domenica 19 luglio 2015

Never Again - Part nine


Linda - Foto Eloisa Guidarelli
Roger - Foto Eloisa Guidarelli


Never Again – Part nine


 

 

Interno KGB ufficio, il capo del KGB è sconsolato, stanco, devastato dagli eventi e dagli agenti, fa una telefonata interna.

 

Capo del KGB – Melissa, a rapporto nel mio ufficio e porti con sé quei documenti che le ho chiesto.

 

(Si sente sospirare all’altro capo del filo)

 

Capo del KGB – Melissa? Porti il suo culo qui!

 

Melissa – Capo, se il mio culo potesse muoversi da solo glielo manderei, ma vede devo asciugarmi lo smalto sulle unghie, non posso afferrare documenti ora, attenda dieci minuti, (con voce suadente e incredibilmente erotica, più bassa dell’epicentro terrestre) un po’ di attesa non ha mai fatto male, anzi, fa pregustare il momento dell’incontro vecchio mio!

 

Capo del KGB – Melissa Perdio!

 

Melissa – (Sbuffando) Non scomodi i piani alti arrivo! Che nervosismo al KGB!

 

Entra Melissa spalancando la porta con un calcio per non rovinarsi lo smalto, incede verso la cattedra del capo, un’alternanza di sollevamento del seno destro con quello sinistro, scandiscono la falcata dinoccolata, le spalle, che sinuosamente accompagnano la camminata, danno un andamento ondulatorio al petto, prominente, esploso dalla camicia semi aperta come una minaccia, Melissa non porta il seno porta due MOLOTOV. Alle sue spalle agenti rimasti in ufficio osservano come in un viaggio senza possibilità di ritorno, il fondoschiena di Melissa, le chiappe lanciate a destra e a sinistra a un ritmo folgorante, creano una sorta di ipnotismo generale, cala un silenzio come un sipario, dove il tempo e lo spazio, sono soltanto il movimento dato da un culo perfetto, che sembra mettere d’accordo ogni sorta di disputa mondiale, dove tutto, ogni più grande affare di spionaggio, si potrebbe al momento tralasciare. Il culo di Melissa è qualcosa come l’ora legale, ci si può solo regolare, stabilisce l’andamento dei minuti e delle ore, scandisce il tempo esatto per meglio morire. Melissa giunge alla scrivania, si china poggiando le mani aperte, le unghie smaltate di rosso, come stelle marine incazzate per essere state pescate da brezze marine, i seni enormi pendono sodi, inesplosi e minacciosi davanti agli occhi del capo, il quale si deterge il sudore dalla fronte, non si trovano meglio gli agenti alle spalle di Melissa, ai quali al momento è offerto uno spaccato del mondo a novanta gradi di inclinazione, cominciano, come su altura, ad avere scompensi cardio-respiratori, Melissa dovrebbe distribuire maschere d’ossigeno ad ogni passaggio.

 

Melissa – Desidera? Cosa posso fare per lei?

 

Capo del KGB – (Balbuziente) Bella scelta di parole agente, allontani quel seno che mi minaccia della borsa o della vita!

 

Agente – Bella scelta di parole anche la sua capo!

 

Capo del KGB – Lei esca accidenti! Tutti uscite da qui! Andate a farvi una doccia fredda, mi sento avvolto dal tosterone, da tasttetterone, da testosterone! Uno scioglilingua, non si respira! Melissa dove va lei? Lei deve restare! Ho qui un giornale scandalistico Melissa.

 

Melissa – Può chiamarmi Mela, e allora?

 

Capo del KGB – Allora io amo mia moglie! Cioè scusi, volevo dire, lei è qui ritratta, sorridente con questa ridicola coppa, leggo qui, che ha appena vinto un concorso per Miss Maglietta Bagnata, poi segue un’intervista, un’intervista nella quale ammette di essere un agente del KGB! Capisce? Io devo già stare dietro alle situazioni aberranti in cui si mette quella sorta di spia a nome Sergej, il KGB non può attirarsi l’attenzione, ne’ mettersi in ridicolo!

 

Melissa (speranzosa) – Le ha viste Sergej?

 

Capo del KGB – Melissa, le ha viste il mondo intero, purtroppo per lei è un pezzo che Sergej non ne fa parte, ma mi dica un poco, non avrà pensato a questa bravata per attirare l’attenzione di quell’uomo, è l’unico uomo al mondo che neppure la vede, lo sa che è perso irrimediabilmente verso quella donna, verso Linda. Sviene a intravedere soltanto la prima scarsa di reggiseno che porta quella scimmia francese, dopo che l’ha vista nuda non so quante volte, se Linda pronuncia una mezza parola, se si scosta di un attimo la maglietta, se fa un gesto qualsiasi e provoca un minimo spostamento d’aria che quel cane possa captare per lunghezza d’onda, Sergej sviene! Non c’è guerra Melissa, perché crede che tutto il KGB stia tentando da anni di risolvere questa faccenda? Abbiamo una spia inefficiente, inutile, un agente scelto e addestrato dei migliori ridotto a un cencio, purtroppo non è facile, sa perché? Melissa cara? Perché solo con lei è ridotto così, con noi e con la CIA è lo stesso uomo scaltro e imprendibile di sempre! Lo stesso spietato assassino! Melissa lei è licenziata.

 

Melissa (soffiandosi sullo smalto) - Capo, ha già provato a licenziarmi una volta, c’è stato uno sciopero di tutte le forze dell’ordine, da qui a oltremare, il KGB è insorto, non aveva più mezzo agente a sua disposizione, e quando ha tentato di sostituirmi, tutto il corpo del KGB è caduto in una depressione pericolosa, ricorda? Gli agenti mostravano stati di regressione infantile, non centravano più la tazza del cesso e si pisciavano sui calzoni, non si radevano, non si lavavano e non lavoravano, lei, capo, mi ha supplicata in ginocchio, una mia passeggiata e ho rialzato l’intero KGB, risollevato! Nello spirito, nel morale e nel…

 

Capo KGB – Lasci stare ho capito, ricordo purtroppo.

