimenticherò mai, dove sei, oltre una stanza piena di bombole d’ossigeno, come
missili poggiati lì a puntare verso l’alto in una guerra persa per la vita,
nell’ennesima battaglia che tutti, io per prima, desideravo vincessi, ma tu avevi
capito la resa, la serenità e la necessità dell’arrendersi, il conto alla
rovescia, un salto da volere spiccare, ma pareva che anche per quello
mancassero le forze, come era una lotta l’atto di respirare, perché è
paradossale, ma la morte si fa anche implorare, eppure tenevi questo filo
sottile, come si tiene un aquilone, e io sfioravo la pelle trasparente delle
tue mani come acqua di pozzanghera, dove specchiarmi come Ofelia capovolta,
ancora una volta, “rimani” . Ora sei tu che dipingi la luna ogni notte, sei tu
che non te ne sei mai andato del tutto, a mandarmi la voce di tuo figlio, uno
sconosciuto per me, che porta il tuo cognome, sei tu che fai camminare
coccinelle sulle mie tele ancora da dipingere, non mi perdo un tuo messaggio.
“Sei a casa tua adesso, sei
contento?” non potrò mai dimenticare il tuo sguardo pieno di stupore e orrore e
allo stesso tempo di obiettività “Non la riconosco più” . Ho capito cosa
intendevi, non l’ho solo capito, peggio, l’ho sentito e queste tue parole non
se ne andranno mai, anche se tu, tu sei un abbraccio senza fine, tu sei un
abbraccio senza fine.
UN ABBRACCIO SENZA FINE , se lo
provi nella vita non lo dimentichi.
Athena si rifiuta di difendere
una città che non accoglie e così raccoglie le sue armi e la sua stanchezza e
lenta e bianca, passo dopo passo, si avventura nel mare, che a lei, dea
immortale, si apre, il suo nudo nascosto dallo scudo.
Lunghi capelli,
punte bagnate a sfiorare le
natiche,
adamitiche fruste,
occhi delusi,
blu liquidi,
segreti come anfratti di rocce,
incostanti come maree,
dove la malinconia e la distanza
eterna giocherebbero in un equilibrio raro di erotismo e disperazione,
caduta illusione,
un solco tra le labbra di marmo a
disegnare l’amarezza suggerita dallo sguardo.
Passo dopo passo,
onda dopo onda,
con la determinazione che dà la
rabbia,
il senso di giustizia che porta
alla vittoria,
indignazione a inseguire
calunnia,
con le ferite aperte,
tutte aperte
a respirare il sale come frutti
di mare,
come piante carnivore dalle
bocche esperte nel deserto,
dove il tuo pensiero è erba di
macchia, che anela guerra come acqua.
GUERRA COME ACQUA
Athena arresa, offesa, tradita,
rifiuta ogni cittadinanza perché è stanca di guardare verso l’alto, sentire
nelle grida dei gabbiani gli ultimi disperati richiami, speranze di uomini
frangersi contro gli scogli, Athena pallida di conchiglie e granchi che le
hanno scavato il corpo in piccoli tunnel senza passaporto, Athena che non può
esportare amore, embargo di emozioni, la polizia sopra il cuore, dove le maree
hanno cantato a lungo e in privato di sogni, di spuma, come amanti che recitano
poesie sui seni salati, Athena
innamorata di rifugiati e migranti, straziata di dolore, si rifiuta di
difendere una città che odia e non accoglie, Athena apolide, apolide Athena,
mostra impronte digitali senza confini e occhi che hanno scavalcato da tempo il
filo spinato, crescono stelle marine per croci clandestine mai piantate e mai
arrivate, stillano come cinque dita di sangue.
