Salva col nome
Ieri stavi bene, eri sotto il sole, il sale e il mare
scandivano le ore, che non erano tempo, ma qualcosa che si respirava, qualcosa
come il vapore che ti avvolgeva poro a poro, era uno scambio giusto tra
l’epidermide e il resto, acqua trasparente, come ci si sente a meritarsi una
giornata di pura indifferenza, di noia conquistata, di abbondanza di ossigeno,
di una trasfusione di alba, di orme sulla sabbia, di scambi di risate con i
gabbiani e senti che ti ami, si insinua non del tutto un senso di colpa
asciutto, come un pesce che fa fuoriuscire una spina dorsale letale… per chi
vuole esplorare. E dentro sei conchiglia, sei meraviglia, sei scala a
chiocciola e sono serre le ciglia, che fanno filtrare la luce giusta e onesta
per coccolare il tuo sguardo, per inebriarti la testa, ti annusi le spalle, sai
di sale, di alghe, sei perfetta sensualità, faresti l’amore con te stessa se
non ci fosse differenza di età… E il tempo dovrebbe scorrere così, come il
riflesso sull’acqua, come le gambe che scendono nel mare e il freddo sale, la
vita dovrebbe scorrere così, con i capezzoli duri e i brividi di ghiaccio sotto
un sole implacabile che taglia ogni progetto di netto, la vita dovrebbe
scorrere così, con il tuo corpo perfetto che si lascia cadere tangente alla
parete trasparente che si richiude su di te come un amante dalle braccia
gelate, e poi fronte bagnata al sole, posizione del morto a croce, lambita da
lingue fredde di piccole onde, sponde perfette di pesci e di sale marino,
restare così, guardare il cielo come un soffitto condiviso da richiami, la vita
dovrebbe essere solo così, in modo che tutti gli errori possano restare sospesi
nel palmo delle mani rivolte alla luce, e dita aperte, perverse, come aculei di
ricci a difesa e lenta l’arresa, essere quello che si è, la cosa più complicata
che c’è. Ma poi cambio scena, non era la vita, era la scusa per una vacanza
finita, un tempo breve da scontare con noi stessi, fai in tempo ad amarti, a
capire i tuoi difetti, che sei finita orizzontale in una giornata come tante su
una barella di un pronto soccorso e cambiano i colori, cambiano gli odori… la
tua pelle abbronzata è uno schiaffo ulteriore, sei fuori luogo, sei tra
lenzuola bianche per errore. Comincia la sosta in spazi vuoti, in angoli
diversi di reparti… accanto persone che non riescono a ripetere per una seconda
volta il loro nome, per questo al polso abbiamo un braccialetto di carta con
scritto nome, cognome…. un codice a barre…Un codice a barre? Entri essere umano
e ti trasformano in prodotto e vorresti chiedere ma quanto costo? Ma attendi di
essere codice giallo, verde, bianco o rosso… è un fatto di precedenza
nell’urgenza. Mi sbattano accanto a una signora anziana che mi racconta delle
sue nozze d’argento, d’oro… non so di cosa parli, nessuna delle mie relazioni è
mai andata oltre l’anno… non c’è colore per questo… e l’ascolto come venissi da
Marte, la signora ha occhi azzurri come atolli di mare e capelli di sale e
un’energia invidiabile per i suoi 80 anni, mi racconta tutta la sua vita, parla
del suo compagno, dei figli, di targhe per nozze record, per tempi di
convivenza inverosimili, per me possibili solo tra statue in marmo scolpite
abbracciate… E’ felice, e ti ritrovi ad ascoltare, negli ospedali ascolti la
vita degli altri perché tu non parli, ascolti i lamenti, senti i rapporti tra
parenti, senti una figlia invecchiata che tratta male la madre ancora più
vecchia, stesa in barella. “Hai sentito il dottore, cosa ti ha detto? Si dice
grazie! Dici grazie con la tua voce, è educazione, ce l’hai la voce? Hai
sentito, no? Ti ha detto che adesso facciamo i raggi! E tu rispondi con la tua
voce grazie dottore!” Mi sporgo a guardare e mi rendo conto che l’anziana
signora sta già colloquiando con Caronte e che le trema la bocca e ha lo
sguardo perso negli abissi, io guardo la figlia, muta e immagino di avere una
rivoltella e di proiettarle il cervello alla parete e poi di sussurrare “Ecco a
lei non occorrono i raggi”, poi mi dico, ma cosa ne so io, di questo loro
rapporto… magari la madre è stata una madre nazista… non so nulla, però resta
il fatto che mi manda il sangue al cervello chi umilia qualcuno, fare provare
vergogna a qualcuno o anche solo tentare di farlo è la cattiveria e la
vigliaccheria più grande a livello umano, poi cosa c’entra l’educazione in
questo caso, dire: sì, grazie, prego… qui si è a colloquio con la morte più che
con il medico… Un portantino chiede a una signora molto anziana conferma del