 

Melissa – Capisce che la mia presenza è fondamentale e cosa vuole che sia, vale bene un po’ di smalto alle unghie. E capo, non si diletti con quei giornaletti, lei un uomo di cultura!

 

Capo del KGB – A proposito di cultura Melissa, ma lei non ha voglia di sana rivendicazione femminile, non è stanca di essere l’oggetto sessuale di chiunque e di ottenere ogni cosa in questo modo?

 

Melissa – Capo, oggetto sessuale io? L’oggetto è lei, io mi chino e le sussurro cose dolci, esco da qui, ho ottenuto tutto quello che nessuna donna otterrebbe mai, io con una passeggiata le faccio dire sì a tutto ciò che voglio, chi è l’oggetto? Vi abbiamo sempre preso per il culo nei secoli dei secoli, ci abbiamo giocato con i vostri desideri e anche con le vostre paure, io mi sposo un uomo ricco, non importa se è pure anziano, non si può avere tutto e lo prosciugo di ogni suo avere, lo sfrutto e lo butto, lui è contento, colpito e affondato. Sono punti di vista combinati a un innato talento.

 

Capo del KGB – Certo Melissa, certo. Dunque Melissa facciamo così si prenda una vacanza, paga il KGB, e se ne vada per un poco, non posso avere il controllo di tutto. (Si deterge la fronte)

 

Melissa – Grazie, questo è davvero un bel regalo, vado subito a consultare qualche meta calda ed esotica. Grazie Capo!

 

Entra un agente trafelato nell’ufficio, sbatte contro la scrivania del capo con il volto ancora orientato  verso Melissa.

 

Capo KGB – Cos’è agente non si ricordava della mia scrivania? Pensava forse di camminare in aperta campagna!? In una valle verde?  Si ricomponga e si scordi per un poco Melissa, si è presa una vacanza! Allora mi aggiorni su Sergej. Posizione?

 

Agente – Perso!

 

Capo del KGB – Lo sappiamo questo, ma dov’è?

 

Agente – Perso nel senso che non ne abbiamo più traccia!

 

Capo del KGB – Come cazzo è possibile! (Un pugno sulla scrivania fa tremare una serie di porta-matite, cade un portaritratti con l’immagine della moglie del capo e si rompe) Raccolga mia moglie per favore, grazie, lasci qui. Mi aggiorni (si infila un sigaro in bocca, e se lo accende nervosamente).

 

Agente – Ecco ho seguito io stesso la faccenda

 

Capo – Complimenti!

 

Agente – Come mi aveva richiesto sono andato a confessarmi, sa quando Sergej aveva la copertura da prete, come al solito avevamo notato comportamenti strani e paradossali in quella chiesetta a casa di Dio… volevo dire in culo al… Distante. Temevamo potesse farsi smascherare per l’ennesima volta e che la CIA questa volta arrivasse prima di noi.

 

Capo – Per Sergej non so più cosa potrebbe essere peggio, caro agente, se arrivasse la CIA o appunto noi, prosegua, dunque?

 

Agente – Beh solo per studiare i suoi orari e comportamenti mi sono andato a confessare, inventandomi un peccatuccio lì per lì, ho finto di essere un guardone patologico.

 

Capo – Finto?

 

Agente – Si insomma, gli ho confessato che mi piaceva guardare le coppie che si toccavano e facevano sesso, e che … insomma con dovizia di particolari e deviazioni, ecco alla fine della confessione mi è stato risposto “Dieci seghe Amen” Capisce? Che poi amen l’ha detto minuscolo. Irrispettoso, credo.

 

Capo – E’ un consiglio idoneo, però è chiaro che non va bene per la copertura! Immagino abbia risposto così a tutti quanti, quindi solita situazione, è fuggito, non sappiamo dove sia, né sotto quale identità si nasconda, ma di certo sappiamo che si vedrà con Linda, attendiamo, immagino spunteranno i soliti morti al suo passaggio. Non riesce a non mettersi nei guai. Esca, ne ho piene le scatole per oggi!

 

All’interno della CIA Linda è davanti al proprio Capo.

 

Capo – Linda, dobbiamo cambiarti copertura, quella della scultrice non può rimanere, visto che esponi ovunque, ti ritagli articoli sul giornale, hai scolpito tutti i busti dei nostri agenti segreti in missione speciale che ora stanno schiaffando anche nelle Biennali d’Arte e nei Musei! Hai fatto saltare, oltre la tua, una trentina di coperture e perseveri!

 

Linda – Però sono passati alla storia. Li ho resi immortali.

 

Capo della CIA – No li hai resi mortali, perché i nostri agenti, quelli che tu hai scolpito sono morti come mosche, uccisi dai nostri nemici, tra i quali quel bel biondino del tuo fidanzato russo al quale hai fornito un bel busto di ogni suo nemico.

 

Linda – Saranno morti accidentali, cosa c’entro io, io sono una scultrice, e poi io non sono fidanzata a nessuno.

 

Capo della CIA – Quindi non lo ami più? Sempre che tu possa amare a modo tuo.

 

Linda – No, faccende personali.

 

Capo della CIA – Non ci sono faccende personali alla CIA, visto che ti fai il nostro nemico numero uno!

 

Linda – E’ ridotto all’impotenza, farnetica con una lumaca, è fuori di sé, non è più un pericolo, potrei ucciderlo quando voglio.

 

Capo della CIA – Bene, allora cosa aspetti? Che ci uccida i pochi agenti che ci sono rimasti, Linda?

 

Linda viene distratta da una immagine su un televisore dell’ufficio, previsioni del tempo da un’emittente privata, Sergej è in uniforme, barba di qualche giorno, come un personaggio di Corto Maltese, bello, blu, in divisa, indica con una bacchetta le regioni coperte da temporali , sembra sia sotto psicofarmaci, saltella e si agita troppo, sembra impacciato. Linda cerca di porsi davanti al suo capo, di coprire lo schermo un po’ distante.

 

Linda – Ecco, non posso ucciderlo ora, è una questione di principio,  la penso come Nietzsche “anche i nemici devono essere all’altezza” Sarebbe troppo facile ora per me.

