mercoledì 29 giugno 2011

Pillole di cianuro

Particolare L'Origine 2011



Agosto 2010

Ti spiace se mi fermo un momento, se siedo sulla croce di legno e scambio una qualche opinione col vento? Tranquilizzo la mia pazzia.
Ti dispiace se sento che mi sfugge il concetto di eresia come quello del momento.
Ti dispiace se osservando i miei piedi trovo conferma nel non c’entrare affatto con l’apparenza che mi circonda, le mie parole ora sarebbero tegole rotte, panni ad asciugare, abitudini quotidiane, il sangue dovrebbe portare i pensieri dalla mente fino ai piedi, dovrebbero cavalcare attraverso le vene, essere gettati fuori dal cuore, pulsare, ora il mio sangue è misto a pioggia e tu nuoti in questo mare rosa.




Agosto 2010


Da una parte c’è Nietzsche, Galimberti, Terzani, Krishnamurti e dall’altra non c’è filosofia che tenga in una giornata di merda.

Sono figlia di generazioni di assassini, sono farfalla dopo mille anni di bruchi, mi sono scivolati dal corpo più di mille vestiti a cadere come sacchi vuoti su piedi nudi.
Pago il gettone della mia pazzia e che la doccia sulla pelle duri abbastanza tempo perché io  abbia ancora coscienza di me.

C’era una volta….l’ennesimo stronzo a raccontarmi la favola solita, c’era una volta chi pretendeva filosofia dalla rabbia, sono figlia di infiniti stupri, di un rutto dopo una risata, sono al cospetto di una stanza dall’odore di vecchiaia, c’è un carion rosso aperto e una ballerina bianca che ne ha piene le palle di girare senza espressione.
Chiudo gli occhi sono figlia di troppi battiti d’ali. Sono figlia di clessidra, di sabbia di mare tra le dita, di sale sulle ciglia, sono figlia di pozzanghere di mascara nero colato sulle guance, figlia di cento pugni, figlia di più ricatti, sono figlia di occhi scuri, di topi avvelenati, figlia di tutte le fughe e poi figlia di tanta impotenza e poi figlia di giornate di merda e poi figlia di pioggia o di sole e poi figlia di queste parole e poi figlia di un bacio di Giuda. E io a tagliare cordoni ombelicali, perché i padroni sono tutti uguali, come uguali sono gli amori, come simili tutte le prigioni, e io a tagliare cordoni impazziti, ma è nel cuore che mi hanno intaccato, gocce di vino rosso sul collo, era la tua lingua? Ho chiuso gli occhi e il battito cardiaco era tra le ciglia. Gli squali sentono l’odore del mio sangue, si spande lento come capelli nell’acqua si allargano piano, il sapore li colpisce dritti al naso e tu a dirmi che la vita è soltanto mia, ah si? Come mai io non l’ho mai sentita.


Pillole di cianuro


Le api sono in estinzione come il miele nelle tue parole.


Abbi sempre paura di chi ti versa da bere.

Se da piccola mi avessero detto, sarà un artista, almeno sarei stata preparata alle vertigini.


Avrei voluto risponderti a tono, ma al momento avevo il frigo pieno di pensieri andati a male.


E scusa se non ce la faccio a disprezzare la mia vita, del resto  mi è già costata un certo numero di reincarnazioni.

Non sarò mai una poetessa non sono abbastanza stronza.


Dirti che vorrei avere un ruolo più adeguato davanti ai tuoi occhi di cioccolato, dirti in fondo così va bene, meno maschere meno pene, dirti che aspetto che torni e spero che te ne vai.

Cos'è un ricordo? Un'immagine falsata della realtà, dove i sentimenti hanno preso il sopravvento di quella che era semplice verità, ma meno interessante.

lunedì 27 giugno 2011

L'Origine

All’Origine.


