domenica 3 giugno 2012

Carpe Diem







Carpe Diem


Il tema dato a scuola sarebbe stato un giorno di terremoto dimmi come l’hai vissuto, vorrei dirlo ma ho evacuato… Fai lo spiritoso, ti sembra il caso di fare ironia? Vai dietro la lavagna, anzi fuori, anzi no… Sotto il banco mi salverò, guarda che quelli come te finiscono anche peggio perché… se non senti l’educazione, se non hai una religione, ma in fondo cosa ho mai detto è la verità… per questo la vita ti punirà.
Vivi la giornata, che il lavoro non c’è, vivi la giornata che la terra trema, vivi i minuti di una vita serena, vivi sapendo che in un modo o nell’altro bisogna finire, Carpe Diem è il nome della barca a vela su cui sono quasi cresciuta, Carpe Diem è stata venduta. Era una prigione galleggiante, poi un nido d'amore, anche una pensione sul mare, ero un messaggio nella bottiglia, onde allo scafo, cielo stellato dal boccaporto, passaporto forza 8, una vita di bolina, niente è come prima, mi ero annoiata, fatto le prove da innamorata, ci avevo galleggiato, mi ero addormentata, scomoda e cullata, ma la vita è così, Carpe Diem, volta la pagina, fugge la vela, cazza la randa, punto e a capo, la terra trema, la casa di una vita, gli oggetti più sacri, il passato spazzato in qualche minuto, hai salva la vita, ma l’anima dov’è e perché proprio a me. Un giorno a casa da scuola, tanti a casa dal lavoro, e chi lavora rischia di più, il lavoro manca, il lavoro ti crolla giù, era, sarà la volta buona che percepisci il mese d’Aprile, di Maggio e di Giugno con coraggio, con verità. E l’uomo che si ponga davanti allo specchio e veda quanto è ridicolo nel fare guerre di religione, guerre per il potere, per il denaro, quando basta un capriccio della natura e allora si trema dalla paura, ma l’uomo in questo da sempre si basta da se’. E la natura predispone, apparecchia, sbuffa, si stanca, si scrolla le case e le vite di dosso, “se tu lo fai tutti i giorni perché proprio io non posso”? E allora basta preghiere, l’uomo che da sempre distrugge e pretende, che stupra, che ruba dalle macerie… La terra trema, ieri hanno ucciso altre due donne, anche queste morti fanno tremare, ma la morte degli altri non fa troppo male e poi sono donne, la terra trema ma l’uomo non si ferma, la terra trema è la verità, ma quanto si trema per l’umanità, la terra trema e si fa silenzio, ma l’uomo sa mangiarsi una foresta in un momento, poi ammirare un’eclissi di luna, baciare il suo portafortuna. La terra trema facciamo l’amore, per ore. Facciamo la spesa più grande che c’è, cosa salviamo di una vita intera, un libro, un dipinto, una chimera. Strano alla fine non salvi niente e cominci a sentire sulle tue proprie gambe come ci si sente, con i soli vestiti del momento, quelli che usi per casa, i meno decenti, con quelli rimani. Con quelli ti senti. E’ tutto importante, porterei via tutto, ma alla fine non c’è tempo per fare una scelta, rimani così, forse qualche coperta, e di tutto quello che hai accumulato in una vita non porti via nulla e ti guardi stupita, cosa davvero c’è alla fine che fa parte di me, cosa davvero c’è da salvare in questa casa oltre me. Salvo gli animali, se riesco, salvo gli ideali, permesso. La terra trema e una donna polacca trova il momento per gettarmi in faccia con un fiato di cipolla il suo odio per gli ebrei, e per dirmi che… hanno persino colpa loro della disoccupazione che c’è, la terra trema e l’autobus va avanti, in centro la gente fluisce come sempre, le due torri sono appena coperte, come avessero calato mutandoni  che si gonfiano a un vento ribelle, caldo, odore di ascelle e profumi d’estate e la primavera negli occhi e nei gesti, interrotti dalle scosse della strada, che a qualcuno porta fuori a qualcuno porta a casa. La casa. La terra trema. A sentire lei, anche questo è colpa degli ebrei, la terra trema e il razzismo permane, il pregiudizio oscilla, non crolla e non cade. Sale una donna cubana sull’autobus con il suo ragazzino, ha gli occhi turchesi incastonati in un taglio da felino, inarca il corpo