 

Capo della CIA – Linda, non prendiamoci in giro, la CIA uccide da sempre schiacciando ogni nemico con mezzi anche illeciti, e sbattendosene della filosofia, e dell’altezza o meno di un nemico, uccidiamo giganti e nani, il tuo Sergej è capace di fare fuori un cieco perché il suo bastone lo urta, ti sembra uno che segua una qualche filosofia rispettosa dell’umanità? A quell’uomo fluisce nel sangue il massimo del cinismo! Abbiamo su di lui un solo vantaggio e sei tu, e ti ripeto che questo è anche il solo motivo per il quale tu sei ancora viva!

 

Linda – Io…

 

Il capo la interrompe.

 

Capo – SSSttt! Voglio sentire le previsioni per questo fine settimana, ma tu guarda hanno sostituito il tipo del meteo, era così bravo.

 

Linda trasale vedendo nell’angolo in basso dell’inquadratura due piedi distesi, qualcuno è stato fatto fuori nell’immediato e Sergej se ne è servito come copertura, devono essere morti anche i cameraman e Sergej si sta giostrando tra telecamere fisse, Linda suda freddo e spera che il suo capo non noti la diretta con i piedi del morto . Sulle mostrine di Sergej la lumaca sembra fissare il video.

 

Capo della CIA – Ma che cazzo fa? Ha aperto una finestra in studio e guarda in alto.

 

Linda si mangia le unghie. E per distrarlo gliele sputa nel coppino.

 

Capo Della Cia – Linda che modi sono! Ma hai visto quel tizio? Stava dicendo le previsioni per oggi, ha aperto la finestra e si è messo a guardare in alto, rieccolo.

 

Si sente la voce di Sergej, il capo della CIA alza il volume

 

Sergej – Oggi nuvolo! Si sbilancia di nuovo dalla finestra aperta, poi alle telecamere : Piove! Domani se non sarà seren si rasserenerà, e comunque domani è un altro giorno. Quindi che vi importa? Arrivarci a domani, altro che tempo! - Lancia la bacchetta – Veniamo ai mari, fin che la barca va lasciatela andare, i venti fischiano a nord, sud, est e ovest, fischia il vento e infuria la bufera scarpe rotte e pur bisogna andar… Linda ti amo, cosa fai questo fine settimana? Estate caldo – Inverno morsa di gelo – Non siete mai contenti, cazzo, quindi perché volete saperlo! Tanto il vostro fine settimana sarà comunque una merda!

 

Il capo della CIA sbianca e tira un calcio al televisore.

 

Capo della CIA – Avrei dovuto capirlo da come quel cretino dava le previsioni guardando fuori, eccolo lì, ci sbeffeggia anche mandandoti dediche dal meteo! Li ha uccisi tutti! Che fai qui impalata, corri e portami quell’uomo vivo o morto! Altrimenti ti conviene sparire con lui Linda, ma essere molto, molto brava a non farti beccare né da noi, né dal KGB! Esci!

 

Linda ha incubi e non riesce a dormire nella sua casa studio a Trieste, Sergej è chissà dove, ed entrambi sono braccati dalle più grandi potenze mondiali di spionaggio, deve lasciare tutto, sparire, ma è una scultrice, non si sente più una spia, mentre si rigira in preda alle angosce sono le sei del mattino e una voce a lei nota sta urlando per le strade!

 

Sergej – Donne sta arrivando l’arrotino ombrellaio, scendete in strada, arroto coltelli, forbici, coltellacci da cucina, asce bipenne, coltelli serramanico! Donne volete farla finita con le crisi coniugali, i tradimenti? Arrotino Ombrellaio, arrotate i vostri coltelli più belli, Arrotino Ombrellaio, soddisfatte o rimborsate, o soddisfatte e rimborsate, soddisfatte solo, decidete voi, Arrotino Ombrellaio!!

 

 Linda si precipita in strada con un coltello da cucina, a stento vede il volto di Sergej, un’orda di donne lo circonda e circuisce, tra lame e ombrelli, spunta il volto raggiante di Sergej che con un braccio in alto fende la folla con la lumaca sul palmo, una penosa statua della libertà nella ventosa Trieste.

 

Linda – Sergej, ma che cazzo fai qui? Ti cercano ovunque e ti cerco soprattutto io ! Ti devo ammazzare.

 

Sergej – Sei così drastica Linda, solo perché non mi si è drizzato una volta! Come ti amo Linda, dammi quel coltello.

 

Linda – Non è questo, anche se sai che per me sarebbe un ottimo motivo.

 

Sergej arrota il coltello e parla a Linda, le da’ un veloce appuntamento in un ristorante francese a Parigi, le dice che una volta lì le spiegherà ogni cosa, le restituisce il coltello, le sfiora le dita, e mentre sta per sfoderare uno dei suoi sorrisi più seducenti, scivola e cade all’indietro battendo la testa, una folla di donne si accovaccia per farlo riemergere, quando Sergej torna sulle sue gambe Linda è sparita e lui porta recenti tracce di succhiotti e graffi.

 

 

 

 

 

 

Un ristorante francese fuori mano, molto romantico nella romantica Parigi, a un tavolo a lume di candela sono Linda Gringa, spia a servizio della CIA, e il suo temibile nemico Sergej, spia al servizio del KGB, braccati entrambi da entrambe le superpotenze, irrimediabilmente innamorati l’uno dell’altro, l’uno con l’ordine di uccidere l’altro, nel mezzo alla luce oscillante della fiamma mossa dai loro respiri in penombra, Roger, la lumaca salvata in autostrada da Sergej, salvataggio che provocò una delle più grandi stragi sull’autostrada per Trieste. I due si guardano negli occhi e si tengono la mano, Linda è vestita come un ragazzo, ampi pantaloni e bretelle, pistola, fondina e cappello da uomo, una camicia trasparente e senza maniche, seno da adolescente ed eterno broncio. Sergej è vestito ancora da prete.

 

Linda tenendo la mano a Sergej – Sai che con questa copertura hai proprio l’aria da perfetto coglione e diamo abbastanza nell’occhio.

