domenica 27 febbraio 2011

Sottopelle

Ho chiuso la porta. Dietro la porta stavano fiori di lillà come volti abbandonati, convinzioni perdute, occhi sinceri strappati dal sole, dove come girasoli storcendo il collo si asciugavano lacrime. Ho chiuso la porta, ho finito i quadri, ho finito le parole, ho la bocca aperta e sospesa, un’idea appesa che dondola e mi ipnotizza lo sguardo. Ho mani spalancate da dove sono caduti pennelli. Non bastano più… non ci siamo a vomitarci per le strade, non ci siamo a schierarci da qualche parte, non c’è un partito, un governo, non c’è niente che ci rappresenti, solo cancelli aperti per farci ruminare e muovere e poi siamo allevamenti intensivi di coscienze addormentate, ci nutrono di una libertà transgenica fatta solo di apparenza e la durata dipende sempre da quanto stai piegata. Le donne non sono più donne, cervelli fermi che si fanno spremere come mammelle colme, dove sono le donne? Quelle per nascita piene di rabbia, quelle che non accettano alcuna gabbia, quelle avanti coi tempi, quelle che si facevano bruciare pur di lavarsi l’anima, quelle che si facevano impiccare per trovare le ali, quelle che si facevano puttane della pubblica piazza perché sapevano che un ideale è una minaccia, sapevano più cose circa l’ amare e nulla all’incirca la convenienza, quelle partigiane che si facevano tagliare i seni per non tradire un ideale, quelle, tutte, davvero immortali, tanto che pensare al futuro aveva un senso. Immenso. Cosa sono queste donne che non si aiutano, che non si comprendono, che scagliano pietre e giudicano l’immoralità, chi sono queste donne che stanno accanto a chi ha il potere e ammiccano agli uomini e non sanno cos’è la solidarietà, chi sono queste donne senza utero ma con cinque figli a messa, chi sono queste donne che hanno fretta, quando occorrerebbe camminare piano, che a ogni angolo qualcuno chiede l’elemosina, con la dignità persa nello sguardo, scivolata sulla mano. E io cosa ho creduto? Davvero a rivoluzioni a colpi di pennello e pensiero, è solo un antidoto a tutto questo, non fa molto contro un cielo di piombo o per chi muore nel vento. Ma davvero vedo i miei limiti e macero la mia paura con la pittura, con la scrittura, la rabbia assume forme nella parola stessa gettata, si alza dalla carta, si scosta dalle mie mani, come non l’avessi generata, ne’ desiderata, si scrolla dei miei limiti e di occhi a registrare denunce e avanza non importa dove. Non desidero più un figlio ed è una bugia che mi somministro a legge, è la praticità che mi si richiede, quella che non può centrare con l’arte mai. E’ la parte burocratica e fa male perché me lo avete strappato voi. Voi dei lavori precari. Voi dagli affitti in nero, voi uomini mai grandi, voi dai bilanci su viscere stese ai fili ad asciugare. Voi che non avete idea di quanto  faccia male. E’ diventato qualcosa che puoi o non puoi permetterti un figlio, come ci hanno ridotti? Non ho soldi per comprarti figlio mio, mi avessero almeno tolto anche il desiderio di averti che rimane stupito a guardarmi, come fossi io quella crudele, ma per consolarti non è che ti perdi molto e così non guardarmi con quel volto irrisolto, saprei crescerti solo a ideali e saresti perso come lo sono io.

