Quello che il tuo amore mi è costato, il tuo amore
incondizionato, in posa, come una statua di marmo rosa, si è spaccata
all’altezza del cuore, ci passo la mano, è di pasta turchese il paesaggio che
attraversa le nostre offese, questo mi è costato il tuo amore speciale, un
ettogrammo di sale, glielo schiaccio un poco sulla ferita? Pensavo non si
vedesse, il cuore sta sotto le tette. Mi è costato il tuo amore ereditato, l’ho
in fondo pagato, il tuo amore esagerato, ho pagato un prezzo diverso, quello
che è giusto fare, sopravvivere o amare, pesa tonnellate quello che mi hai
dato, l’anima trattenuta tra le mie dita, come una piuma, come la vita. La mia
leggerezza acquisita come una vendetta, costata troppe morti interiori, come
un’amazzone appena disorientata, cammino a fatica tra i cadaveri che fanno
specchio di ogni bugia che detesto, e quante volte mi sono sentita dire “sei
forte”, non ne capisco ancora il significato esatto, qualcosa mi sfugge, ero in
difesa o in attacco o era la stessa cosa, se così fosse questa forza mi
stordisce perché è una Fenice astratta risorta troppe volte che comincia a
ricordare solo la disfatta, e ogni volta che si rialza a stento si domanda
quanto valga la pena questa immortale altalena, dove ogni giorno che risorgi è
di una parte di te che ti spogli, e mi ha invaso il tuo amore come dovessi
sfondare il portone di un castello, ed è sadico il tuo amore anche se posso
scegliere le armi per il duello, chiedo scusa per questa mia irruenza a
sguardi, a parole, per questo trascinare altrove una calma apparecchiata, verso
la mia impazienza, è che sento l’inconsistenza di questo tempo raggirato, mi
manca il fiato per la corsa senza tempo che ho dentro, sono in carcere
condannata nella mia mente e non ci ho capito niente, segno i giorni andati nel
sognare un’evasione che forse è l’unica prigione, adesso sono quasi perfetta
con questa armatura di carta disegnata stretta, la lama affilata per sogni
nuovi, perché non ci provi? E siamo da sempre allo stesso processo, per stupro,
per arte, per essere femmine, perché qualcuno ci ama meglio nell’anonimato del
suo malcontento. Artemisia prostituta, Artemisia pittrice, Artemisia che nel
tuo nome stava già la tua professione, Artemisia che vogliono fermare, l’arte
fa male, può persuadere, può persino darti potere, non mettere il sedere dove è
quello del padre, l’arte può giudicare, l’arte è senza sesso, è oltre il
pensiero, forte come un giuramento, questo processo lei l’ha vissuto dentro, da
tempo. Ma tiriamo le somme, tiriamo le corde, torturiamo le sue mani,
colpiamola nella sua dignità e per tutte le sue età, quelle che ci sono
sfuggite, quelle che non abbiamo capite, quelle che ci siamo perdute, puniamola
questa donna per la sua notorietà, per la sua vittoria, facciamole pesare il
fatto di sognare, facciamole sentire che non ci può tradire, che non gli sfugga
chi comanda, chi domina, chi guadagna, chi è questa donna del passato che si
permette aria di sfida e cosce strette di farsi strada nell’arte, e di farlo a
modo suo, creare il presupposto che per altre ci sia posto… Che il mondo l’ha
affrescato Dio sempre un uomo a modo suo…
Uccidi oggi e domani e ancora, perché così si ottiene il silenzio,
perché solo così al suono della tua voce non farà mai eco un dissenso, e uccidi
oggi domani e ancora perché fa male vedere nella tua dolce metà la tua nullità,
e tu oggi uccidi e domani e ancora, ti feriscono a morte le sue potenzialità,
ti ferisce la sua bellezza, la sua destrezza,
come una farfalla nel suo giorno di festa, come è perfetta in quello che
resta, quale forza a decretarne la vita a decretarne la morte, soldatino di
piombo legato alle sue caviglie, la trascini nel fondo gustandoti le sue
meraviglie, si gonfiano abiti, sembrano una danza, sembrano una lotta, le sue
gambe che si agitano nella tua vista dal basso, la sua trasparenza,
quell’immagine sfuocata che dà l’acqua a un’Ofelia distratta, che aveva
creduto sinceramente alle tue passioni diverse, alle tue promesse perverse, e
ti porti dentro l’ultimo sguardo di stupore, una Desdemona che hai creduto
inferiore, una gelosia che è stata tragedia di quello che hai visto eppure non
era… E Anna Karenina si è buttata sotto un treno… doveva tenere l’amore a
freno, non è sano per una donna di qualsiasi tempo godersi senza colpa ogni
momento, così anche la letteratura ci vuole ammazzare per la stessa paura, e
brucia eroine la storia per poi farci sante nella memoria, e poi Signore delle
Camelie, Madame Bovary, e Maddalene stremate, che dal suicidio alla malattia,
alla redenzione, fino a un certo punto, persino nei romanzi devono scontare