All’Origine era il seme non il frutto, all’Origine io ero tutto. E i colori erano libera interpretazione come i rumori, la scatola cranica era troppo sottile come guscio d’uccello, e non c’era spazio per pensieri pesanti, qualcosa di vischioso che prendeva esatte proporzioni senza nulla sapere delle proporzioni, occhi cerulei che catalogavano ombre senza sapere ancora come, senza sapere che fossero ombre e il rosso doveva avere un sapore sulla lingua, e la lingua che deglutiva soltanto senza parlare. All’Origine sei qualcosa di raggruppato e onesto che sbatte le braccia   a caso e sorride senza sapere del sorriso e piange e grida per istinto…perché così si comincia. Gridando. All’origine c’è che penso troppo per lavorare…All’Origine la tua mano poggiata per scherno a pochi centimetri dalla tempia a indicare gocce di sangue su un lenzuolo che era vanto bianco, io ero poggiata di testa sul mio braccio,  sdraiata, le gambe aperte, le mie labbra rosse come frutto di sangue e parole giuste per il silenzio e sazie dell’eccitamento, parole che davvero sento. All’Origine era la donna, la donna e non la croce, dita alle labbra a imporre il silenzio, all’Origine era lei la paura oscura, all’Origine hai chiamato uomo e Dio qualcosa a cui non saprei dare un nome io, All’Origine l’unica tua preghiera balbettata era tra le gambe, All’ Origine il primo tuo grido per esistere era tra le gambe, all’origine dell’incontro con la morte sulle tue labbra a sussurrare era il  nome balbettato dell’unica donna che ti ha fatto nascere, All’Origine la vostra paura le ha messe in croce, sotto ghigliottine, le ha arse vive, all’Origine era la paura di questa fantasia, all’Origine era la paura della creatività, all’Origine la paura della vita che da’, all’Origine la paura della libertà, all’Origine la paura del tradimento e dell’infedeltà, all’Origine la paura della parità, all’Origine la paura della sensualità, all’Origine avete picchiato, all’Origine avete stuprato, all’Origine della vostra viltà, c’erano dita puntate e maschili e persino donne puerili a cui avete comprato la testa o quello che resta, avete bruciato, ucciso, stuprato, violentato, offeso, ingannato, trucidato, umiliato, avete saccheggiato il cuore e gli occhi, avete interrotto spazi e offeso i sogni, pur di non ammettere L’Origine di voi stessi e dei vostri incubi, avete preferito un uomo onesto in croce, qualcosa che potesse giustificare meglio il rancore, avete preso la religione e avete vestito la vostra paura, con cura, avete relegato la donna sempre in secondo piano, e quando era alla vostra altezza era soltanto un gesto umano, qualcosa di magnanimo, che grazie a un uomo non sarebbe altrimenti accaduto… All’Origine c’è che sto male, si penso troppo per lavorare, all’Origine c’è questo sangue tra le labbra, queste labbra tra le gambe, e la bocca sigillata con il segreto più importante, nonostante, oggi, ieri, domani, all’Origine ci sono queste grida, queste ferite neppure più mie, e tu a indicare il sangue, e io a guardare il vuoto, non so da dove viene, non so se è importante, ferite aperte come sensuali labbra che puoi fare tacere o godere, non puoi umiliarmi,  sono morta tante di quelle volte in tante di quelle vite, sono sangue le parole, sono parole le ferite, e bugie sciolte mi scendono dagli occhi, all’Origine erano sorrisi, all’Origine erano vagiti, all’Origine anche grida, perché è così che si comincia, all’Origine era il seme e non il frutto e io ero tutto, all’Origine non c’era magia, il paradiso tra le gambe e l’inferno a succhiare latte, e l’inferno a pisciare in piedi, all’Origine ti ho protetto da tutto, ho ritratti sospesi sulle labbra, mastico rabbia. E più del veleno che sempre riconoscevo, tu infliggevi dolore con parole di miele, ti pendevano da labbra asciutte e denti bianchi e perfetti come confetti di promesse avanzate, scartate durante le feste perché ce n’erano tante, persino troppe… e parole che tu sapevi buone e facili da deglutire, come un fiore aperto ti scivolavano umide sulla lingua, vischiose e calde come parti di sole rappreso e io ci credevo. E quando non erano le bugie, erano ipocrisie, all’Origine era solo una donna, all’Origine era quella che chiami femmina, all’Origine era quella che dici puttana, all’Origine era quella che vuoi santa, all’Origine era la strega e poi la fata, all’Origine era la mamma e poi l’amante e la figlia, all’Origine della tua meraviglia, all’Origine qui tra le mie cosce . Ciechi i miei occhi oggi alla tua messa in scena, che la colpa ti apra la pancia e ti ferisca la schiena, ti indicherò ogni offesa da te avuta avrò le parole nelle mie dita, la mia rabbia inesplosa sarà poi colore, le tue parole gettate si muovono tanto, sono vermi che succhiano il sangue le lettere da te usate per dire t’amo, cercano di sopravvivere disperatamente, mangiando il mio corpo che tu hai ucciso da sempre, si contorcono senza dignità, non sanno del loro significato, sono il parto sbadato di un uomo che per fretta le ha dette, stupendosi l’attimo dopo, rimanendo a guardare quello che per un errore non aveva fatto in tempo a inghiottire, ma guarda le avrei dette perfette, ora prova a ricacciartele in gola, se non sai neppure a dirle che cosa si prova, se non sai neppure l’effetto che possono fare come gocce di limone su sangue a pulsare, e così uomo perfettamente dipinto, userò per te i colori migliori, dipingerò il tuo volto con la sensualità che conosco, poserò ogni mio desiderio nascosto, farò atolli dei tuoi grandi occhi, farò l’amore con le tue labbra quando ci galleggerà il pennello, sentirò ogni desiderio sdraiarsi sulla tela bianca e poi disegnerò il tuo sesso quale è, un gioco a molla. Guarderò il cielo pieno di promesse, sarò baciata dal sole, la gonna tirata su fino alla pancia, una farfalla che vola tra le cosce, la danza delle vite interrotte.

