sabato 4 gennaio 2014

L'infinito


L'infinito - Acrilico e china su faesite - inserti mosaico - 2014

 

 

 

L’ infinito




 

Me l’aveva suggerito… sono l’infinito. Mi incanti. Il rumore del treno sui binari, il latte fresco dopo una corsa, i gabbiani che afferrano l’onda, l’artista che soffia nel vetro,  l’odore del rosmarino e dell’erba di macchia, uccelli che mangiano alghe al mattino sulla spiaggia che rimane, il gesto risolutivo dell’asciugamano sul tuo corpo, un fatto creativo di orgoglio, sono il caffè del mattino, le tue labbra gonfie di sogni lasciati soltanto all’alba, trattenuti fino all’ultimo istante, sono le reti sul molo ad asciugare, sapore di pesce e l’odore del sole sulla pelle, sono chi ti prende di spalle, la tua parte ribelle mai addomesticata come la risata che porti con disinvoltura sul volto, sono l’ascolto, sono il gioco a chi ride prima, sono la complicità muta, e sono le tue mani alla testa quando sento i tuoi “basta”, sono le tue dita che stringono le mie dita quando suggerisci “rimani” ma sembra una sfida, sono il presente e il passato, più di un uomo che hai sovrapposto, più di un uomo che avresti lasciato o sposato, quello che avresti tradito o voluto, l’arrivo e la partenza, tutta la tua incoerenza, i tuoi sbagli in fila, il primo frutto di stagione, la tua dignità, la tua confusione, sono un sipario che ti abbraccia, dove ti esponi alla scena e dove nascondi la faccia, sono quello che trema quando il tuo corpo nudo si butta di schiena, l’aria carica di elettricità prima del temporale, l’odore della terra ubriacata d’acqua e luce, il tuo magnetismo che si riproduce sempre uguale, e parli del male, cosa nascondono i tuoi occhi neri, cosa mi chiedi, cosa è passato sul tuo corpo come un Cristo risorto, come un Diavolo caduto, bleffato, cosa è passato su te, quali ferite invisibili e profonde mi stai facendo sfiorare, il peso che mi hai gettato, è stato per fare sentire i miei sensi di colpa mocciosi puerili, che si sono fatti oggetto di uno scherzo fuori luogo  e quindi a capo chino ritirati, “cosa avrai mai fatto tu io ho fatto di peggio, io… ho fatto di più” , dove siamo stati?    E io cosce di madreperla aperte come una culla, come una roccia, come pietra che affonda nell’acqua, dita appoggiate sulla tua guancia chiuse su se stesse come una proprietà che manca,  e questo infinito che si faceva strada nel cuore, passava attraverso la bocca come un sapore, divorava e stracciava con rabbia, setacciava ricordi come conchiglie sotto la sabbia e una fede che era palla da giocoliere, guarda la faccio volare tra le mie mani senza che possa cadere. Non lo farai mai. Tu di me cosa sai? Mi ama, non mi ama, mi ama - non mi A – M – A, una parola che altrimenti non si leggerebbe nei due sensi. Sguardi assenti, sguardi altrove, a scandagliare i pori della tua pelle, quanto è profondo questo fondale e ci saranno tesori nascosti lasciati dai pirati? Battuti a vista da squali come cani da guardia… l’inconscio, ci affondo, è come acqua fredda che avvolge centimetro dopo centimetro la pelle, e nuotare verso le tue bugie che si facevano belle, e la verità, la verità di quello che sei stato, capelli e occhi di petrolio nero, un mare di notte sedotto dalla luce di un faro, e pensieri lisci come l’olio, ti voglio, l’assenza di misteri e sguardi specchiarsi con le anime che stavano mani contro mani, non tradirmi domani, e poi certezza e irriverenza, come potresti tu? Strisci dietro la mia indipendenza, è cibo la mia assenza per la tua creatività, il distacco che mi piglio, seducente cinismo, ci si innamora sempre di quello che non si ha, ci si innamora della distanza, di qualcosa da conquistare, di ciò che