venerdì 17 maggio 2013

"Per sempre"

Foto-Grafica Eloisa Guidarelli



Le sorelle “per sempre”




Tutta questa vita incustodita, piena di rabbia, tutta questa vita come strascico di sposa fuggita e di mancate promesse per l’eternità, e poi tutta questa vita passata dagli occhi e finita su gocce d’acqua rotonde che strisciano sul vetro di un magnifico paesaggio che rimane rappreso tra le labbra e il vapore di un respiro, questa vita di timore, di ore, di acqua calda come l’aria. Questa vita di bestemmie sussurrate e di poesie dove si inciampa, questa danza di scimmie che hanno imparato la matematica ma hanno perso l’eleganza. Mangiare le voglie come le foglie dell’albero di una vita tradita e stare sotto l’arcobaleno, china, tenere il freno con le dita dei piedi, non vedi…

Camposanto di errori portati con vanto, profilo sinistro, un mazzo di fiori secchi, li getto come un colpo di frusta distratto nel vento intatto, talmente fermo che potresti tagliarlo con un filo, come polenta, la vita è in ritardo e gli anni vicini, appesi come biancheria da stendere al sole, come i nostri corpi, le nostre parole che cadono come monete distratte rovesciate le tasche. Mani alle orecchie, il volto distrutto, ho sbagliato tutto, mi ha mangiato il sarcasmo, mi ha sedotta il cinismo, ogni sbaglio mi avvolgeva i talloni come pozzanghere che fanno specchio ai temporali passati e ne imprimono i volti, sfuggenti, fatati. Ho osato per noia e depravazione, ho osato persino per confusione, ho osato per istinto e per narcisismo, ho osato cantare quando era fuori luogo, come a un funerale, come a un terremoto, ho osato per inquietudine, ho osato per curiosità, forse per sentire il male che fa e il piacere che da’ogni età. E poi ho osato sempre, perché non lo so, avevo l’acqua nelle orecchie, a volte devi compensare, la vita fa male se vai troppo in profondità, può mancare l’ossigeno. E’ così, a volte sono arrivata anche lì. Come faccio, come posso, questa società ci sta addosso, premuti, come in un autobus affollato, ti invade il fetore, sente quello che dici, ha sguardi in tralice sui tuoi vestiti, fermata prenotata, fammi scendere, è una vita sudata, ho ideali sicuri, ma intanto siamo tutti fianchi contro culi e si ondeggia e basta una frenata, per cambiare sponda, per amarsi, per uccidersi o farsi una risata, è una vita di massa dove c’è chi conduce, chi conduce si è sniffato la coca, ma ciò che conta è che ci si riproduce, e c’è chi scende e chi sale e chi si sospende per evitare, per attendere l’onda lunga, per tentare di galleggiare al di sopra. Al di sopra delle tue sopracciglia dove si estende la meraviglia di gesti incantevoli che non hai mai avuto ma che io ti ho inventato. Al di sopra delle tue labbra che custodiscono parole mai nate, in quel solco di velluto che porta alle narici degli odori condivisi di paesaggi immaginati, e sapori inventati all’occorrenza nati dall’incoscienza, al di sopra delle giornate condannate mai avute, al di sopra di ogni aspettativa, la vita nelle tua pelle soltanto, nell’odore, nel tatto, strisciando con la guancia, le labbra, i seni e il cuore, giochi fatti nel tempo che passa, registrati nell’immortalità interiore, nell’anima che non muore, e si rinnova, come quando tiri un sasso nell’acqua e lei ti restituisce la faccia, “per sempre”, parole che vanno oltre i migliori auspici che puoi fare, parole che da morti ci verranno a trovare e porteranno fiori alle nostre tombe, e sfioreranno le ceneri, ci solleveranno le gonne come lingue di vento che sento, parole che sopravviveranno, ad ogni costo al nostro posto, a costo di essere impollinazione, a costo di essere fuoco, a costo di farsi intravedere per poco dagli esseri viventi, parole assenti sulla nostra pelle, mani delicate e sottili, a sfiorare le tue spalle rotonde e i tuoi sogni infantili, parole che sono state opere d’arte, “per sempre”, sono due parole che fanno tacere tutto, bloccare una risata sospendere un rutto, senti che silenzio, non c’è altro da dire, se le vuoi sentire, le porta sulle labbra l’amore, le puoi bere e non le puoi restituire, non converrebbe neppure un granché sarebbe l’ultima cosa che potrebbe sopravvivere in te. Queste parole come sorelle ubriache allacciate le mani in un giorno d’estate, mai invitate alla fine della sua vita, perché non avevo previsto la sua fine e neppure che l’avrei mai digerita, infatti mi pesa sullo stomaco e la gola e sono metà anestetizzata non sento parte della vita, non sento questa giornata, a questo mi ha portato la sua dipartita e non mi è bastata neppure la mia arte, io mi mangio il cuore a parte e non sento neppure male, e come fa? Erano cuori nati per battere vicini, era oltre l’amore, erano destini.
C'è una ripetizione nel testo la parola "Vita" è usata spesso, ma non ne ho un'altra che abbia lo stesso significato, peccato...che non sia peccato, ed Eva si gira di schiena, il culo tondo come una mela, credevi di avere in tasca la verità, digerisco il senso del peccato, un torsolo nel palmo della mano, il corpo dentro un vestito usato, fantasmi di ore perfette, di fronti benedette rubate al sole, conosci il sorriso di chi muore? E' il sorriso migliore.