suo nome e cognome, la signora sbuffa un labilissimo “sì”, il portantino fa
l’errore di richiederglielo per eccessivo zelo, la signora non se lo ricorda
più. E’ un fatto di energie… in ospedale si deve chiedere una volta sola e
sentire bene la risposta… è un fatto di riserve, si risparmiano anche i
ricordi… si mette sotto risparmio energetico la memoria. Gli anziani ne sanno a
pacchi. Provo a mettere sotto risparmio energetico la mia, osservo il mio
codice a barre, mi sento un prodotto Coop. Mi fanno una lastra e mi mettono nel
reparto di osservazione, chiedo che cazzo ci sia da osservare, hanno già i
risultati della lastra? “No, non ho visto nulla e anche se li conoscessi non
potrei dirle niente, neppure se mi guarda con quegli occhi bellissimi, sono
incorruttibile” Mah… non ho visto e se lo sapessi non glielo direi, ma cos’è un
gioco? Un indovinello? Hai sei anni? La sala di osservazione è composta da
spazi ricavati da quattro tende, come tanti vagoni disposti parallelamente… si
attende. Si attende. Si attende. Ti passa la vita davanti… pensi … al peggio…
ti chiedi se hai fatto qualcosa di male, fosse un fatto di colpe da espiare, ma
poi ti compare l’immagine ridente dell’ex presidente del Consiglio, e del fatto
che lui in ospedale ha un’intera ala riservata, qui al pronto soccorso ci sono
due medici in tutto che sbraitano su un codice rosso, un codice rosso che non
viene portato via d’urgenza come dovrebbe, e perché? Perché non ci sono
abbastanza portantini, non ci sono gli addetti a spingere carrozzelle e
barelle… e quindi si attende, se lui gode di ottima salute, l’ex presidente del
Consiglio che va a prostitute e minorenni allora non è un fatto di giustizia
sociale o morale finire all’ospedale, meglio così… l’idea che me lo potessi
anche meritare peggiorava le cose… ma no, se ne vanno i migliori, speriamo di
non essere neppure tra questi… Poi come a una tombola un medico agita una
cartella “E’ rimasto un solo codice rosso” “Non sarò mica io cazzo!” No, non
sono da codice rosso ma mi chiedono di rimanere per la notte “Ma sì rimanga con
noi, lei ha sette giorni di febbre che non accenna a calare, dobbiamo farle
degli esami, non è normale… ma sì resti con noi!” Me lo diceva come si
trattasse di fare una notte a Mirabilandia… “resti con noi”… ci mancava ci
stappassimo tutti la Coca Cola e facessimo un coro Hippy, quindi attendo ancora perché i portantini
non ci sono… sono pochi in tutto l’ospedale, dopo qualche giro nei reparti li
conosci tutti… quei tre o quattro… devo prendere un antibiotico che sembra il
Nautilus e faccio la cosa più assurda che posso fare, chiedo a un medico che
stava sbraitando al telefono con la cooperativa dei portantini che ancora non
si venivano a prendere questo codice rosso che forse stava già giocando a
scacchi con la morte, un budino. Lui rimane talmente esterrefatto che gli
escono dalla bocca frasi mozzate, incompiute, sbotti, gesti inconsulti,
l’infermiera alle sue spalle aveva gli occhi pallati di chi sta fissando la
fine del mondo… o un treno in corsa verso di lei, nessuna possibilità d’uscita
dalla domanda posta. Avevo la febbre da troppe ore e stavo delirando e chiedendo
un budino. Poi cambio scena e prendo velocità assoluta, chi spinge le barelle
un po’ ci gioca, come i bimbi con i carrelli della spesa, ti sembra di avere
gli occhi attaccati ai piedi e la mia prospettiva aerea partiva dai miei piedi
abbronzati e dalle infradito da piscina che fendevano l’aria, poi si schivano
tra portantini, inchiodano, virano, la barella quasi di bolina, sono
equilibristi e fanno saltellare sui lettini come omelette dei quasi cadaveri,
eccomi al mio reparto, la numero quattro, reparto misto, uomini, donne, tanto
cosa conta il sesso quando si sta male, un solo bagno, scende la notte piena di
luce, di corsie, di mani che ti infilano termometri, passano diversi dottori e
ripeti cento volte i sintomi, un Aerosol prima di mezzanotte e penso che a
digiuno e insonne da giorni a causa della febbre avrei confessato ogni cosa,
tradito gli amici migliori, con l’ultimo banale Aerosol … Supplico l’infermiera
che devo chiudere gli occhi, che continuino a banchettarmi domani. Che
incredibile notte di merda… a fianco una con il naso rotto…che mangiava di
notte e si lamentava e si rigirava, io non dormivo per la febbre e i brividi,
finisco per chiedere una coperta di lana in luglio con 40 gradi all’ombra in
esterno, arriva la mattina e i medici passano, avverto che parlano con il mio
vicino lato sinistro, mi sembra che un medico segni quattro orizzontale… sette