giovedì 24 febbraio 2011

Non ho mai picchiato Zorro

Vorrei comportarmi come una perfetta stronza per ventiquattr’ore senza cedere un solo minuto, per sentirmi almeno una volta perfettamente inserita nella società. Vorrei succhiarmi le tette ma non ci arrivo. Vorrei non avere davanti agli occhi ogni giorno  la scatola  che non mi decido a buttare di un tostapane made in China a orologeria. Vorrei fossi mia Eloisa, vorrei fossi mia…solo una volta per provare a sentire cosa si sente a possedermi, gli altri neppure me lo possono dire, sono quasi sempre “altrove”. Devo avere mangiato una mela transgenica, sento che all’interno del mio stomaco si è aperta una cartella e le vitamine sono FILE. ERA TROPPO BELLA E UGUALE DA TROPPO TEMPO QUELLA MELA! Quando ero bambina a carnevale ho pestato un bambino vestito da cow - boy, mi ricordo il suo cappello di traverso e la sua aria smarrita e stupita, mi aveva infilato dei coriandoli dentro il maglione, gli ero sopra ancora prima che gli arrivasse il messaggio dal cervello di avere fatto una cazzata. Mi avevano anche messo il rossetto quel giorno. Che bello quando ancora non hai un sesso a stabilire ruoli e confini e modi e mondi. Si vede che i Gringos mi stavano sul cazzo anche da allora, non ho mai picchiato Zorro.


 


Forse...

Forse Dio litigava con Lucifero per la questione dei Dico, ma dico io…Forse Superman stava sniffando Criptonite quando hanno stuprato e ucciso una donna, sfiga. Come la polizia arriva sempre dopo e circospetto si guarda attorno, per un supereroe è una discreta figura di merda. Forse Zorro ha trovato un culo che gli piaceva di più e ha esitato volendo lasciare una zeta poggiata con garbo. Forse Dio nel giardino degli ulivi ha detto a Giuda: “Sai cosa c’è? Io gliela do su.” Forse Eva ha detto ad Adamo : “Pigliami una mela che oggi di fare sesso non ne voglio un cazzo.”
Forse Spock ha detto a Kirk : “Ma che cazzo me ne faccio di sta merda di astronave io me ne torno su Vulcano, sono stanco di materializzarmi sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato e temere nell’attesa che si materializzi l’uccello, pazienza per lo scalpo. Forse Robin Hood ha pensato che non c’è niente di eccezionale nel rubare, lo fanno tutti in continuazione e si è fumato un cannone nella foresta di S… Pinocchio ha detto, forse non sarò un bambino ma meglio così, non rischio di incontrare pedofili e con questo lungo naso mi arricchisco a fare film per soli adulti e chiamatemi asino!  Forse Batman e Robin si sono guardati negli occhi e hanno detto: “Senti, lo diciamo a tutti che siamo finocchi?” Budda, meditando forse pensava “cazzo, non ne esco qui più penso e più mi ingrasso.” Gandhi: “Se rinasco pacifista col cazzo!”. Forse Dio dopo avere creato l’uomo s’è detto: “ …sento che dovrei cagare tra l’apocalisse e il sole” . Forse l’uomo ragno ha pensato di avere ragnatele anche nel pisello e s’è detto: “Addesso basta volare di palazzo in palazzo, poi dicono che manca la gnocca, ma se precipita dall’alto.” Ed è scappato a cercare Furia cavallo del west forse lui sapeva dove si trova il pelo più nero che c’è.

lunedì 14 febbraio 2011

Agosto 2010


Sono l’odio di Cecco Angiolieri, il bacio di Giuda, sono femmina nuda, preda lasciva, deriva e risata, risacca e vela.
E tu a parlarmi alle spalle, il pettegolezzo alle porte, donne caute ad aprire gli scuri, meno ad aprire le gambe, stanno a osservare pensieri di sgualdrina, voi donne interrotte… E poi a cenare con me, a tentare conquiste goffe e io a offrire il mio palato, al mio riso è appeso l’amo. E poi pronta la fuga e le porte sbattute e di nuovo, comunque, sulla bocca di tutti, oltraggio, pudore, verità capovolte, sorrisi sospesi, intenzioni, sollievi, sguardi caduti sulla porta chiusa, gli inquisitori di fuori ma dentro è censura,  mi porgi parole di ghiaccio non posso che succhiarle, farle scivolare in gola, mentre dalla tua bocca, dalle tue labbra morbide e dai tuoi occhi caldi setacci ogni spazio tra le intenzioni e la mia pelle, sdraiata ancora, sola tra le mie, le tue lenzuola, l’antico rituale, la nausea sulle scale, le parole poggiate alla gola, scivolate poi sulla mia schiena, mi dici che sono una provacatrice nata e io ho sospeso la risata nell’infinito quadrato della mia stanza.