Posto di blocco,
documenti,
burocrazia che travolge i sensi,
non ricordo il mio nome,
forse non l’ho mai avuto
poiché qui
qualcuno
nella sua divisa
mi sta dicendo
che non esisto
solo
non ricordo
da quanto tempo
ho una lettera d’amore che non
arriverà mai
a lei
Oceanine abbracciano quei volti e
quei corpi come risorti tra dita delicate, Calipso da tempo pensa di trattenere
qualcuno da amare con la forza del mare, ma quando a portarglielo via è un
foglio di via, è disposta a impugnare l’arco della rabbia, creato nella
solitudine e nella costanza, e scavalca, come solo sa fare lei, uomini e dei,
si pone faccia a faccia alla vostra inerzia, le basterebbe uno sguardo
soltanto, come a un uccello, per intuire l’origine del vento, per decretare
tempesta, su ogni vostra testa, perché il piccolo uomo ricordi che solo gli dei
stabiliscono confini tra il finito e l’infinito, che è solo a loro dispetto e
gusto, osservare pazienti o distruggere tutto, che non sei tu, piccolo essere
umano, a stabilire i confini su ciò che io amo.
Calipso si muoveva come una belva
offesa, si rifiutava di tessere come una Penelope e ascoltare storie
d’altare nella sua grotta e reggia, le
prudevano le mani, gli uomini si permettevano di stabilire confini ma erano
loro ad avere sconfinato, “Non ci sono condizioni, né leggi, non ci sono
rifugiati, schiavi o padroni, sono tutti esseri umani e da tempo immemore sono
tutti nostri schiavi, solo noi decretiamo fato e destino di chi ci è vicino!” E
siccome stava montando una questione grave, da quando gli esseri umani stabilivano
zone di confine, le ninfe del mare erano stanche di sentire il dolore dei morti
annegati, di sogni perduti, di amori finiti, e finirono loro stessi, gli dei,
per sentirsi burattini, rifugiati, interdetti, allontanati, decisero tutti dopo
una riunione a porte chiuse con Poseidone che avrebbero atteso uno a uno i
responsabili dei confini, di accordi inumani, come tutte quelle persone che,
con la loro indifferenza, alimentavano questo flusso di coscienza, li avrebbero
sterminati, così le maree furono cavalcate da dee che tenevano a galla con costanza ogni imbarcazione che portava
verso la speranza e affondavano senza nessuna pietà ogni imbarcazione che si
muoveva per respingere, sparare, impedendo che tutte le persone offese dalla
vita potessero arrivare, ci furono problemi perché le dee si innamoravano dei
migranti, Calipso era una di queste, o qualche altra oceanina, prendendo troppo
a cuore un bambino o una bambina, si convinceva che era meglio tenerlo con lei,
perché lo vedeva più a rischio a riva, e dovendolo rilasciare, come una madre
angosciata, seguiva con ansia il suo destino, nuotandogli sempre vicino, quando
aveva difficoltà, facendolo respirare.
Athena scatenò guerre senza pari
a tutti gli stati e le città che non
accoglievano, anche perché da apolide ne faceva una questione personale, e la
Libia tra questi se la vide molto male. Qualche rifugiato accettò
l’immortalità, gli dei mischiarono le razze
e diedero ad ogni razzista l’immortalità, decretando che per tutti i
giorni della loro infinita vita avrebbero dovuto vedere un mondo di tutte le
razze crescere e crescere, gonfiandosi in numero esponenziale, come un
cavallone del mare, con forza e determinazione centuplicate, così da essere
sbeffeggiati per l’eternità, l’umanità si sarebbe mischiata al punto che
sarebbe stato impossibile e inappropriato parlare di razze, finalmente si
sarebbe dovuto accettare che la razza è una, quella umana, per questo erano già
morti uomini e donne di valore, gli dei disprezzavano i vigliacchi e
osservavano dall’alto, seppure con i loro capricci, quegli uomini soli, davvero
soli, spesso contro tutti, gli dei del
mare, inoltre, erano stanchi di morte, non si trattava di naturale incidente,
del quale diciamocelo chiaro, non gliene fregava niente, per quanto drammatico
e ingiusto anch’esso potesse sembrare, era pur sempre selezione naturale, gli
dei del mare e le ninfe, erano stanchi di vedere “respingere”, era la morte
degli ideali, era la morte dell’umanità, era una morte inconcepibile anche per
lo sguardo pigro e cinico dell’immortalità, ma la cosa che li fece reagire e
attaccare tutti i mortali fu che l’unica lezione che potevano insegnare è che
non è mai l’uomo a comandare.