Ma le ho buttate le parole “per sempre”, le ho lacerate nella mia mente, gliele ho infilate giù per la gola insieme al suo ultimo respiro.

L’ho cercata l’eternità,  affondava in sabbie mobili il mio terrore,  mi mancava il tuo odore, avrei cercato l’ultimo tuo respiro sul muro per metterlo al sicuro, per poterlo ascoltare, per tirarmi per il culo, ho creduto nella magia, in tutto quello che mi avrebbe portato via, ti creo uno spazio d’aria ogni notte tra le mie coperte, tra le nostre bocche, perché tu possa dormirmi accanto, soltanto traboccare di sangue e d’amore e diventare anemica, bianca e sottile per raggiungere un sole sferico altrettanto distante che non scalda, ho tralasciato la cortesia, ho indossato un’armatura che fa paura, ho rivestito il cuore di un’impermeabilità, così sai non si bagnerà, ho lacrime che cercano te e sono mani, sono lacrime che affondano e spingono e assalgono, con violenza, con urgenza e non ascoltano, non accettano. Sono arrivate così violente le sorelle “per sempre” per sempre dentro te, le sorelle “per sempre” ti devono bastare, sono l’immortalità, sono la poesia e poi sono l’eccellenza di questa vita che ha scadenza, e anch’io le ho fatte mie, perché non potevo sopravvivere altrimenti, rimane il fatto che sei sempre dentro me, però sento la mancanza terrestre, vitale, quella fatta di respiro e di odore, quella fatta di sguardi e d’amore, quella fatta per me e per te e di un mondo che poteva anche durare tanto così, perché non finiva lì. E io potevo toccarti, toccarti, allora spiegami dov’è l’infinito e se in qualche modo lo abbiamo tradito, posso vivere di un momento dilatato, le parole “per sempre” mi hanno varcato il ventre hanno tirato lembi da lato a lato e si sono infilate dentro come sorelle diverse, come noi sotto le coperte, io le ho fatte entrare, come si fa entrare la notte, persino come si incassano le botte, mi hanno fatto talmente male, mi sentivo stritolare, le ossa, le budella, com’eri bella, come una giornata perfetta e io sono quella che resta ma non basta. Come faccio a portarmi i fiori, non sento neppure gli odori, chi porta i fiori alle persone morte dentro e quanti fiori ci vogliono per chi muore ogni momento, ci sono vivi che ballano danze con chi non c’è più, e lo vedi nelle iridi diverse, in un incanto che le coglie oblique, in sorrisi quasi di scherno alla vita, come se sorridere di per sé significasse averla tradita, ci sono persone come me che danzano con parti oscure senza paure ma con tanta malinconia, che a volte abbonda e diventa gioia profonda, gioia che ingombra e deve sfociare a parte forse attraverso l’arte, come troppa felicità mal digerita che deve essere vomitata, perché non la si sa trattenere e stai a vedere che è perché nelle persone come me c’è un momento in cui, non lo diresti mai, i troppi guai e il tanto dolore, fosse in uno scarto di cielo, in una leggera distrazione portata dalla giornata, in un angolo di minuto sospeso in un perché senza tempo, beh in quel preciso momento, si percepisce con netta chiarezza che la vita e la  morte sono la stessa parola guardata alla luce o letta nell’ombra, la paura allora si allontana, si distende, non importa quello che finisce o quello che comincia ma quello che si sente, e in questa immortalità veloce altrimenti sarebbe letale, in questa immortalità avvertita e già sparita, in questa immortalità minuta e finita ci dev’essere l’unico senso della vita, non so dove si va a finire, non è religione la mia, forse più magia, forse anche la dovuta follia, forse è un ideale che è bestemmia, un sogno che sgomenta, forse in altri tempi sarei bruciata, l’immortalità è  in una risata. E’ in un’idea perversa di una vita diversa che raramente assaporiamo, perché corriamo e non viviamo, perché collezioniamo e non amiamo, perché siamo ma non sentiamo, perché uccidiamo subito il bambino che è dentro di noi, l’unico che aveva avuto le idee chiare sul presente e su come ci si sente a calzare le scarpe per gli istanti.