E'...

E’ qualcosa che sta sotto il livello dell’ombelico, è sempre quello che non dico. E’ qualcosa che sta nella tensione delle mani, quando fermo le mie dita, e dorso su palmo, restano aperte sul vestito verde come nido tra le foglie, qualcosa che accoglie. E’ qualcosa nella tua saggezza che non c’entra con la fretta, è un impulso di troppo, un vaso appena rotto. E’ stare seduti di schiena e il sangue che scivola appena tra le scapole, di spalle qualcuno poggia la sua lingua sulla testa di quell’ultima goccia e leccandomi sale… E adesso a chi tocca, è qualcosa che stona, è qualcosa che trattieni, sia il respiro o la saliva e vorresti deglutire, è una strana attesa, a lambire le cosce sospese. Stavo sopra una croce di legno marcio e ci galleggiavo a gambe aperte era il mio vascello, sarebbero bastate le tue dita sul collo per un momento più onesto in un contesto di nebbia e labbra sciolte. Le voglie stavano sulla punta del pennello, tu oggi che fai di bello, io avevo un’idea di rivoluzione a partire dal sesso, quello è sempre in questione. E’ qualcosa che c’entra con la ribellione, con l’attesa gialla negli occhi della pantera, e qualcosa che c’entra con i pirati, ricordi bagnati, capezzoli e graffi, ginocchia sbucciate. E’ stato un calcio nel muro. E’ qualcosa che accade a spiare dal buco della serratura, è il volto di cristo inciso nel tronco di un albero morto, è qualcosa come una linguaccia in risposta a una preghiera, è essere contro perché tu sei vera, è un corpo acerbo che sa nuotare, una capriola all’indietro il mio corpo nudo nell’acqua, è un ciuffo di peli bagnati che ha galleggiato nel tuo sguardo un tempo esatto perché sia ricordo, è dire basta per dire ancora, è una prigione nella tua gola, è uno schiaffo soffice come una promessa essere blasfema e benedetta, è la lampo che ti si apre dai capezzoli al sesso, è quello che manca a farti perfetto, è qualcosa come la dignità sopra ogni pena, è la supplica nella rivolta, è la minaccia quando dichiari la tregua, il decollo nell’atterraggio, la fine di un incubo nel canto di un gallo, è qualcosa che c’entra con lo spazzarti i piedi sulla soglia di casa, è qualcosa che attendi che accada, e poi è quello a cui tu non dai un nome, qualcosa che non c’entra con la definizione, assomiglia più a uno scatto sbagliato dove sei stato per caso inquadrato, dove rimane una parte che a torto chiameresti profilo irrisolto, assomiglia più alla tua lingua sulle labbra che a una firma di tuo pugno sulla carta, è qualcosa che non è di questa realtà, è qualcosa che non ha a che fare col tempo,  e il tuo cuore si è gestito un momento.