E così gli cancellarono per
sempre dal volto questa illusione, quasi per sempre, perché non avevano
considerato che l’essere umano è recidivo.
Mandarono alluvioni, uragani dai
nomi di donne fatali e brutali, e così era del resto, gli dei avevano decretato
che il clima si sarebbe ribellato fino a quando l’uomo non avesse avuto di
meglio che sprecare il suo tempo con zone interdette e filo spinato.
Si ostinavano a dimostrare che è
la natura stessa a decidere chi vive e chi muore, quando l’uomo ha la
presunzione di accorciare i tempi di ogni già precaria e fragile vita,
facendosi prendere la mano per megalomania, avidità, desiderio di potenza, gli
dei lo prendono per un affronto personale e la natura a quel punto non sta più
a guardare.
“Se vuole la natura uccide più del terrorismo!”, imprecò un
Nettuno stanco di portare sulle spalle bare con nomi fatti di vento, “ma all’uomo non basta e gioca sempre di anticipo!”.
Ed è così che gli dei si offesero a morte e decretarono una delle
più grandi e sanguinose guerre all’uomo, lasciarono devastazione e dolore, e
l’essere umano, da piccolo quale è sempre stato, imprecò contro l’atroce
destino, la cattiveria della natura, ombra era la sua stessa paura, neppure
nella devastazione più totale e profonda si ricordò di quanto male, di quanto
male nei secoli, solo per esigenza di conquista, ambizione, aveva causato, gli
dei si stupirono alla fine dell’Apocalisse da loro scatenata, di dovere
ammettere che non erano giunti allo stesso numero di defunti creato dall’essere
umano, un piccolo e ignobile mortale.
L’uomo non sa vivere, l’uomo non
sa amare, l’uomo non sa apprezzare, l’uomo non sa dare, per questo non è
immortale.
Sulla spiaggia i turisti sono
informati ogni istante dal Bagno Gildo, al massimo volume stereo, degli eventi
della Grassa Romagna, in modo che possano avere una vasta scelta su come passare
la serata, poi in mezzo agli spot di dubbio gusto che celebrano all’unanimità
l’umanità cretina ma leggera e disimpegnata come deve essere in vacanza, uno
spot dal tono serio, che avvisa che chi verrà trovato a comprare merce in
spiaggia, quindi non dai locali o anche ad accettare massaggi da gente
improvvisata, subirà una multa, di venti euro mi pare, e poi con affetto
rinnovato, seguendo il perfetto stile bastone/carota, specifica che questo
permetterà la legalità, e aggiunge, giocando sull’orgoglio personale, che noi
stessi contribuiremo a difendere il “made in Italy”, sorrido visto che
il made in Italy oggi, anche dei più grandi stilisti, è sempre
creato con l’apporto di cinesi sfruttati e a basso costo, non solo cinesi è
vero, sfruttati e a basso costo, ma ci accontentiamo di ogni latitudine, siamo
per l’accoglienza in questi casi, e poi
riparte la pubblicità della piadina romagnola, macchine della polizia sfilano
ripetutamente a intervalli regolari sulla spiaggia, in pieno giorno, quindi non
per controllare che non ci siano stupri, anche perché troppo chiasso e troppe
famiglie e troppa luce non arrischierebbero neppure il più assatanato degli
stupratori, ma probabilmente proprio per assicurare il made in Italy, made
in Italy che spesso non fornisce scontrino fiscale in Romagna, la Grassa e
Accogliente, e se lo richiedi a malavoglia te lo battono, scusandosi con poca
convinzione della sbadataggine o distrazione made in Italy.
Facciamo anche armi made in
Italy, ma siamo pacifisti, le esportiamo solo, ma non capiamo poi perché
tutta questa gente arriva da noi? Ci offriamo di aiutarli a casa loro, ecco qui
mi sfugge, perché da una parte li vogliamo aiutare a casa loro, ma casa loro
l’abbiamo distrutta noi, quindi che facciamo, gliela ricostruiamo e poi gliela
bombardiamo?