A calzare scarpe per gli istanti e a sapere di questa necessità, la vera immortalità.













mercoledì 1 maggio 2013

Parole Rosse

Foto-Grafica -  Eloisa Guidarelli

"L'abisso di Ofelia" Acrilico su faesite - 2013 - Eloisa Guidarelli








Parole rosse

Come posso…. Il diavolo piangeva commosso…

Ci sono parole rosse, come labbra traboccanti di intenzioni non dette, ma concesse, ci sono parole allusioni, ci sono parole fatate, vellutate, sussurrate solo nel pensiero che non diventano suono, ma che ti entrano dentro, come un atto sessuale, parole che danno piacere, parole che fanno male, parole che sono quadri e fotografie, le mie. Parole che dovrebbero implorare perdono, parole che sono un dono, parole vestite da suore, parole bruciate eretiche, parole che ti inibiscono, parole che ti stordiscono e ci sono anche solo parole per non dire niente… le usa spesso la gente, quando nasconde un discorso interiore dove ci si lascia morire, meglio non dire, parole di scorta per mancate occasioni. Abluzioni, gargarismi di sogni dentro la gola e si sputa ancora tutto fuori, fantasmi ed errori nuovi. Abiurare le proprie ferite sotto il sole, con parole lascive e furtive, per dire che non si muore se si rinuncia a sé… Parole rosse come gocce di sangue virtuale sullo schermo, a scherno del deserto che ci ha inglobato dentro. Da tempo.