verticale… affondato, lui dice con un filo di voce: “Ho ingoiato la protesi e
sono anche stitico” Sento il medico fare telefonate e informarsi sul rischio di
una protesi ingoiata… da uno stitico…. chissà… sembra rassicurarsi, passa oltre
e ognuno fa il suo bollettino di guerra, la vita ci ha dato questo, 50
flessioni e faccia a terra. Poi parto
per il mio viaggio astrale fatto di lastre… perché la medicina è così… è
rimasta un po’ così, ti fai le lastre necessarie per vedere cos’ hai e queste
lastre magari ti preparano a un futuro tumore, prendi un antibiotico molto
forte ma hai una serie di effetti collaterali mica male… insomma la medicina è
un po’ così : “Hai male allo stomaco? Allora adesso ti assestiamo un bel colpo
in testa così poi con il trauma cranico vedrai che non senti più male allo
stomaco”. Comunque la diagnosi non interessa, sono viva e mi riprenderò, sono
uscita non senza prima assaggiare la fatidica minestra da ospedale, una pasta
al brodo talmente scotta che ti scivolava in gola come un’ostrica, come un
mollusco, ma senza gusto. Non importa cos’ hai, certo importa come ne uscirai,
ma la cosa che ti rimane dentro anche quando hai i tuoi fogli e le ricette da
seguire… è quel fatto che ci dimentichiamo… che possiamo morire, il fatto che
lo abbiamo immaginato, l’abbiamo vissuto, l’esito negativo e assoluto e anche
fosse solo stato nella nostra testa per un’intera notte, basta. Basta a cambiare idea, a sentirsi ancora con
un piede in quel mondo parallelo e oscuro dove non riesci a ripetere il tuo
nome, a dire grazie e a pensare che abbia un senso l’educazione, ammetto che ho pensato che se la mia vita
fosse finita qui… mi sarebbe pesata meno questa mia disoccupazione, la vita era
stata clemente e non mi aveva fatto lavorare solo perché presto me ne sarei
dovuta andare e invece ora che senso ha… siamo codici a barre, cartelle
cliniche, codici gialli, rossi e verdi o bianchi, sono codici gli anni, esci
dall’ospedale e non esiste più, eppure un momento fa c’eri tu… e piuttosto che
stare così supplicavi di finirla lì, di avere la fortuna di una morte nel sonno
senza bisogno. Anche la nostra vita è come quella delle farfalle, una ricca,
intera, gustosa giornata di balle, che il tuo volo sia il più allegro di questa
vita perché è l’unica bella consolazione quando sarà finita, la vita dovrebbe
essere così, fatta passare tra le dita come l’acqua, morti a croce ma solo tra
le onde, cascate sul fondo le gambe, e piccoli schiaffi rotondi dati dall’acqua
salata, finire nella risata di un gabbiano, sapere che siamo un tutt’uno. E poi
ricordo della notte in ospedale… mi chiedevo, quale è stata l’ultima cazzata
che ho scritto su facebook, là c’è la mia faccia profilo, la salute eterna,
l’eterna condivisione e ristoro, di un mondo che condivide gusti e opinioni, di
persone che puoi cancellare senza per questo farli morire, di “mi piace” e “non
mi piace” , di statistiche di giornate, nessuno sapeva che ero in ospedale e
come potevano … una faccia profilo è virtuale, poi io non amo comunicare queste
cose, distinguo il privato… ma mi nasceva spontaneo un parallelo, il primo
grande social network è stato il cimitero, certo non c’è questa facilità di
cambiare le foto profilo… ma per il resto… direi che ci siamo, se potessimo
come “File” salvarci in una chiavetta, in modo che da un giorno all’altro non si possa sparire così in fretta, non so
un “salva col nome” e mi assicuro un clone… un copia e incolla e mi vado a ripescare
un’altra volta, in caso di disgrazia… E se per l’Alzheimer bastasse un innesto
di memoria, come per i computer, potessi aumentare la capacità di… un fatto di
Giga e di promozioni al momento giusto e nella mente di questa persona
improvvisamente potrei trovare la sua storia, tutta d’un fiato, tutta daccapo.
Non so se un giorno sarà anche così, una cosa è certa, basta un giorno, una
notte in ospedale per cambiare il valore alle cose, persino ai minuti, anche se
poi da esseri umani risoluti ce ne dimentichiamo presto, forse questo non è
neppure un difetto, è sempre stato così, teniamo a dovuta distanza ciò che ci
spaventa, quando sei lì… cominci ad allontanarti dagli affetti, avviene in modo
semplice e naturale, ti avvicini all’idea di un ignoto capovolto col quale ti
potresti incontrare e come per i viaggi a solo andata ti procuri la tua scarsa
valigia, cerchi dentro te stesso oggetti e strati di storia, abiti di memoria,
senti che ti lasciano un sorriso distaccato, senti che il tuo corpo è un
vestito che hai indossato e che forse adesso non importa.