come un delfino in mezzo alle onde, labbra carnose e denti bianchissimi, pelle scura, la bellezza fa quasi paura, è come un filo d’erba che buca il cemento, la terra trema,  la bellezza è per ogni momento, nata apposta per portare sgomento, per destare l’attenzione, nata per l’imprevisto, per destabilizzare, nata per comandare lo spazio che la circonda, la sua sensualità abbonda e si fa beffa della giornata, quegli occhi turchesi inglobano il mondo con tutti i suoi piedi. E parla di Fidel che usa la testa, che questo è giusto, e parla di gente onesta, ma  dice che tutti siamo nati liberi ed è triste per una donna cubana doversi sposare un italiano per andarsene da cuba, ma quasi si scusa, di Fidel parla con rispetto. Penso di dipingerla, cerco di memorizzare la bellezza, poi mi dico che di fronte a un tale viso bisognerebbe buttare via il pennello, e anche smettere di usare parole, la bellezza, una bellezza tale è qualcosa che sta altrove, qualcosa di inafferrabile come l’aria, come l’acqua, come gli atolli di mare negli occhi. E sfila Bologna dal finestrino, ma è impossibile non guardare la donna e averla vicino.  E lei si mangia il campo visivo con la danza delle labbra, con quei denti che sono cigni, e le sue dita ali. E la terra trema, cuba lontana ha gettato un fiore di se’ su questi perché… l’uomo e i confini e tu ti reprimi, vorresti dirle : “Sei proprio bella”, dovrebbe inchinarsi la terra. La terra trema. Un nero laureato ti apre la mano e ti chiede uno sguardo. Passa un africano accanto a noi, sorride con i suoi fazzoletti nella mani, sorride perché… si lascia sfuggire “In Africa il terremoto non c’è”, e sorrido anch’io, una rivincita a modo suo, un punto sulla scacchiera della pedina nera sulla pedina bianca, questo mondo che arranca, e meno male gli dico. A ogni angolo qualcuno chiede, a ogni angolo si perde la prospettiva dell’infinito. La tragedia non è neppure il terremoto, forse la tragedia è che non possiamo capire dove ciò che ha importanza ci va a finire, e poi siamo nati per pensare a noi stessi e fingerci angeli benedetti, e questo ci salva per carità. C’è una precarietà nel lavoro, nella giornata che questa terra da oggi decide come è finita, ma c’era un’altra precarietà fatta di sogni e di verità, di anime perse, vendute al peggior offerente, c’era una vita ridotta già a niente, mi trovo con i pennelli tra le dita, con queste parole su una larga ferita, mi sembra di non poter fermare tutto questo sangue, a volte mi sembra non sia più importante, e poi vorrei parlare dei lividi dentro, quelli che non vedi sulla faccia, quei colpi bassi dati nel buio, dati e assestati in un punto sicuro che non lascerà traccia, lo sanno i vigliacchi e la polizia che i corpi dei ragazzi si portano via. E la famiglia picchia duro. Vorrei parlare anche di questo buio. Vorrei parlare anche di questo tabù a tu per tu. Figlia che non sei quello che ho previsto, quello che vorrei. Figli, figli miei, che nel nome scelto da una persona altrui avete visto giorni bui, figli che dopo la scelta del nome, l’imposizione di un cognome, la scelta di una strada, quella giusta per te, per me? E non si trova più l’identità a fine giornata, la testa tra le mani, quello che rimane …. cos’è. Sono diventata quello che volevano, quello che volevo, o volevo solo il contrario di quello che era previsto per me, sono un dispetto, una ferita, una promessa, un appuntamento mancato, qualcosa che non si è ben raccordato con le promesse del passato con le aspettative del futuro, facciamo circolo, studiamo la strategia, facciamogli il culo, pronti e via!  C’è un palcoscenico che ci aspetta, maschere in fila indossate di fretta e se manca il pubblico non è importante, recitiamo da sempre più che altro per noi stessi e tra un pubblico vero e uno immaginato corre uno scarto appena sussurrato e tra un applauso vero e un applauso sognato… Ci inchiniamo a noi stessi e ce lo siamo meritato. Egocentrici perché, la terra se trema, trema per me. La terra trema.  