 

Sergej – Lo so, ma per fuggire mi era comodo, nessuno fa troppe domande a un prete, i preti vanno e vengono senza domande, solo confessioni, tutti guardano bene i preti Linda, a parte noi.

 

Linda – La penso come Nietzsche “Dopo essere venuta a contatto con un uomo religioso, sento sempre il bisogno di lavarmi le mani” Linda stacca le mani da Sergej e fa per voltargli le spalle, quando Sergej fulmineo la blocca.

 

Sergej – Chi è questo Nietzsche? Lo nomini spesso di frequente, si spesso in effetti è di frequente, insomma lo nomini! Poggia troppo sulle tue labbra, lo dovrò uccidere, quando l’hai conosciuto?

 

Linda – Sprezzante – Lascia stare, è già morto!

 

Sergej rimane attonito, Linda gli volta le spalle e fa per andarsene alla Toilette, Sergej tra sé:

 

-        Nietzsche… morto, verificherò, certo con un nome così… La vita deve essere dura.

 

Linda torna e si siede, cerca di rimanere calma, ma non le riesce.

 

Linda – Va tutto storto Sergej, io voglio fare la scultrice e quelli non me lo lasceranno più fare, e poi tu qui, vestito da prete, con la tua impotenza, perché non mi desideri più?

 

Sergej – Ma no Linda io ti desidero enormemente… Sai non saprei, lo stress, la vita da spia…

 

Linda tira fuori la pistola da sotto il tavolo e gliela posa tra le gambe .

 

Linda – Non mi prendere per il culo Sergej, mi parli come alla tua dottoressa? Secondo te io non sono stressata? Eppure non sono impotente!

 

Sergej – Ma Linda la tua … la tua … come dire, tu non devi avere erezioni, il tuo stress è più gestibile.

 

Linda – Questo è profondamente sessista!

 

Arriva il cameriere, francese, puzza sotto il naso, impettito, impeccabile, laccato, leccato, inderogabile, come uno spot pubblicitario. Guarda la strana coppia dall’alto in basso, astenendosi da giudizio che è già un pesante giudizio.

 

Cameriere –  I signori hanno deciso ?

 

Linda – No, ecco, noi, che cosa ci consiglia?

 

Cameriere – Oh benissimo, abbiamo Escargot à la Bourguignonne…

 

Linda trasale.

 

Sergej – Sarebbe?

 

Cameriere – Sconcertato dalla domanda, sottovoce verso Sergej - “Ecco Padre, le lumache, lumache, sa quelle che vengono bollite nell’acqua vive e poi…”

 

Sergej impallidisce, guarda Roger che impallidisce, Linda guarda Sergej a cui il colletto bianco da prete sta per esplodere per via delle vene tirate sul collo, lo sguardo di Sergej ha una lenta ma inesorabile trasfigurazione, deglutisce, inala ossigeno, volge lo sguardo omicida a 360° nel ristorante, vede coppie di assassini, Escargot, hanno ordinato Escargot, magari lì ci sono parenti di Roger, Roger ne fiuterà l’odore, la paura, Sergej comincia a fumare da orecchie e naso come una locomotiva, un piede scalcia sotto il tavolo come un toro che vede rosso, per controllarsi, inghiotte saliva più volte, ma il volto è cereo, imperlato di sudore, vene bluastre e rigonfie gli pulsano sulle tempie. Linda accetta l’inevitabile con il fiato sospeso. Poi Sergej se ne esce cercando di sembrare normale e cordiale, ma la voce risulta strozzata, sottile, perfino effeminata. Linda lo guarda con sospetto.

 

Sergej – Escargot? Posso vedere la cucina?

 

Cameriere – Beh ecco, in genere non si potrebbe Padre, ma per quale motivo…

 

Sergej – Benedizione, ringraziare per il cibo offerto, un gesto al cuoco di profonda gratitudine.

Sergej ha gli occhi a palla, capillari rossi strabuzzano attorno all’iride castana. Osservando l’abito talare di Sergej ora in piedi, Linda si illude, vedendo un rigonfiamento, abbozza un sorriso esultante, poi il suo sorriso svanisce, capisce che è solo l’arma di ordinanza nascosta da Sergej e non la sua preferita. Roger è sulla spalla di Sergej. Linda pensa che sia un vero peccato che Sergej sia così inutilmente erotico, con quella gonna. Il cameriere finisce per cedere al desiderio di Sergej e Sergej lo segue nelle cucine, in quel mattatoio di orrori, Sergej vede casse di lumache a terra, alcune che si arrampicano sulle pentole d’acqua bollente, è il tempo di un battito di ciglia, corpi di cuoco e camerieri sono proiettati ai muri, pentole d’acqua spente con idrante,  lumache messe sotto l’acqua, la porta bloccata da Linda, il ristorante intero sotto sequestro, Sergej, esce dalla porta della cucina come da un saloon, sembra muoversi in un film di Sergio Leone, si potrebbe avvertire la stessa colonna sonora, ha pezzi di sangue e cervello sopra l’abito talare.

 

Sergej – Chi ha ordinato Escargot, signori? Chiede con voce sottile e melliflua.

 

Si alzano mani in segno di arresa in un coro di “Io no”

 

Sergej – Qui le ordinazioni dicono il contrario, Escargot al tavolo 7, al tavolo 12, al tavolo 11, al tavolo 10, a tutti i tavoli! Allora, abbiamo queste possibilità, farvi passare la stessa esperienza, capire cosa devono provare queste adorabili creature e quindi dovrei farvi spurgare per giorni e poi mettervi nell’acqua bollente e ricalarvi giù ogni volta che tenterete di uscirne, vero Roger? Già, ma non ho tutto questo tempo e neppure pentole così grandi, così… Ora vi alzerete tutti, uno a uno, e andrete a raccogliere tutte le lumache dalla cucina, riporterete quelle ancora vive fuori, usciremo tutti insieme come a una gita scolastica, tutte quelle cassette di lumache fuori e con la massima cautela, se inavvertitamente ne schiaccerete una io vi farò inavvertitamente saltare il cervello! E’ chiaro?