qualcosa di vero come l’istinto di amare, è nel romanzo, nella storia, nel
vangelo, nella canzone che dà più emozione,
la donna indipendente pagherà sempre, con la vita, con la prigione, con
il processo, con l’umiliazione, con l’isolamento, con una A di adultera che
occhieggia da sotto una gonna, con questa condanna che si masturba e spia dal
buco della serratura e al pari di tanta
masturbazione sarà la nostra punizione. E nasciamo ancora, il retaggio del
passato affianca il nastro rosa. E si sa poco o niente di Sonja Tolstoj
vissuta all’ombra del grande scrittore, tra gli scrittori che amo di più, ma il
genio si sposa sul nome maschile, si sdraia e si allunga, è sempre virile, le sue nevrosi e le sue pazzie, le sue geniali isterie non
sono mai passate a processo, era un genio e il resto non faceva difetto, di una
moglie quasi impazzita, disposta a raccogliere i suoi brandelli nei tempi
peggiori non c’è stata neppure la disponibilità a seppellirli vicini, il genio
le ha chiuso le porte in faccia, l’ha schiacciata con la sua superiorità, le ha
negato un passato comune, promesse leggere come un letto di piume, vorrei tanto
un risarcimento tangibile per questi fantasmi presenti e passati di donne a cui
sono state negate potenzialità, futuro e persino verità, di strade macinate
sotto piedi scalzi e feriti, di sogni traditi neppure arrivati alle labbra,
vorrei davvero uno spazio diverso in questo mondo perverso e maschile al quale
ancora oggi aneliamo come tante Adele H, fino a perdere la percezione di noi e
dei nostri vigliacchi amori trasformati in eroi, fino ad avere un’assenza nello
sguardo che non è traguardo perché è solo morte apparente di quello che un
giorno sentivamo e che oggi non è più presente, il cuore si è stancato, ha
ceduto, ha provocato un cortocircuito mentale per cui non è più possibile
sentire il male, ma neppure amare, e ci muoviamo con i polsi avanti pronti alla
caduta, con uno sguardo colmo di pioggia e i capelli sporchi di vento, dentro
l’eco di un silenzio e freddo che percorre le vene, catene che sono diventate
leggere e inconsistenti, solo perché siamo fantasmi e i fantasmi non li fermi.
Stazionare con le mani pesanti e braccia cascanti lungo il corpo su letti
d’acqua, dove il peso dei polpacci, dei capelli che cercano il fondale sembra
appartenere al mare come i tentacoli delle meduse che si fanno portare. C’è un
esilio a cui anelo a questo punto, da tutto, dove posso sostare nuda senza
paura di alcun giudizio, nessuna frattura di tempo, un circuito fluido, liquido
e lento, mi serve stare con la faccia rivolta al cielo, seppure reclinata di
lato, per via della carezza del vento, come uomo astratto a cui permetto
un passaggio sulla guancia, la mia mano
poggiata aperta sul capo, il palmo rivolto al sole come nido caduto, il corpo
sdraiato e pesante eppure neppure presente, tra le gambe che si sostengono
vicendevolmente ginocchio contro ginocchio, un triangolo nero, solo geometria
di un paesaggio di passaggio, neppure di rilievo, dal palmo bucato per una
pugnalata mancata dove miravi al cuore, è cresciuto un soffione, per esprimere
un desiderio. Fai che sia diverso. Che Eva si disfi di ogni colpa e dolore, che
Maria e Maddalena puntino il dito contro Dio, anche tu sei in errore, amico
mio. E disfiamoci dell’attesa del giudizio universale, di chi ci fa male, e
disfiamoci dei ruoli per generazione, di ogni dannazione, e non aspettiamo di
essere esiliate da alcun paradiso senza prima avere combattuto fino alla morte,
senza prima averci riso. Riso sopra, certo, ancora. Rido delle tue punizioni,
rido delle ingiustizie subite, rido e passo all’affondo, non voglio più
sensibilizzare il mondo, voglio che il mondo capisca da sé tutte le ferite che
portiamo addosso, quelle senza un umano perché, non voglio spiegare le cose,
non c’è più posto per indulgenza e sorriso, per raccolte firme e campagne di
scarpe rosse come cose indistinte, dove c’erano universi perfetti e inviolati
oggi lasciati, mancano i cimiteri e le croci per questi infiniti atroci crimini
passati a mala pena per errori, per destino, perché se l’è cercata, perché era
stata avvisata, perché non siamo niente, ecco come ci si sente. Non c’è
progresso, non c’è ascolto vero, perché queste grida ormai sono un sentiero che
arriva da secoli fa e non è neppure finita qua. Da sempre, da oggi, domani e
ancora, muoiono figlie, madri e sorelle, magari ne facciamo un evento sociale,
raccogliamo un po’ di fondi, sensibilizziamo qualche voce importante, diamo
persino voce all’arte, rischiamo di strumentalizzare un lutto, di fare un gioco
disonesto, del resto bisogna parlarne molto, bisogna parlarne, adesso e spesso.