Sono tornati i ricordi, sipari pesanti, fanciulli assenti all’appello, fuga dal mondo nel giorno più bello, che colpo di scena vederti la schiena come in un sogno che lascia luce soffusa ti ricordi l’amore e cancelli ogni scusa. E si accusa di gesti stretti ai vestiti, di parole nascoste dietro agli inviti, di sguardi tangenti a sete fuori luogo, di dubbi indecenti rimasti in un bolo di saliva che non si deglutiva, e varcava l’imbarazzo passo dopo passo, una stanza buia e asciutta, priva d’anima e di vita, la lama arrugginita sopra la ferita. Fantasmi annoiati dalle bocche rosse e sensuali gestiscono la vita privata e sono solo affari. C’è una eleganza data dall’eccesso di cinismo, vestita a lutto di distanza, c’è una maschera aderente ai tuoi lineamenti, li ricorda, direi quasi “somiglianza”. C’è uno specchio che non riflette il tuo volto, il tuo corpo, c’è una foto scattata con gli occhi, capovolta nel cervello, in cui tu sei sempre assente anche quando eri presente. Si sente, dentro la pelle, nelle budella, sotto le ciglia, il tuo amore è strisciato via, ha lasciato la scia, ha sibilato un addio, sembrava un comando, ho ricordi in bianco e nero, dopo un bacio perfetto, sulle labbra il disprezzo, che sapore ha ora l’idea di te, l’amaro concetto di ogni tuo gesto, le lenzuola pesanti e lacrime concesse a un automa non del tutto istruito sul dolore dell’altro, montato per sbaglio, si sono dimenticati di concederti un cuore, solo l’odore che lascia la tua paura, che eterna paura che hai, ma come fai? E’ la paura peggiore quella dell’amore… è una paura inferiore, è la paura più vigliacca che c’è, è la paura di te, è la fobia più nera… ed è così vera, si tocca la tua paura d’amare, fa male. Prenderti, girarti, ma chi ti ha montato, come si azionano i sentimenti… quando c’eri con me dove sei stato. Assente. Assente. Ma chi ci ha fatto conoscere? Ma quale assurda beffa del destino, chiamarti amore, averti vicino… io che da sempre ho tutti i sentimenti davanti come armi, tu che sei nato con una cassa toracica vuota, fa eco ogni nome gridato dentro te e a un “perché”, torna un perché… E penso a ogni minuto concesso da te, desiderato da me. E penso all’amore con te che era fare l’amore con me, e poi alla tua risata che trascinava via come una cascata, che forse era l’unica cosa vera e stonava, come stonava la nostra intesa, qualcosa non tornava, la tua risata come pioggia acida, rinfrescava la pelle, faceva tacere il cuore ma ero in errore… e poi parole, parole, parole, le gettavi di fila, come un esperto, potevi gettarle e farle rotolare una dietro l’altra, perfette, per farmi inciampare. Sei il male, non solo il tuo, sei anche il male mio, riesci a tirare fuori il peggio di me, del resto è l’unica cosa che posso avere in comune con te. E adesso svuotata come ogni giornata, cambiare pelle, cambiare vita, trascurare una ferita, portare il cuore a tracolla l’ennesima volta, come in fondo non avesse mai fatto parte di me, sorridere a destra e a manca, come il mondo fosse il ricevimento in una stanza, in una stanza dove celebriamo questo lutto alla maniera americana, mangiamo sui sentimenti deceduti e saluti. E tu che farai ora della scomoda parte di me, tu facile a liberarti di ogni peso, tu talmente pieno di te che riesci bene a dimenticare e archiviare, basta cercare qualcosa dentro te da ammirare, da leccare, da annusare… Ho la mia malinconia malleabile, impermeabile, l’ho accarezzata come fosse a torso nudo, l’ho esaltata e l’ho invitata dentro me, le ho mostrato tutte le stanze vuote e dove ho fatto le prove per una giornata senza te, senza te nella testa, senza te in ciò che resta, la tua mancanza ingombra più della tua presenza che almeno era già assenza, la tua ombra pesa ora più del tuo corpo di allora. Più del tuo corpo di allora. E basta! All’equilibrio precario, a misurare parole che non ti conducessero altrove, una relazione come una casa fatta di carte da gioco, guarda sta in piedi per poco, attenta non soffiare, dì al cuore di battere piano, non dirgli “Ti amo”, non fare un movimento di più verso di lui, che tutto crolla, che poi non esiste più, però per i pochi minuti a disposizione guarda che esaltante costruzione,

morditi

le labbra e trattieni il respiro, l’estetica merita di starti vicino. Balle! Mi rifiuto, è tutto caduto, il castello di carte, il gioco dell’arte, la tua attenzione su di me, il tuo respiro vicino, come un animale a sangue freddo ha bisogno di un corpo caldo ma è solo per rimanere vivo, basta con le molliche di pane,  questo amore crepa di fame, basta con la tua finta pazienza e la tua convenienza, questo amore ha spalancato la bocca di rabbia, basta stare a galla, scendi nell’abisso, sporcati le mani, rimani due minuti nel dolore, senti l’odore, senti l’imbarazzo, senti la vita che muore nel tuo distacco,  e corri e inchinati e prendi le occasioni e striscia e ammicca e sorridi, zucchero filato di intenzioni, poterti trascinare per i capelli che non hai in tutti i miei guai e non pretendere certo di essere capita, ma sentita, sentita. Non ce la fai, ti mancano i mezzi, ti mancano gli occhi interni, ti sei giocato il cuore non so neppure a quale età… che differenza fa… Rimani inebetito “adesso cazzo le dico”… Prova a dirmi che hai mentito, anzi se è troppa fatica, dimmi quando mi hai detto la verità, è un calcolo minore, non dovresti cadere in errore, hai lo sguardo stupito “Come cazzo l’ha capito?” Non ti chiedevo neppure di non tradire, ma potevi non farti scoprire. Non ti puoi permettere una donna tu, tu non ce la fai più! Tu con i tuoi sentimenti in scatola, mi è partita dal cuore una risata e non credo tu l’abbia sentita, una risata su una storia finita, una cerniera sollevata, un reggiseno allacciato, un maglione infilato sulla pelle che aveva il ricordo recente delle impronte digitali di un deficiente.

Tu.
Mai Più.