E via una parata, lo spirito è fiero, e i politici commossi, ci aggiungono un poco di sobrietà, oggi ancora se ne parla da domani si vedrà, la terra trema e servono fondi, però mezzo stipendio non ve lo do, la disoccupazione dilaga vabbeh… i nostri figli sono a posto e io sto come un re. E Berlinguer e Pertini e Sacco e Vanzetti come angeli distanti e perfetti, come figure e icone lontane, ai quali si corre con il pensiero e si scavalca il letame.  Lascia stare, non ci pensare, ogni periodo storico in fondo ha avuto i suoi momenti bui, scambiamoci il segno di pace, prendiamoci l’ostia in bocca, e poi via nel mondo con nel cuore la pace perfetta, la coscienza nel posto esatto dove dovresti giocarti tutto. E perché non ti tagli i capelli, e perché non vesti così, e perché scegli quell’uomo, e perché sei arrivata fin qui, e perché sei così ingenua, e perché questa rabbia che hai, ma lo sai sei proprio scema, chissà dove finirai. Guai! E segui le regole, e saluta, dì grazie… E poi queste disgrazie, la terra trema. Trema e tu? Quante volte sono caduta più giù. Sogna, sogna e vedrai dove finirai… sempre meglio che finire tra chi non sogna mai, e così passa l’età dell’ingenuità, della purezza per la realtà, della strategia per la filosofia, della bellezza che diventa un’arma raffinata, della bellezza che si appoggia leggera a fine giornata, vicina, sotto le coperte con te, a letto con te stessa, con la gemella bellezza che ti soffia la vita sulle labbra, lei sa come fare, lei ha l’arte di vivere e quella di bleffare, ma il resto viene da sé, e vola l’adolescenza con la sua incoerenza, una rabbia giusta per scrollarsi di dosso, a rischio di strizzare l’occhio, alla scomodità, l’abito nuovo che non ti apparterrà, ma tutto si paga e lascia tracce, pugni pesanti da parenti e passanti, pugni sul lavoro, pugni dall’amore, pugni in faccia alla tua lealtà, non parliamo dei sogni,  non si vedono i lividi sotto gli occhi di quanto hai subito per tenerteli stretti e non si vedono per la gente che non sa i pugni allo stomaco della società, la terra trema oggi, lo so, io tremavo anche ieri, io tremerò. La morte arrivava anche prima, mi sfiorava le labbra con un soffio, correnti gelide mi correvano addosso. E suggerivano l’omertà. L’uomo lo sa che morirà. Non credo davvero, sarebbe di conseguenza per forza sincero, forse più fiero, invece vive sprezzante di un’immortalità, non abbiamo rispetto di nulla da sempre, la terra trema adesso si sente, quante volte però le abbiamo inferto ferite, di lacrime nere  e mai sentite, quando smetterà di tremare, noi riprenderemo a vivere e ricostruire e forse senza capire che la vita è di una bellezza abbagliante, che sale su una metropolitana con occhi turchesi e pensieri profondi nei cuori leggeri, che dobbiamo amare le sue ferite, rivedere ogni sorta di valore, capire daccapo il bene e il male, quello che siamo e quello che appare, perché mi chiedo che senso ha, perdere tutto sotto le macerie,  mi chiedo che senso ha, il vuoto che di colpo ti entra nella gola e nella mente, il non avere più niente… Non siamo niente senza le cose, non siamo niente senza le case, non siamo niente senza il lavoro, non siamo niente senza la famiglia, non siamo niente di fronte a questo dolore, non siamo niente senza l’amore, non siamo niente senza un’identità imposta dalla società, non siamo nulla senza legami, non siamo nulla senza manette ai polsi. Sbagliato, siamo esattamente il male che fa. Noi possiamo capire, guardarci le mani guarire o morire. Forse non siamo neppure quel nome, il nome che portiamo, ma saremo pure odio, rancore, amore e paura, saremo le mani che tremano a vista, saremo gli occhi disorientati, saremo naufraghi e clandestini, quante volte li abbiamo avuti vicini? Saremo ricominciare da zero, saremo morti sentendo una voce, una canzone o pronunciando un nome, forse trovando un minuto di felicità per necessità, forse qualcosa dovremo capire, forse di qualcosa potremo gioire, si precipita fino in fondo e poi si risale in proporzione al male, la natura ci sembra atroce, ci