Ora magari il concetto made in
Italy se fosse onesto andrebbe pure bene, ma non state razzolando male? Ho
dubbi anche sul concetto, mi ricorderò tutta la vita di un massaggio fatto da
un pakistano in spiaggia, gli ho comprato anche un anello bellissimo e il mio
corpo non è mai stato tanto meglio in vita sua, questo era veramente bravo
altroché, incredibilmente rispettoso e bravo, ai miei muscoli, alle mie ossa,
ai miei brividi e alla mia mente che si librava e sconfinava nel Nirvana senza visto e con impronte
digitali farfalle non gliene fregava nulla, assolutamente nulla che non fosse
italiano.
La dispettosa Calipso si travestì
da mortale e si mise sulla seconda fila del Bagno Gildo che dava sul mare. Che
orrore pensava, per rabbia aveva mandato meduse a costeggiare tutta la spiaggia
e bagnanti uscivano saltando con abrasioni e non osavano avvicinarsi all’acqua.
La dispettosa Calipso poi non capiva sinceramente perché queste
donne umane stavano a pagare cifre esorbitanti per fanghi e impacchi di alghe
contro la cellulite, quando lei, quel pomeriggio, aveva offerto loro un mare
pieno d’alghe e se la rideva quando le donne entravano per un tuffo in acqua e
se ne uscivano coperte di alghe verdi urlando.
Calipso non è che non si notasse,
aveva gambe muscolose e agili da nuotatrice esperta e un seno appena accennato,
lo teneva scoperto, la divertiva scandalizzare le famiglie con carrozzine e
figli al seguito sulla spiaggia, la innervosiva quella donna media moralista e
ridicola, tutta pappine e pannolini che non sapeva parlare di altro, gli
sguardi lascivi dei mariti le percorrevano il seno, per battere in ritirata
appena sorpresi dalle mogli, sembravano quelle lumache d’acqua che si
ritraggono appena le sfiori, ma le mogli, comprensive, fedeli, stupide, schiave
del loro ruolo, facevano finta di non dargli peso. Calipso aveva la nausea, ma
aveva deciso di passare un giorno tra gli umani, se l’uomo che Calipso si fosse
scelta avesse guardato in tralice un’altra Dea, non parliamo poi di una comune
donnetta, lo avrebbe incenerito lei stessa.
Calipso da quando era successo
ciò che era successo con quello stronzo di Ulisse, soffriva della crisi dei 7
anni, arrivata al settimo anno si disfava di chiunque, un tempo ridicolo per
una immortale. Ma non accettava di essere lasciata.
Dopo l’ennesimo spot sulla
piadina romagnola, Calipso ne ebbe abbastanza e si mosse verso il bagno con
l’andatura di un felino.
Calipso stabilisce un tempo
presente dove muoversi adesso, gioca spesso con il tempo, ovvero crea un
presente che rimane tale senza che diventi passato mai, una sorta di infinito
presente, inconcepibile per noi esseri umani, salvo quando siamo innamorati, ma
di regola ce ne dimentichiamo, dilata il tempo come un elastico, blocca in un
fermo immagine perfetto il resto. Può, se vuole, aumentare la velocità del
tempo e farti invecchiare in un secondo, o bruciare la tua vita con uno sguardo
fino a farti tornare nella culla, o ancora prima del parto, o in un atto di
sublime perfidia fare sì che i tuoi genitori quel giorno fecero altro e allora
tu non nascerai mai più.
Calipso vede tra gli ombrelloni un ragazzo sperduto che si guarda
intorno, vorrebbe chiedere ma non chiede, la Dea sente ogni vibrazione, capta
il suo imbarazzo, l’ adrenalina che si porta addosso, gli dei sono animali, lui
vede questa donna che lo fissa nell’indifferenza della gente, tenta, con
timore, un approccio goffo, gli escono mezze parole, di cui lui stesso non è certo, come le dicesse pentito in
anticipo, temendo un rifiuto:
- “Hai qualcosa? Ho fame”.