 

Una fila di gente vestita elegante e di qualsiasi estrazione ed età entra nella cucina e cercando di evitare sangue e pezzi sparsi dei camerieri, raccoglie con cautela e dedizione ogni singola lumaca. Linda, Sergej, Roger e la folla del ristorante escono in strada, il resto è nell’edizione straordinaria della sera.

 

Capo del KGB con tutti gli agenti a raccolta.

 

-        Siamo nella merda fino al collo, abbiamo individuato Sergej, un prete fa strage in un ristorante francese, sembra sia esploso il tutto dopo la parola “Escargot” Penso si tratti di un codice tra lui e Linda, una loro parola d’ordine.

 

Agente – Forse Sergej è intollerante !

 

Capo del KGB – Le sembra un motivo per fare strage?

 

Agente – Beh per Sergej …

 

Capo del KGB – Sergej è intollerante alla razza umana.

 

Linda, Sergej e Roger sono per le strade di Parigi, mano nella mano. Soli. Uno squillo nel cellulare di Sergej, un sorriso piacione sul suo volto, uno sguardo torvo di Linda. Uno smile di Melissa dai Carabi su WhatsApp per l’irresistibile Sergej.

 

 

 

To be continued

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

domenica 5 luglio 2015

Se fossi

Eloisa Guidarelli Foto M.M
 
Se fossi

Catapultata in un’estate Corsa, avvolta dall’erba di macchia, con il frinire delle cicale, che vorrei mi riempisse anche il cuore e che l’anima diventasse un suono ripetitivo e uguale, dove potere dormire, dove potere restare. Stavo così, dietro un vestito da sera che mi superava di dieci dita l’ombelico, per il resto passavo la giornata nel campo nudista, distesa come offesa a una morale che si allontanava come spettro nel mare, quella morale piatta come le onde, dove la gente si confonde, che ha una piega rassicurante, cade elegante e composta, cade austera, rigida e risoluta. Priva di carne e di ossa.