sembra un destino, una punizione, ci sembra di poterci affidare a un portafortuna a una chiesa a com’è la luna. Potremmo invece fermarci un momento, conoscere solo il vento sulla faccia, come una carezza che arriva non chiesta,  come tu, amore mio, che leggi  poesie ribelli, scritte da una donna, con la tua voce calda che mi cade sulla pelle, che mi entra nelle ossa e ti ringrazio perché solo tu riesci a farmi dimenticare di me, potremmo sentirci fino in fondo in un unico abbraccio con questo mondo, anche quando la terra trema, quante volte abbiamo portato la morte con scuse più banali e atroci dell’assestamento degli Appennini, quegli operai che  ancora una volta abbiamo ucciso noi, noi come umanità, perché non crollano i capannoni costruiti decentemente, non cadono con niente, allora questi morti chi li ha davvero fatti? La terra che trema, o certi altri mostri, la terra trema, con noi, da sempre corrotti. E’ solo un pianeta, non elargisce punizioni e condanne, non stupra, non uccide per niente. Ma l’umanità marcia da sé, non considera il pianeta, del resto non lo ama, non lo apprezza, lo sfrutta, lo getta, e così funziona che c’è chi un lavoro non ce l’ha e chi un lavoro ce l’ha giusto per morirci, la terra trema, però tremava anche prima, e l’uomo che scava è un eroe, ma poi c’è l’uomo che costruisce ed è un becchino, poi c’è l’uomo precario al lavoro dalle 4,00 del mattino che paga per tutta questa disonestà, il terremoto è un fatto sismico, il terremoto passerà, passa la vita, passa la malattia, i tempi bui, la malinconia, ma la disonestà di questo mondo offeso io non lo so se passerà… La colpa che c’è dietro ha il dono dell’immortalità. E applausi sopra le tombe, e i viaggi del Papa, la terra trema, la verità brucia, le donne sono morte ammazzate e non trovano riscontro le loro vite perdute, le donne da sempre muoiono in silenzio, ammazzate da un compagno, le cifre sono anche più alte di un terremoto, ma cadono nel vuoto, e neppure tutte le morti hanno lo stesso momento d’attenzione dovuto, lo stesso minuto, lo stesso silenzio… allora Basta minuti di silenzio, basta farsi seppellire,  basta commemorazioni per lavarsi la coscienza, basta parlare della morte con un numero o una razza o l’ennesima disgrazia,  ancora prima di sentire che è la fine di una vita, è morto un operaio, è morto un marocchino, è morta una ucraina, è morto un clandestino, è morto un italiano, che i morti comincino almeno davvero ad avere qualcosa da dire, basta applausi su bianche tombe, e corone da salutare, cresca ogni tanto anche la voglia di urlare e bestemmiare, basta parvenza e testa chinata, la vinca la rabbia sulla morte adattata, basta farci dire chi siamo e ogni giorno come si deve morire,  e non lo so se siamo figli di dio, ma questo mondo è vero, è reale, è l’unico paradiso davvero concesso, è l’unico che valga la pena salvare. Esistere fa male. Esistere deve fare male. Però poi arriva la felicità, che non è ricchezza e ne’ quantità, ma poi arriva la gioia e l’amore, quello vero non ha prezzo o età, basta un sorriso, l’odore che porti, gli occhi che apri e anche dove guardi, basta poco, il tesoro è sempre celato dove non avresti mai detto, dove non l’avresti cercato, e soltanto a un passo da te. La terra trema. Giro, girotondo, casca il mondo, casca la terra tutti giù per terra… bambini abbracciati in cerchio a ridere, mani nella mani, è loro questo domani, perciò lasciamogli un mondo che non sia un compromesso, un ricatto, una prospettiva sbagliata, lasciamogli la cultura, la lealtà, gli ideali, e lasciategli anche le madri! E  lasciate i sogni, lasciate i sogni e nascondete le mani lerce della praticità, del vostro adeguarsi a una società che puzza, la vostra corruzione, la vostra astuzia, scrollatevi questa muffa e sperate che loro sappiano fare di meglio. E non suggerite mai una vita vissuta come l’avreste vissuta voi, se non ci saranno ribelli non ci saranno geni, non ci saranno eroi. Ed è quello che manca a noi.

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