giovedì 16 giugno 2011

"A bere sangue nelle osterie"

E ora distante dalle mie e tue bugie,
dalle risate, e dalle strategie, mentre il sangue ci scompariva nella gola, avvolti dal buio delle osterie, e ora che non mi interessa fare scacco matto con la tua fantasia, che ho cicatrici di vetro appoggiate alle mie spalle, che mi sento più un vecchio marinaio che la morte non ha conosciuto eppure quanto ci ha parlato, che se è possibile immaginarlo sono uomo quanto donna, sono l’eterno distacco. Che se ti è possibile immaginarlo l’amore l’ho succhiato tutto e non mi sono privata di un solo sguardo, e quanto ho vissuto l’immaginazione, l’odio, l’amore, la razionalità o la ragione e quanto ho sbagliato ma per me era solo la mia opinione e poi ho usato i pennelli per una sensualità raccolta e privata, e poi ho usato il colore per tradurre la rabbia, arginarla, e poi col pennello avevo un personale, antico duello, ero stanca di fare domande alla morte così ci ho ballato un tango, triste e sensuale, lì sono cadute le idee, le visioni, si sono allargate, persino mischiate, non erano più giuste o sbagliate, non erano ne’ belle ne’ vere ne’ false o sincere, tensione, incredulità, innocenza, pietà, sulla tela è quello che resta da setaccio di antica protesta, gettata come imposta richiesta, disprezzo, oltraggio, ma baciami ancora, ma fallo ora, che non c’è ragione, ne’ pretesto ne’ finzione, fallo in questo tempo dilatato, fallo ora che non sono persona, fallo per la mia creatività che attende un pasto che la sorprende, una preda di colore nuovo, un nemico che valga la pena, e dimmi come immagineresti questa scena, in una squallida stanza presa in prestito da un sogno distratto, neppure del tutto intatto, dove c’era un uomo molto grasso, un piccolo letto sfatto, il grigio intorno di nessun contorno, di un fotogramma di nessun programma, eppure ti stupirà il contesto, ma era bastato questo per sentirmi bene, lontana, bagnata come fontana, finita e cominciata, io come una giornata, eppure ti sembrarà pazzesco di questo strano contesto come l’assenza di ogni romanticheria abbia esaltato la porcheria, che altro non era che dolcezza infinita in una grigia malinconia, la perfezione di un momento concesso, senza trama e senza difetto, dove sono cadute le ragioni e non ho detto no alla danza lenta delle sue dita, delle sue parole, perché amavo i suoi strati di pelle, il suo essere pachiderma inerme, la sua lentezza era una danza di intenzioni che prolungava il piacere come lo fanno le esitazioni, forse non era niente di preciso, rarefatto il corpo, rarefatto il suo viso, ma la sensualità è corsa, cavalcava insieme al piacere l’onda lunga, la sua mano sul mio sedere, che mi e dispiaciuto non poterlo incontrare, non poterlo sapere, che pochi minuti di piacere, di quel sesso veloce, imprevisto e improvviso, potessero essere un racconto eterno, completo e prudente, un momento di pura verità, di lealtà, e ora che non credo più al fascino delle intenzioni, a quando ci trovavamo nelle osterie per bere sangue delle mie  e tue bugie.