Io ero tra tante senza costume a godermi un’abbronzatura di sguardi ruminanti, occhieggiare pigri, nulla di erotico, quando sei nuda sotto il sole a tutte le ore, circondata da gente nuda, nuda a scrivere, nuda a leggere, nuda a parlare, quando volevo provocare mi andavo a vestire, così potevano di nuovo guardarmi male. Tanto per non stare alle regole. Il giorno tutti nudi distesi, la sera tutti vestiti e segreti, la gente si lancia occhiate lascive, immagina con quell’erotismo pigro e limitato, sguardo in tralice, tangente a pezzi di nudo, a tracce di pelle, trasparenze, un capezzolo duro, ma sono brani di luce raccolti senza eccessivi sforzi, dopo il bar, dopo un gelato, con tutto questo caldo! Una masturbazione light, senza pretese, si cerca di intravedere quello che hai sotto il vestito, avuto sotto gli occhi per l’intero pomeriggio, pomeriggio finito. L’uomo ha bisogno di non vedere per desiderare, perché vedere non è immaginare, serviva la notte per trasformare animali al pascolo in bestie disposte a sbranare, per vedere la trasformazione sotto la luna di una persona, e si liberavano desideri. Tanti tavolini bianchi, vestiti da sera, scarpe, tacchi, musica e profumi, i corpi vestiti a dissipare bugie lente che ti avvolgevano dalle gambe alla mente. Strane notti artefatte, dalle quali volevi prendere distanza, o attraversarle in fretta, con la sensazione che occhi fossero mani aggrappate ai vestiti, con la netta sensazione di essere preda e parte di una enorme bolla di sapone, di un teatro sul mare dove non si è, dove si appare. Ero quello che non ti seduce, il cappello di paglia sul pube, ero l’ironia del sesso, e non ero innamorata, ero un panorama d’insieme guardato senza catene, ero la libertà additata come strega, quando questa se ne frega, ero l’albicocca che la tartaruga ti strappava a morsi dalle mani, e poi ero il suo collo antico che deglutiva, e poi ero la tua schiena nuda, mentre mi davi le spalle, le mani dell’alba che ti poteva toccare, l’odore di rosmarino, e poi ero sandali pieni di polvere che disegnavano semicerchi, mondi aperti e sepolti, insenature, golfi, soste nei porti, dove le partenze sono i ritorni, e poi ero disperazione sopra ogni ragione e dettaglio perché non ero io, ero sempre l’altro. Posavo lo sguardo che volava da una parte all’altra come farfalla seguendo i tuoi gesti, con distacco. E devo averti detto in un inglese indeciso, che il mondo stava soffrendo e stavo soffrendo anch’io. Mi scendevano lacrime, che tagliavano le guance cotte da giornate di sole, attraversavano lentiggini scomposte, come un fiume che scorre su ombre di sassi, come ricci la notte, percorrevano veloci tratti, non privi di rischi, code di pesci erano pensieri che correvano a nascondersi nel fondo fangoso, sotto pietre rotonde, avevo sponde per arginarli, e guidare gocce parallele come binari a sfiorare labbra offese e ferme, bagnarsi agli angoli. Lo sguardo al soffitto, la disperazione totale, piena, pesante, caduta addosso senza preavviso, come cala di colpo una zanzariera in estate. Forse il giorno dopo sarei stata estremamente felice, perché è naturale, spesso la gioia più forte è disperazione totale. E’ la capacità di toccare le sponde opposte, cercare le stesse risposte. E tu che non conoscevi bene l’italiano mi hai risposto nello stesso inglese strano: “Dovresti leggere Sartre” Non ho mai desiderato tanto parlare in francese come in quel momento, non per poterti davvero capire, per poterti mandare a cagare, perché odiavo litigare in inglese, io stessa non ne capivo le offese. Ma Sartre, consigliarmi Sartre in quel momento, era la spinta che occorreva a un suicida che contemplava il vuoto, come un volo nuovo, e cosa avremmo potuto fare io e Sartre se non volare abbracciati volteggiando in sensazioni uguali separate da generazioni, ricongiunte per sprofondare nello stesso abisso. Nelle stesse domande umane, volte ad arrovellarsi la coscienza fino a sminuzzarla come scienza, senza trovare antidoto migliore, al tempo, alle ore, al sano disprezzo umano, a osservare un sogno che quando muore non fa rumore, come il dolore. Cosa poteva dirmi Sartre? Che già non mi scivolasse davanti allo sguardo, lentamente, come molliche di pane gettate nel fondo del mare,  luci fioche e bianche che lente finisce per inglobare, cosa sarebbe cambiato del fatto che bocche di pesce avrebbero chiuso di scatto quel gesto in un atto, e avrei dovuto trovare altro per anestetizzare lo sguardo, dopo il sipario. Fare scorrere i pensieri, e trovarmi daccapo in percorsi inesplorati, dove avrei camminato con certezza ma senza direzioni, per muovere le gambe, strusciare i talloni, quali intenzioni avevo verso quella giornata, di incontrarti per caso, di fuggire da ogni casa, di entrarci solo come una ladra, e cosa poteva dirmi di questo tempo dilatato, di queste immagini in dissolvenza, lenta e logorante come la speranza, come una preghiera atea e sincera, per un Dio fuori da una chiesa, per un Dio in esilio, offeso e perso nel deserto del suo abbaglio. Per un Dio in punizione umiliato dietro a una lavagna, perché questa vergogna non è intelligenza. Per un Dio venduto ai mercenari, per un Dio clandestino, arrivato a piedi sull’acqua, superato il confino. E perché me lo avevi proposto come si dà un’aspirina a una che ha la febbre: “sto male”, “leggi Sartre!” Ti avrei forse risposto, quando avevi voglia di fare l’amore, leggi Catullo? Avrei potuto farmi scivolare la scrittura in gola, con tutta quella paura, ingoiarmi la vita di uno scrittore e aspettare il tempo esatto, che mi facesse effetto. Anche se è educativo non conoscere le lingue, si torna animali, si parla attraverso i gesti e si traducono istinti in personalissimi atti verbali. Potevo semplicemente appoggiare la testa sopra il tuo petto ed era perfetto che tu non capissi un cazzo.  Assolutamente perfetto. La tua intelligenza non mi avrebbe riguardato affatto, come donna poi il fatto che non parlassi era l’incarnazione del sogno del maschio. Ma sì, sono certa che l’uomo alla donna è inferiore, lo vorrei dire senza offesa, senza sessuale competizione, solo per prenderne atto, come che oggi è caldo, come che governano sempre teste di cazzo, è il vostro sesso, che vi ha ubriacato di potere, vi appanna lo sguardo, un ego stracolmo, la vostra mente non formula ragione, formula erezione. Potevo fare l’amore solo cominciando, e capire miliardi di cose non dette molto più precise e perfette, intuire intenzioni, e piccoli gesti, atti, sguardi, come tante costellazioni, osservarti come si osserva un cielo nero, con diamanti gettati a caso. Traiettorie di stelle cadenti. Senti. Se potessimo parlarci con facilità saremmo qui a scegliere le parole, a tentare di passare una qualche censura, a mentirci per paura, ad essere scaltri, poi essere altri. Invece a cosa serve. Quando abbiamo questo unico linguaggio universale, che sa cosa dire  e cosa tacere, cos’è naturale. Trovarsi senza appuntamenti, trascinarsi lenti, uscire da una porta senza salutare, rientrare senza appuntamento, avrei un calendario perfetto dentro, delle giornate spese, in fughe dai miei appuntamenti, amo non essere presente a me stessa, stupirmi  a fare del caso un qualcosa di ordinario a cui si fa caso per sbaglio. Se divento solo odore, se divento solo rumore,  versi, corteccia e polvere e sassi e vento, il mondo non mi può toccare, il dolore non mi può arrivare, come passa sulla terra quando l’attraversa. Che mi spalanchi come una finestra aperta, che  danzi come il vento con le pieghe di una gonna, che si gonfia, che si apre, che sale, come medusa dal mare, dove si esce e dove si entra, che sia mare mosso tra gli scogli, acqua implacabile sotto i ponti. Tanto sarei pura assenza, che mi sbatta come una porta, da dove