E poi manca l’educazione, spiegare a un figlio di rispettare sempre una donna,
perché se il padre picchia la madre poi cosa mai ne potrà uscire e se la madre
lo perdona il figlio cosa potrà capire… parole, parole, parole, e cervelli e
psichiatri e trasmissioni televisive che fanno a brandelli donne già morte
nelle loro privatissime vite, e noi a mangiare, a guardare, a scrutare un
telegiornale, che in fondo da troppo tempo dà la stessa tragedia, crea
assuefazione, un nome fa numero non fa sensazione, come posso piangere per un
numero indistinto, se ti dicessi invece che hanno ucciso un sogno? Che era
perfetto come il tuo, colmo di attese, se ti raccontassi come si addormentava,
le sue paure, in cosa credeva, se ti dicessi che è morto qualcuno che poteva
arricchire dal profondo questo fetido mondo? Se ti dicessi solo questo, non è
morta per malattia, non è morta per un incidente stradale, non è morta per
infarto, è morta perché qualcuno l’ha deciso. Deciso. Reciso. Deciso. Ucciso.
Deciso. Condannata. Sentenza. Attuata. Come al macello. Senza Appello. Se ti
dicessi che aveva un odore, solo suo, come un fiore diverso, raro, che non si
può più sentire… perché qualcuno che è un nessuno ha deciso. Se ti dicessi che
al mondo manca, che l’universo conosce ogni più piccolo spazio d’erba acqua e
vita, se ti dicessi che una donna è un essere prezioso che respira e si
respira, se ti dicessi che per ogni donna che manca come per ogni albero ti
mancherà l’aria? Forse nel mondo un giorno si estinguerà ogni profumo, come
l’odore di qualcuno. Se penso quello che viene cancellato con una sola vita, mi
devasta dentro questa strage impunita, questo rosso che avanza in numeri di
scarpe e protesta, questa desolazione che resta su scale e piazze in scarpe
eleganti, basse e con i tacchi di passi leggeri, di sogni sospesi, di fantasmi
svaniti in tanti respiri, mi sembra di sentire le loro risate, le loro
speranze, le loro scoperte, le vite più mature, quelle troppo acerbe. Le parole
coniate apposta, omicidio di genere, femminicidio. Scempio totale di un mondo
in declino, che si chiude in se stesso dentro una paura che non lascia una
fessura di luce, un mondo maschile che sferra morte nell’atto finale, tanto non
ho niente da perdere, tanto non ho
niente da dare.
Uccido perché non può vivere
senza di me, e la uccido perché odio il fatto che lei se la caverebbe benissimo
anche senza di me. Poi forse mi uccido perché non posso vivere senza di lei.
Magari non mi ferisco a morte, l’importante è mostrare l’intento di farsi male…
così magari riescono a salvarmi poi… Io la uccido perché lei può fare a meno di
me. Io la uccido perché lei è mia, ma la uccido perché sa di essere solo sua.
Io la uccido perché ho la forza dalla mia, e la uccido perché è insostenibile
la forza sua. Io la uccido perché non ho altro argomento, per ottenere, per
imporle il silenzio. Io la uccido perché sì, posso piegarla solo così. E la
uccido, ma la colpa non è mia, è lei che voleva andarsene via, se non si fosse
ribellata io l’avrei per sempre amata.
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Foto Alessandro Taurino - Elaborazione Grafica Eloisa Guidarelli |