E inglobato il mio viso alla notte, baciata l’oscura bocca, lasciato lacrime come gocce di rugiada, scambiato l’arcobaleno con l’asfalto della strada, avere fretta di finire, di reagire, di soffrire, di entrare nella cabina del silenzio e fare le domande al tempo. Un momento. Solo per me. Lucida. Lontana. Strana. Il giorno dopo hai negli occhi una luce ambigua, qualcosa di affascinante, qualcosa di vissuto, di esitante, di saputo, hai fabbricato nel mentre parole sagge, sai darti persino consigli, se potessi al momento opportuno scordarti del male per il calcio nel culo. Vabbeh che c’è, non si muore, non si muore, toccatevi, non si muore perché finisce un amore, cos’è? Semmai si torna in sé… Ecco potrebbe aiutare sapere che lui se la passa davvero male… Aspettare, aspettare. Le grandi coppie della storia… magari Giulietta non aveva questa fretta di morire e forse Eva, Eva si annoiava da morire, e  Rossana non ne poteva più di lettere ben scritte, forse avrebbe tralasciato l’aspetto per del sano sesso, forse se Ofelia non si fosse annegata, ma armata come una Giovanna D’Arco si fosse vendicata, magari anche soltanto amando qualcun altro che lo meritasse anche di più, forse se avesse fatto della sua pazzia un’arte, se l’avesse persino esaltata, se come sanno fare gli uomini così bene l’avesse utilizzata a scusa, forse chiamandomi io Eloisa, chissà… potresti fare la fine di Abelardo tu?… Mi aiuterebbe di più… Ma no stai lì, stai così, la punizione più grande per te è stare tutto il tempo in tua compagnia, forse nel sogno di D’Annunzio troverai la soluzione a tutto quanto. Che incanto. Basta che non debba sorprendere più la tua faccia da bambino colto con le mani nella marmellata, quell’aria di santità che ti appare prima di inventare la scusa più puerile che ci sia, in cui l’offesa non sta neppure nella scusa in sé che trovi per me, ma bensì nel fatto che offende  a morte la mia intelligenza, il pensiero tuo che precede la suddetta scusa fatta all’occorrenza, ovvero che io possa bermi questa scemenza! E la butti lì così… resti col fiato mozzo, la bocca a cerchio, sospeso, nell’attesa della mia reazione, e in quell’arco di tempo persino l’amore, testa tra le mani, se c’è stato, si allontana da te, si vergogna di te, mi guarda perplesso, come mi dicesse “Io non lo conosco affatto” e prende le distanze, in maniera elegante, di un uomo trafelato, svergognato che fugge via, con la scusa della fretta, dei surgelati, della pastasciutta sul fuoco… non lo so, l’amore si dissocia da te, perché… sei una scatola vuota… sei una storia senza ne’ capo ne’ coda, sei il caffè col sale, uno scherzo da prete, sei la stretta di mano a un amico dopo che hai appena pisciato, sei un attacco di colite, sei il compagno di banco che non fa copiare, sei il bambino che fa la spia, e  tra guardie e ladri tu sei la polizia, in classe sei il primo di sicuro, quello che sa leccare il culo, poi sei colui che elargisce bontà in cambio di pubblicità, e forse siamo tutti uguali, forse non esistono le ali per noi, solo sentieri sporchi, adatti agli spilorci di sentimenti, forse dobbiamo stare attenti a quello che ci serpeggia dentro, al sorriso di cartapesta che tradisce la nostra protesta. In fondo siamo tutti infedeli anzitutto a noi stessi, vorremmo essere buoni, giusti e benedetti, ma non è così, siamo egoisti, arrivisti, narcisisti, spesso dove passiamo sporchiamo e non puliamo, forse anche quando amiamo, ci siamo persi in una favola antica, e non ci raccapezziamo un granché sul fascino del buono e del suo perdono. Ma tu sei un vigliacco all’unanimità, io sono ribelle è un fatto di pelle, l’odore che fa, e come la si sa indossare, come la si fa partecipare al battito del cuore, ma tu quello non ce l’hai, tu sei stato condannato a grande clamore, venduto, alla sbarra, all’ergastolo perché privo d’amore… Essere ribelli è una lotta anzitutto dentro di te, è la via scomoda, è l’accusa logica, è la via tortuosa, è accettare strane parentele, con la malinconia, la solitudine, anche la paura, muta