dovresti lasciare perdere, di un brutto affare che pensi con abilità di fare fruttare, ci si innamora alla fine sempre e solo di sé, di chi appunto non si conosce un granché, e te lo dico e ci mangiamo con gli occhi, ci specchiamo in un caffè allungato di ricordi, mi avviso sempre prima di innamorarmi, quando è tardi, ma l’amore è qualcosa che sa sfuggire al controllo, qualcosa che sguazza nell’irrisolto, capace di attorcigliarti l’orgoglio e fare di te un asciugamano inzuppato lanciato contro la parete di quello che sei stato quando eri sicuro di te, l’amore avvolge, stravolge, lambisce, seduce e riduce chiunque a bestemmiare sulla preziosa strategia da buttare via, l’amore è la luna inzuppata nel mare di notte, risposte appese come mutande davanti alla tua faccia arrogante, insomma l’amore è predisposizione a un’azione che come un automatismo potrebbe farsi scherno di elucubrazioni, perché… l’amore va da sé, e uomini e donne che ci diciamo di pianeti diversi in questo siamo vicendevolmente perversi, quando cominciamo a supplicare, a ridurre l’amore in ginocchio a essere senz’altro l’esatta proiezione dell’altro, e a portare in palmo di mano l’oggetto tanto amato, lui da noi si allontana e noi da noi ci allontaniamo, l’amore è una sfida che deve rimanere alla pari, i sentimenti precari di equilibri uguali, perché se qualcuno dovesse chinarsi di più, lui non sarebbe più lui, peggio tu non saresti più tu, l’amore si innamora di chi basta a se stesso, l’amore ama l’indipendenza, è affascinato dal passo deciso, l’amore cerca il vincitore, per questo l’amore ti può fare sentire l’infinito e sorride sprezzante della tua ingenuità “per sempre”, tu sei mortale chi si innamora vive l’immortalità, ma l’innamoramento è un prolungato momento che deve bastarti tutto il resto del tempo, quindi è sbagliato contare gli anni dell’amore, ma quante volte hai vissuto l’infinito nel cuore, quell’equilibrio perfetto senza tempo ne’ spazio in cui l’amore era ricambiato in modo perfetto, quel bilanciarsi su una zattera sospesa nella corrente, ubbidiente alle decisioni del mare, l’amore fino a quando non si cade, perché non era ancora stabilito chi avrebbe comandato, l’amore è una tregua dove si studia il nemico e ci si predispone all’arresa, la passione è una lotta che disdegna chi si adegua, pretende l’affondo, rende erotica l’offesa, ma l’amore cos’è, quale parte di me e di te, ma l’amore che fa di tanta sicurezza, come ti riduce senza avere alcuna fretta, quello che ricordo di noi e quello che saprò poi, l’amore sa, l’amore rischia e poi rimane come un insetto incollato al palato di una pianta carnivora che era profumata, che era incantata, l’amore ti porge una spada, nasce sulla tua risata e ti chiede una prova atroce si spegne il sorriso quando finalmente ti da’ voce. L’amore è una Giovanna D’Arco tradita da chi difendeva, dalle voci che sentiva. E giorni di vento su castelli di sabbia e la passione fatta di romanticismo e di rabbia, e quell’assurda gelosia di niente, stupiti come ci si sente? L’amore è meraviglia. Quando tutto l’universo è finito in un giorno senza andata, senza ritorno, quando le lenzuola erano un mare in tempesta e noi non avevamo la testa per evitarci l’eccesso perché il sorriso era un istinto perfetto, buttiamo l’ancora qui, è nata così, una sosta in un atollo, un esilio contento censurato ad aghi di vento, una piscina d’acqua calda con la neve che ci circonda, un’ estate d’inverno per scherno e incoscienza, frutti fuori stagione come ogni ragione, avevamo lanterne rosse dentro gli occhi, e attiravamo pettegolezzi, c’era quella seduzione al mattino come un felino che inarca la schiena, ed era lontano l’eterno sistema, che