venerdì 24 settembre 2021

Che trovino te


 

 

Che trovino te

 

Non lo so quando tornerò a scrivere, forse il dolore deve scendere, toccare il fondo, restare lì, come un inquinante, qualcosa che c’è ma non si avverte, salvo quando non arriva improvvisa una corrente, che sposta la sabbia dei giorni e allora tutto torna a galla, ti ferisce, come solo il ricordo sa fare quando è reale, graffia fino alla gola e poi lento, braccia aperte come un cristo ridiscende. Uno schiavo buttato in mare dalla morte, la morte che decide e ti assale, e prima si era tutti lì in catene a remare, a remare. C’è una burocrazia che batte il piede, sento il suo tacco sul pavimento, la sua invadenza inopportuna, il suo fango da regina, e quello che di te cerco di trattenere ancora esce veloce e scivola lontano da me come un serpente nelle dune del deserto che attraverso. Non so più dove sei, sento ancora le tue mani nelle mie mani, conosco la forma delle tue unghie, ho ancora i tuoi sguardi nei miei sguardi, sento forte l’impotenza dei tuoi sogni non raggiunti, battono la mia cassa toracica quotidianamente, se potessi li farei uscire papà, se potessi porterei i tuoi sogni, se potessi farteli vivere e ancora farteli sentire. E loro mi hanno fatto male, quando stavi bene, quando eri sofferente e persino al tuo funerale, volano ancora  gli avvoltoi anche sulle ceneri, posso sentire il loro battito d’ali lento di chi ha tempo. Adesso guardino te nelle mie lunghe e nere sopracciglia, e che trovino te, nel mio sguardo che porta fiero il tuo taglio d’occhi, che trovino te nella linea del mio naso e che trovino ancora te quando saranno le mie labbra a mandarli a fare in culo.