e sicura di sé. E notte, notte in abbondanza a vestire la tua pelle stanca, stanca di sfidare “perché”. Non è la convenienza mai e sono sempre affari tuoi tutti gli altri guai, è la coscienza tua che sventola come bandiera, forse è una guerra persa ogni sera con il sogno di una battaglia alata, sussurrata da angeli depravati mai stati comprati, sono le tue lacrime quelle del mondo e con quelle vai affondo giorno, dopo giorno. Non ho nulla di immacolato e sono piena di rabbia, di sbagli e cicatrici e di ore felici, non ho soluzioni a niente e consigli meno ancora, ho incubi che mi prendono le misure per vestire in maniera adeguata le mie paure, mi sento sempre fuori luogo perché ogni luogo è dentro di me, eppure non li conosco abbastanza questi paesaggi in abbondanza che prendono distanze infinite, e inciampo scandagliando nel buio pareti e pendii, giochi di addii e morti apparenti, non mi parli, non mi vedi e non mi senti. Accidenti essere quello che si è pesa da morire, non mentirsi, non tradirsi pesa anche di più. La società vuole la tua felicità, la tua serenità e la tua bontà, e il tuo silenzio al contempo, guarda un po’, quello che avresti voluto anche tu da me, per questo non posso fare per te. E mi becco da una vita dell’idealista, dell’estremista, della femminista e tu qualunquista, tu paciere in ogni situazione, cordialità a profusione, tu sai stare al posto tuo, eh sì! E’ così che si fa, tu ti accontenti e mischi gli ideali con i finanziamenti e una causa santa per carità è ancora più urgente se si guadagnerà, e palcoscenico il tuo sorriso, come i tuoi occhi stretti dove l’anima se c’è ti chiude le palpebre, tira il sipario per te, mi unisco al pubblico applauso di chi non sa esattamente chi sei e applaude l’istrione, io applaudo il coglione ben nascosto in te, perché in fondo è pur sempre un’arte quella di ingannare, quella di apparire per ciò che non si è, crederci per davvero alle tue buone ragioni, crederti davvero sincero e esaltare le tue bugie, dedicarmele ogni giorno e io a farle mie, sei la carta del regalo, sei una bugia di fiocchi rossi e argento, sei il profumo sulla pelle, sei uno stordimento lento, sei la vetrina, sei la pubblicità subliminale, quella che fa più male, sei l’uomo che ho amato dentro che stento a dimenticare, sei l’amicizia gettata nel cesso, sono stata il tuo tempo concesso, la bilancia dell’amore, toccava terra dalla parte mia, si sollevava come mongolfiera verso il cielo da parte tua, imparità di intenzioni, di emozioni e di verità, mi hai detto saltiamo nel vuoto per gioco, io l’ho fatto e so come si sta, tu sei rimasto lassù dal tuo pulpito, con le dita dei piedi arrischiati all’abisso, Dio fai che non ci finisco, che come lo gestisco… l’ignoto, e poi il vuoto, e la paura, lei tienila laggiù tanto non serve più, poi lei è l’artista e l’intellettuale vera… lei dello stare male fa arte, lei del precipizio conosce il vizio, io dalla mia ho più strategia, più giudizio, ho un equilibrio interiore… per favore, non scherziamo, io non la amo, non amo nessuno io! Rimani al sicuro, avvolto al calduccio della tua prevedibilità, viaggia il mondo fino a che dovrai pure renderti conto che non hai mai viaggiato in te. Ti dovrai chiedere perché, forse perché non c’è nulla da vedere, non c’è nulla da sapere dentro te, forse sei apparenza, ti fai spazio nell’arte, oltraggio a parte, ti imponi di forza e strattoni e rubi occasioni, in tutta onestà, leggo la tua fragilità, la leggo nella tua impudenza e nella tua goliardia, la leggo soprattutto ora che non ti amo più e sono solo mia, la leggo nel tuo egoismo… se ti vedessi ora come ti vedo io, con questa neutralità, in questa terra di nessuno, l’unica terra dove sei qualcuno, la tua identità spogliata, dagli occhi oggi disingannati e tristi, domani gli stessi occhi di rabbia e disprezzo, oggi ti detesto, domani non proverò altro che un vago ricordo di eventi legato al tuo nome, senza traccia di sentimenti, vaga persino l’ opinione circa te, come uno che non conta più,

ieri eri tu.