voleva dividerci la giornata in ore e in cose da fare o da dire, noi eravamo soltanto l’odore, tempo da perdere che era infinito, potevamo dare la mancia alla noia purché non ci venisse a disturbare con qualcosa da fare, noi  avevamo altro, eravamo l’amore, corpi nudi e spade, lasciateci stare, lasciateci sospesi, toccare quello che sa di immortalità, discutere con Don Chisciotte su quali mulini a vento abbattere, è una questione ufficiale affrontata alla tavola rotonda, non compro niente, ho una guerra da fare, ho una Ginevra che sogna… Cosa suonate alla porta! Me ne fotto se il mondo sta per finire, se non stesse per finire come potrei sentirmi immortale. Questa storia tradita da minuti senza tempo, di sorrisi che rubavano giorni alle domande, a una razionalità distante, dove avresti dovuto tracciare una riga, c’era una danza proibita e la scenografia dell’animo rubato al contegno fuori luogo, questo poco, sentilo, afferralo, guarda come è bello, questo alibi sicuro nel presente quando qualcuno uccideva il futuro, ma noi non c’entravamo niente… si brindava all’istante,  ladri di sogni in fondo, di poco conto, ma additati da una moralità interiore, serpeggia, spinge, tira le braccia, mollami! Guarda questo corpo cosa ti fa dire, ho lasciato gli occhi troppe volte sulla banchina di ogni stazione morire, guarda questo sguardo cosa ti fa fare, senti le mani dove ti possono portare. Ogni lasciata è persa, si sale. E come due personaggi segreti appena abbozzati, ci muovevamo incauti e veloci, come idee precoci di un romanzo che altrimenti si sarebbe potuto cestinare, avvolti dal buio, o dai vicoli scuri, con l’entusiasmo che da’ portare addosso un segreto che andrebbe gettato via per fare cadere la polizia che insegue i nostri passi, ricercati per sentimenti onesti e oltretutto, cosa non comprensibile del resto, e degna di grave sospetto, il nostro amore condiviso e ricambiato in modo perfetto. Era poco prima, sostava tra due vagoni, passata una stazione, vibrava, e sotto i piedi scorrevano i binari, tra le sue labbra poggiava l’aria, si apriva la porta del cesso, e poi la porta del vagone,  lei quasi cadeva e poi richiusa la porta si sistemava di nuovo buttando la schiena, parlava con gente sconosciuta, per un istante, un’impressione, volti in dissolvenza, sposta questa tenda, fammi vedere la tua faccia, fammi toccare le tue labbra, lasciami abbandonare il capo contro il tuo respiro,  come un arrivo… Sento l’infinito, questo tempo esatto, veloce e dilatato, questa vita consumata in un istante che la morte danzante ha reso insostituibile come l’acqua, trasparente come una sorgente dove pesci rossi come labbra assetate stanno affacciate, e ossigeno e squame quello che rimane… E’  l’infinito che sento dentro. Quasi ogni momento e mi incanta. Quando poi dopo anni di luce e gallerie, Vivaldi porta le dita a ritrovare quell’angolo di vita privata, quel giorno immortale, quel pomeriggio moribondo che danzava intorno al nostro mondo e noi a piedi nudi, abbiamo preso le nostre vite e come vestiti le abbiamo lanciate al cielo, un attaccapanni di scherno nella sala d’attesa. L’arresa. Un gesto supremo, un atto osceno. Mentre la felicità era nuda sorpresa in posa, in un abbraccio che era un sostegno, che era un incastro, il tempo di un autoscatto, e quell’espressione rubata all’attimo, quello sguardo che si infilava nella serratura, sulla nostra paura di avere tradito per quel momento concesso, il nostro sentimento infinito di adesso, ha colto un sorriso quasi in difesa, anche se i corpi si prendevano di diritto la scena, l’amore pretende ufficialità, non si nasconde, si impone di faccia alla vita, vuole essere il personaggio