si fugge o da dove si origlia, che mi trattenga come un segreto o che mi sputtani ridendomi dietro, che mi sospenda in alto come un mulino di foglie, che mi trattenga sulle labbra, esitante come le voglie, se fossi solo il frinire delle cicale non sentirei il male. Se fossi qualcosa di ripetitivo e di costante, un rumore rassicurante a uguali cadenze, se potessi con questo invadere la mente. Lasciare un biglietto al dolore di turno “Torno subito” , il tempo di prepararmi al male, di indossare l’armatura, di fare della paura un fatto d’orgoglio, il tempo di deglutire, di un amore sepolto e mai dimenticato che si porta come il fato nello sguardo. “Questa malinconia che hai negli occhi la sento” “E’ il cuore spezzato che ci galleggia dentro” Se fossi un metronomo nuovo sull’orrore che provo. Ritmo e nient’altro. Tempo e vuoto. E così mettermi a guardare. E’ liberatorio non capire, ancora di più non impegnarsi a farlo, traduzione simultanea dallo sguardo, e tradurre malamente un inglese a nostro desiderio e vantaggio, comprendo di te esattamente l’idea che voglio farmi, ti impongo proiezioni, e sì forse volevi dire così, che rassicurazione, la comunicazione al di là della comprensione è sempre stata a una via, la tua o la mia. Si parla al proprio specchio, l’occhio ci aggiusta per difetto, anche mancasse una parte del tuo viso, una linea del profilo, nella mia mente sta l’immagine capovolta e risolta. Non c’è un cazzo da fare siamo sempre noi quelli da amare, cerchiamo nell’altro una sorta di “viaggio”, qualcosa che faccia funzionare bene il nostro meccanismo interiore. Forse ci dobbiamo solo sintonizzare, forse ci manca campo e ci accostiamo ad un altro, “scusa non prendo bene me stesso, devo capire se con te ci riesco” “E’ perfetto accanto a lui vedo la mia pornografia” Pensare che da solo non ci potevo arrivare, devo regolare l’antenna e captare. Riesco a rintracciare le mie reti proibite, che vanno a rincorrersi nelle tarde ore, le cose di me vietate ai maggiorenni, quelle censurate ai mondi interiori, quelle nel fondo nero che intravedo, più nero del vestito che di dieci dita supera il mio ombelico, più nero degli occhi di Al Pacino, della paura di un bambino, più nero della fine di un amore, del dolore al petto che porta un odore, più nero del desiderio che si espone beffardo allo sguardo di un altro, più nero di questa giornata, più nero di una notte priva di stelle, più nero di una donna che cavalca la faccia della luna a gambe aperte, più nero delle tua barba, più nero dell’impotenza, più nero del desiderio sospeso all’attesa, più nero dell’inconsistenza della resa, più nero dell’odio, più nero della rabbia, più nero della ribellione, di un pipistrello, più nero di un pendolo davanti al tuo sguardo catturato in ritardo, più nero dello smalto alle dita dei piedi, di un tatuaggio sul finire della schiena, come una porta oscena, più nero di quello che vedi, più nero del segreto, più nero del rimorso, più nero della tua ragione quando per il mondo è torto, più nero di una condanna, di una confessione, più nero di un affitto, più nero di un lutto, più nero della vertigine di un orgasmo, più nero di questa morte e assoluzione in ritardo, più nero della morale…che male. Più nero del ricatto, di un pignoramento, di uno sbarco, di un solo momento, di un tradimento, della pena di morte, dei perduti diritti, di quelli che stanno zitti. Più nero dell’omertà, più nero di ogni età.  La tua lingua francese e il suo suono sulla pelle sono quello che occorre per il presente. E la vita non è altro che questo, qualcosa che comincia e finisce da adesso. Se capissi il tuo francese non sarebbe così affascinante starti accanto, si ama davvero solo chi ci è il più possibile sconosciuto, si ama la possibilità, non la realtà, e poi è la solita storia si ama soltanto noi, e solo per una volta, del resto presto ci stanchiamo, appena ci riconosciamo. Nell’altro. A volte l’amore mi sembra un granchio senza sosta di quelli che cercano la conchiglia giusta, ma non per capirla, per abitarla. Noi l’altro non lo capiamo, ci abitiamo e ci abituiamo, gli entriamo dentro poggiando le chiavi dove d’abitudine lo facciamo, ci accomodiamo. E’ nostro, e ci stupiamo quando qualcosa non va per il verso giusto, la nostra casa ci ha sbattuto fuori, privi di tutto. E dire che noi non facevamo che entrare, buttarci sul divano, lanciare via le scarpe.  Merda, tutto quello che ero l’ho lasciato chiuso là. Riapri la porta rivoglio me stesso, in mano ad avvocati quello che siamo stati, fogli, conti in banca, siamo stati tutto quello che manca. La mia immagine della vita è un cinema all’aperto su sedie scomode, una condivisione totale  senza che nessuno si possa ferire, ma potersi sentire. L’amore finito in una birra raccontato a un sordo una sera come un’altra, senza troppa meraviglia. Abbiamo fatto di noi stessi una proprietà, e abbiamo amato per incapacità, per incapacità di vederci davvero chiaro in quello che siamo. Non è cinismo, sono pratica, tangibile, sono dentro quello che sento, una volta tanto senza danno. Chi cazzo l’ha chiesto di nascere, non è che quando sei un embrione ti fanno sedere e ti fanno sapere una serie di cose, ma poi qualcuno di noi, ricorda il momento esatto nel quale ha compreso la grande fregatura, ovvero che poi arriva la morte, e quella è niente, è il vivere con quella paura. Lo si sa da bambini, vero, ma a quale età? Vorrei sentire tutte le risposte, le vostre. Come ve lo hanno spiegato la prima volta, come lo avete capito? E come ci siete rimasti, rimasti davvero in quello che dico. Certo per i credenti ci sono gli appetizzanti della vita, si fa schifo l’idea, ma te la rendo più saporita, se ti spiego che in realtà c’è un’altra possibilità, siamo di passaggio soltanto, e dovrebbe rassicurarmi questa passeggiata del cazzo? In cui ho il tempo di inglobarmi di merda, di vivermi ogni tipo di lutto, prima di lasciare tutto. Anche la reincarnazione, spiegata per sommi capi, può lasciare obiezioni, perché fondamentalmente la qualità della tua vita dipende da quanto sei stato coglione in quella precedente… Non so se sia peggio immaginare una vita davvero finita, che tante vite da cui ricominciare, in un eterno soffrire, senza memoria di un infinito morire. Le religioni superano ogni lettura fantasy. Aggiungerei anche ogni film dell’orrore, il fatto che poi ci siano servite e ancora ci servano per fare ogni sorta di strage, deve essere che non siamo delle cime nella traduzione, o il male che possono fare libri di un certo spessore anche letterario nelle mani sbagliate. E se invece non si vuole cadere in queste ingenuità, si sa, uccidere nel nome di un altro fa una certa comodità. Se poi questo è Dio, chi paga al posto suo? Come lo possiamo sbattere dentro, non è bastato neppure crocifiggere il figlio, anche la vendetta trasversale è andata male. Ma quale mente di lucida perversità umana ha creato le religioni, chi si è messo lì a spiegarci che è così, esattamente così. Oh beh le trascrizioni, i monaci amanuensi, e questo è un logico motivo per credere vero tutto quello che scrivo? Perché è passato nel tempo? Una bugia a fuoco lento. Si apre un campo pericoloso e qui apro e qui chiudo. Passo. E comunque se poi siete atei la vita è dura, per gli atei non c’è censura alla morte, per gli atei si aprono le porte e neppure quelle di confessioni segrete, a noi non ci resuscita il prete, noi con i peccati “mai guai”, non ce ne liberiamo mai, noi siamo tanti Don Chisciotte dalle ginocchia rotte, nella testa ci ha invaso il vento turbinando dentro da tempo, noi ce la viviamo da eroi, un’altra vita? Giammai! Ma quando muori dove vai? Polvere, cenere, memoria, prodezze, passare d’orgoglio alla storia, diventare immortali nei fatti, altro che c…i!