Calipso gli è vicina, anche se
lui non ha avuto alcuna percezione del movimento, gli dei hanno abilità di
vampiri, uno sguardo è una radiografia dell’anima, si muove come se il mondo e
il ragazzo compreso gli appartenessero da tempo, come fosse il vento. Lo
avvolge e risponde:
-
“Ti va di mangiare qualcosa, andiamo al Bar?”
Il ragazzo interdetto dopo avere
rivolto la stessa domanda per una giornata al controvento dell’indifferenza,
dice timidamente “si” e la coppia passeggia verso il Bagno, “Di dove sei”,
chiede Calipso squadrandolo, “Sono nigeriano ma vivo a Ravenna, parli inglese?
Non parlo bene italiano” Calipso risponde “L’inglese io? No, se vivi qui ora
imparerai l’italiano” “Si, vero” aggiunge il ragazzo. Calipso gli accarezza le spalle e nota la sua
cicatrice sul volto, tutto il resto lo sa, conosce tutte le cicatrici della sua
vita da prima che nascesse, una lettura in braille, nel totale silenzio di
sguardi tangenti tra i due, gli legge maree nello sguardo, addii nel cuore,
lotte, rinunce, sogni a un passo dal burrone, ma è attirata dalla sua dignità,
Calipso ama le persone che sanno portare la dignità come uno scudo, con quello
sguardo che crea distanza, come a dire: oltre questo mio spazio che ti concedo
tu non vai, e quello spazio-distanza che indossano gli uomini coraggiosi è
rispettato dagli dei, perché gli dei intuiscono che quegli uomini preservano la
loro anima, non sono in vendita. Calipso studia il ragazzo, “hanno dignità
tutti quelli che vengono dal mare, sono come noi, sono come dei”. Arrivano al
Bar, il ragazzo non immagina di essere entrato nei favori di una Dea del mare.
-
“Cosa prendi?”
C’è un solo bombolone in una teca
vuota, le paste del mattino sono tutte state depredate, e lì c’è questo
bombolone, solo, in mostra nell’acquario vuoto di zucchero a velo, il ragazzo
indica timidamente “Quello”, Calipso - “Vuoi solo quello?” - probabilmente se avesse chiesto l’universo
Calipso glielo avrebbe concesso, lui sempre timido, osa :
- “Si e … una Coca Cola”
Calipso con uno scatto felino
fissa le pupille del ragazzo dietro il banco e più che chiedere ordina:
-
“Quello e una Coca”
Il ragazzo afferra il bombolone e la bibita, Calipso chiede dov’è
il bagno, davanti allo specchio tenta di convincersi a non portarlo nella
grotta, deve solo dare, solo dare e non deve farsi scoprire, spesso il suo
desiderio di protezione, verso chi le piace, la spinge come un animale a
portare chiunque nella sua grotta e a isolarlo dall’umanità, a volte se ne
innamora, come era avvenuto per quel coglione di Ulisse, a volte vince il suo
spirito materno, come stava avvenendo verso questo ragazzo, ma fatto sta che si
deve sempre dominare.
Uscita dal bagno, trova il
ragazzo che mangia con gusto al tavolo e beve la sua Coca, gli lascia qualche
moneta, “Sono per un caffè” il ragazzo la saluta con il sorriso e un gesto
della mano, Calipso lo saluta con un sorriso carico di speranza, poi guarda il
ragazzo dietro al banco con sottile
minaccia, assicurandosi che il suo recente amico non sia disturbato e
possa finire la sua merenda in pace.
Non dimenticò mai il sapore di quel bombolone sulla spiaggia,
quella giovane donna gli aveva dato speranza, quella che lui stava perdendo.
I gesti sono preziosi, a volte
sono tutto, nel bene e nel male. Gesti che cambiano l’umore e persino le
strade.
Calipso, dopo quel gesto, si
trascinò pigra nell’acqua, le meduse la seguirono insieme allo sguardo dei
bagnini e mentre scendeva negli abissi con grande pace di tante mogli, assorta si chiese
Chissà di cosa sa la Coca Cola
poi il mare si chiuse sulla sua
testa come un soffitto d’acqua .
Calipso - Eloisa Guidarelli |
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Athena - Eloisa Guidarelli Eloisa Guidarelli . pittrice - Blogger |