principale, al resto è consentito ruotare, le braccia erano lievi, appena appoggiate, cascate, oppure sfioravano, come carezze che non osassero, o meglio, avendo già visto tutto, sostassero per un breve momento ognuna nel tempo distratto dell’altro. Ti ho presa, ti ho persa, ti ho amato ogni giorno con una scusa diversa, ti sento fin dentro le ossa, e ogni gesto, ogni passo, ogni bacio, ogni slancio, ogni mossa, ogni vorrei dire, ogni per sempre, messo sul mio conto, mi ci sbronzo con quello che si deve, perché questa vertigine che non dico è l’infinito. Può tenere il resto. E lei era bella, e lui era la terra, e lei era cielo e acqua, e lui era danza e i suoi occhi erano una notte cieca di stelle. Senti non c’è futuro… ci sbatteremo il muso, non senti questo finale ma farà  male… Non si deve continuare. Nuvole schiacciavano le nostre facce a terra come mani pesanti sulla schiena, il dovere entrava in scena e vite prestabilite, come azioni ricucite, come fili che trattenevano istinti, adesso io li ho dipinti. Mahler guidava il pennello, momenti d’acqua venivano in superficie insieme alle vertigini, alle ferite, alla minaccia, alla speranza, un attacco che avanza, sottopelle, in assetto di difesa, pronti all’offesa, contro un cavallo di Troia che avrebbe ribaltato ogni cosa, e l’amore visto scappare a braccia tese in alto, a urlare e solo dopo che erano morti tutti i progetti goffi, tormentarsi, lamentarsi, con le armi distanti, camminare lenti tra i corpi, sentire il dolore dei sogni sfiorare i denti negli ultimi lamenti, cosa abbiamo fatto? Perché non ci siamo difesi da questo inganno? Era il nostro ballo soltanto, era il nostro volo, eppure Hostess nere come suore, come sere in cui eravamo distanti, interrompevano il percorso tra le nuvole dei sogni, abbiamo passato il tratto di cielo proibito, ora potete ubriacarvi, potete bervi promesse prima che vengano fatte, ho aperto mani e sono volate dieci rondini, hanno fatto nidi sotto le tue ciglia tetti, adesso hanno la mia stessa acqua da bere, pozzanghere nere. Guarda sono quello che non si può, conta tutti i sogni che ho, sono alternati come unghie smaltate dei piedi,  sono tasti di un piano, una musica forte e folle, ti amo, come avessi una battaglia da vincere, qualcosa di più importante di una ridicola storia a prescindere, ho un conto in sospeso con l’arcobaleno più o meno e ora che con rabbia schiaccio queste lettere per portarti dentro la mia scrittura, non avere paura , è come giocassi sulla pelle della tua schiena. Trema. Senti le alghe capelli che lascio cadere sulle tua spina dorsale come soffi sul mare, e il peso di lacrime che in realtà hanno il capo reciso da ogni sorriso, trasformiamola in arte, così questa gioia riparte… e sarà come pescare in un pozzo acqua da bere che non si può esaurire, guarda dove finisci, sono branchi di pesci a sollevarti, d’istinto ti appoggi e ti stordisci su onde che sfruttano ogni gioco della corrente, non so più dov’era la fonte, ma l’acqua regge il tuo corpo quasi risorto come da una Pietà piangente, vortici e schiaffi di sale, si scende e si sale, si gode, si ride, si ama e si soffre da morire, senti l’infinito in ogni cosa, senti la vita nuova, senti questa linfa che attraversa la paura, ci sono entrata, una grotta dall’acqua bassa, un monolocale offerto da Nettuno senza affitto in nero, dove era benvenuto il pensiero libero da censura, cominciavo ad amare la mia paura, e l’aria di mare sale alle narici, inebria quello che pensi, invade quello che dici, si fa eco come risacca dentro la conchiglia che porti lentamente alla tempia, parlo col mare? Fai che questo giorno mi riempia di vita e che mi basti per sempre, e ho calciato come i piedi fossero una frusta, non ci sto, non ci sto, non ne farò mai parte, non c’entro con questa convenzione, sono un’evasa, sono quel minuto che precede la risata sul tuo viso, il tuo essere bambino, sono una porta aperta senza muri attorno per questo non mi rendo conto dell’aria che mi attraversa, sono così normale per questo risulto diversa, sono così felice di poco che è scambiato per un eterno gioco, sei un sentimento che costa troppo poco come fai a essere vero, come fai a essere buono? Che semplicità perversa che hai!  