Ma tornando alla prima domanda, io non me lo ricordo quando e a quale età l’ho compreso che c’è una fine per tutto, e la cosa più sconvolgente è che la tua maglietta sopravviverà  a te stesso, che le cose, gli oggetti, le case e i sassi che getti, quasi tutto quello che tocchi, ti batte nel tempo. Non lo so cosa sento. Cos’è una voce in segreteria, quando siamo morti, per chi la sente, “al momento sono assente” per sempre? Perché se faccio il tuo numero non mi rispondi? E questo, solo questo, può portare alla pazzia, non quello che se ne è andato via, ma la sua voce che puoi risentire per ore, il respiro, le pause, il fatto che dice che ritorna più tardi. E vestiti e scarpe, tracce di guerre, di passi, di voli bassi. Cos’è l’odore che rimane, quale stregoneria ci appare, un filmato, una fotografia, il non esistere più, il non potermi sentire, quali occhi guarderanno il mondo se non lo guardo io a modo mio, io che da sempre vedo da qua dentro e osservo, registro, sento. Questa mia vita che può andarsene dal corpo dopo avere tanto esplorato, ventimila leghe sotto i mari distante da me, dopo tutti questi abissi svelati. Impossibile concepirci come nulla. Dovremmo essere tutti in manicomio per questa aberrazione, non c’è tortura studiata con più attenzione, eppure riusciamo persino ad essere felici, felici!! Euforici, riusciamo a sentire l’eternità in un minuto, in un odore, in un sapore, perché ce ne dimentichiamo… No, forse non è così, non si dimentica davvero una condanna tale, poi ci aiuta vedere la morte come persona e nemica, è una sciocchezza, il dolore non è nella morte è nella vita. La morte è quell’antica presenza di quando noi eravamo assenza, quando non avevamo nome e neppure un’idea, o un progetto di vita o anche una sfiga, non mi sento il proseguimento di mia madre o di mio padre, ma piuttosto un povero individuo nato da mancanza di preservativo, o qualcosa di andato storto in un rapporto che comunque valeva la pena l’orgasmo, se c’è stato, perché in caso contrario, già la vedrei più dura, intendo una bella fregatura. Non so se sono figlia del piacere, o della noia da morire, non cambia nulla, sono qui, per vivere e morire. Non mi fa più romantica la vita se mi dicono “sei stata desiderata”. Non mi hanno comunque interpellata, nasci come desiderio altrui. Prima di essere solo l’invito in uno sguardo, e forse più consistenti e duraturi, come gli oggetti, come i muri. E’ un peccato che ci siamo evoluti, allo stato di scimmie eravamo perfette, di questo mondo salverei ogni forma di vita esclusa la nostra, questo in tutta sincera risposta, alle qui sopra elucubrazioni, poi ci ritroviamo questo sentimento “l’amore”, l’unico aspetto immortale, e infatti non lo sappiamo gestire, noi stessi siamo vuoti a rendere, iniziati a finire… Come si può capire l’amore, questa astrazione come la passione, che rivoluziona dalle viscere al cervello, che quello che hai intorno rende magico e bello, questa stupidità alata, questo sentire irriverente che riduce la tua razionalità a niente. Che gioca a ruba bandiera  con il “Non qui e adesso” perché non è una nostra decisione, e voglio controllare tutto! Ne parlano di una malattia, dalla durata differente, a seconda di come ci si sente, giorno per giorno fino a guarirne, la sua guarigione spesso è quasi un decesso, anch’io sono guarita dall’amore ma prima si muore. L’amore se è amore finisce con una morte, con un dolore, non c’è pacca sulla spalla, condiscendenza, non esiste “rimaniamo amici”. Ti amavo, che cazzo dici? Sono cose diametralmente differenti! E non credo che con il tempo però… Il tempo non c’entra con l’amore. Non c’entra  neppure col dolore, mette distanze, veramente?  L’amore non si muove attraverso un tempo, non è tempo, non dà tempo, non ha tempo, non si conta, non passa, non resta, è dentro e poi non c’è più. Forse sei solo tu. Ma è davvero questa fregatura infinita tutto questo senso della vita? Siamo noi stessi circondati da noi stessi, siamo solo selfie? Che Dio fosse un sadico umorista? Oppure dopo avere creato un mondo perfetto, si è detto adesso provo una cazzata, e per puro hobby è nato l’uomo. E certo deve avere pensato “Minchia e adesso?” “Il danno è fatto, lo metto a tempo, lo faccio finire, tutto sommato presto, e per esserne certo, non fisso solo una data che sia, relativa all’anzianità, ci metto l’incidente, la malattia, la catastrofe naturale, insomma più eventualità!” E  che abbia poi aggiunto: “metto un ateo di mezzo, ho bisogno di uno che mi remi contro, per par condicio, metto quest’uomo senza dio, a rendere difficili le cose, qui come altrove e in lotta perenne con se stesso, uno che finalmente non mi scongiura e mi prega, uno per dio che se ne frega anche della maiuscola nel nome mio, di quello che sarà, uno che si  tormenterà però, nel dubbio che non ci sia altro, anzi in questa certezza, sappia godersi la bellezza del presente e mi renda orgoglioso di questa vita, che in fondo gli ho regalata, esattamente come di una giornata iniziata e finita e mai garantita. Certo che scompiglio fosse stato ateo mio figlio, diceva dio tra sé.  E tu con quale religione addormenti le tue paure?

L’amore, l’amore si serve di minuti dilatati che diventano ali, l’amore non ha paura della morte, forse ci assomiglia, l’amore tutto si piglia e certo ci fa paura. Non ha alcuna premura di noi, di come ci lascerà poi, l’amore, invade e attraversa. Neppure è eterno, neppure è per sempre ma ha il potere che così ci si sente. E questo basta, anche solo nel ricordo di avere percepito l’infinito nel tempo di un sorso. Che niente è davvero legato al tempo, così relativo, su quello che sento e quello che scrivo. E oggi ci hanno creato “Diari” i Social Network, e funzionano alla perfezione, hanno un grande successo, lo hanno perché l’uomo ha bisogno di un anestetico profondo, per muoversi nel mondo.
 
Eloisa Guidarelli