Sono così carica di quello che ho dentro… e di come ti sento, sono tutte le stagioni di passaggio e credo a ogni miraggio, perché vale la pena tentare di raggiungere un’oasi dove non c’era, e tu sei contento? Cosa c’è di diverso nel vedere pioggia nel deserto, cosa c’è di sbagliato nel sentire quella musica dentro che sta per venire e anticiparne i passi nel totale silenzio, cosa c’è di incoerente in chi sente e cosa c’è di azzardato in chi ha osato, e dov’è questo coraggio nell’impedire, quando partire è come morire, ho eroi capovolti e principi con le pezze al culo, sicuro, ma se posassi i piedi sul loro petto, come per un passaggio segreto, sarebbe come guardare attraverso un vetro dove nessun pesce si nasconde sotto un sasso, e il cuore sarebbe un frutto di mare che pulsa in qualcosa di trasparente e onesto perché da sempre intatto. Niente prede e cacciatori, solo odori, sapori, incontri e arrestare le difese soltanto per un giorno. Non sono quella giusta, questa vita è una truffa, e la gente si divide in chi finge di sapersela gestire e in quelli che non vogliono partecipare perché fa troppo male adeguarsi o morire, e bisogna lasciare troppe parti di sé, ma poi c’è l’amore, l’amore e la passione, sono l’unica eccezione, l’amore è rivoluzione, l’amore non accetta compromessi, l’amore invade come l’alta marea, l’amore attrae e predispone, ti straccia il petto come un regalo di Natale, ti mostra chi sei davvero e questo farà male, perché noi viviamo in uno spettacolo teatrale e dopo è un casino ricominciare. L’amore ti fa guardare l’infinito, e ti ci fa sostare abbastanza, mentre tu ti incanti nella più bella danza e ti sollevi fino all’Universo, prendi distanza da qualcosa di perverso, da una vita fatta per l’annullamento, per l’umiliazione e il malcontento, e sei stupita e ti domandi: ma chi sono io ora e cosa sento che non ho più paura? Hai annullato la morte, hai annullato il finale, hai annullato ogni identità falsa che di te dalla culla si avvale, non sei morta mordendo una mela avvelenata, semmai la morte l’hai ammaliata, ti sei disfatta dell’età, sei diventata la tua priorità, hai innalzato il piacere e il desiderio come un uccello che lascia uno scoglio, con leggerezza e distacco, un gesto perfetto e istintivo fatto per il solo motivo di avere le ali e volare. Te ne devi ricordare, perché l’amore finisce, e si finisce per precipitare, l’infinito si vive in istanti, si assorbe, come fa la pelle con il sole, e comunque se l’hai vissuto non lo puoi dimenticare, ci tornerai quando desideri davvero tornare. E dopo l’infinito si capisce la fine di ogni cosa, comprendi un ciclo, il senso di un cerchio, l’infinito esiste come sensazione e vale un milione di vite sprecate, può durare pochi minuti, il tempo della percezione, è una pugnalata di gioia a cui non siamo preparati tanto che ci lascia smarriti e felici, trafitti e storditi, ma forse questa nostra umanità non potrebbe conoscere l’infinito, ne’ sentirlo così chiaramente, se in realtà la vita non avesse un finale, la morte ci da’ il senso della vita, la nostra maturità non è pronta per la storia infinita, a mala pena gestisce la verità.