sabato 12 febbraio 2011

25 giugno 2007

Deglutisco e subisco trasfusioni di sangue d’altri per via etere durante un telegiornale  che non ha ne’ il mio respiro, ne’ il mio battito cardiaco, ne’ la mia regia, ne’ i miei colori, ne’ le mie censure, sento l’aria dividersi in frammenti e crollarmi rumorosamente ai piedi e i tuoi occhi scatole d’ossigeno. E i tuoi occhi vetro di Murano, trasparenti, ma un esperto vetraio ci soffia fuoco attraverso e da dentro, è per questo che se ci sei tu mi tuffo in quello sguardo profondo come lago senza fondo e mi raggomitolo all’altezza delle fiamme calde che avvolgono i tuoi pensieri fatti della ricchezza più grande degli ideali in cui credi, o fosse solo nel porti domande.
Ma gli amori sono spiagge idonee che balene stanche con il cuore in estinzione e la vita intercettata da radar scelgono per morirci spiaggiate.
Mi vedi? Sono tra tutti i morti distesi, nelle gocce di sangue rapprese dentro le mani innocenti lasciate aperte a creare nidi sporchi con polpastrelli al cielo.
Mi vedi, sono in tutti gli occhi annegati nel pianto di soprusi e violenza, mi senti? Sono in tutte le offese fatte a chi non può difendersi.
Mi senti, quando col pennello sfioro la tela per dimenticare un tempo che non sento, leggi a cui non appartengo, mi vedi, quando uso la penna come una pistola e buco fogli senza vita nella speranza nuda che l’ipocrisia per mano al cinismo, non mi rincorra o pesti  lacci di scarpe, che non hanno nulla a che fare col perimetro dei miei passi o le orme delle mie idee e le ombre dei sorrisi che mi precedono, inchinandosi di lato al mio volto, che è oltre lo spazio e non c’entra nulla con la meridiana antica e ferma dell’ora di tacere. Ho occhi che come imbuti raccolgono lacrime che piovono dal cielo e poi mi scendono giù, giù per il collo, è acqua fredda, immobile. Sono le lacrime di tutti, dolcemente salate e io le raccolgo. Le trattengo come tra montagne che sembrano braccia pesanti, conserte, ferme. Le cullo e le espongo alle stagioni, proprio come la mia pelle. Sono pozze salate, dove gente nuda, privata di tutto, rincorsa dal deserto alle spalle, si china e con la lingua comincia a leccare, c’è sempre da bere, ci sarà sempre da bere, mentre il sole ci accarezza le scapole nude e percepiamo lentamente di esistere, ci cadono altre lacrime a ingrossare il bacino, lacrime subito bevute, con occhi rivolti verso l’alto ad attendere un segnale  d’agguato. Come prede. Le mie parole, come le mie tele, le vedo sul fondo, deformate, come segreti svelati soltanto a chi percepisce mancanza, privazione e fame.

come meduse

Con un colpo di spazzola hai sbocciato papaveri, e con un colpo di ciglia costretto il cuore a un’apnea e i polmoni a battere per un’aria che non arriva. E me a riflettere in eterno, nello spazio di un disegno perfetto e sottile come bava di ragno e perdendo un poco l’equilibrio rischio sempre di svegliarlo. Con un colpo di spazzola hai sbocciato coralli, ci nuotavo attraverso, deviavo di crescere, le labbra mi si squarciavano in sorrisi e gli occhi, gli occhi di te intrisi. Com’è zuppo, sempre, il pennello in cerca d’istanti condivisi. Avevo pensieri nudi, in acqua mi infilavo senza movimenti, era lei a creare le misure esatte per accogliermi e da lì, come medusa, ho creato continue abrasioni a chi non  poteva permettersi il mare, e da lì, come ombrello a gonfiarmi e svuotarmi e pulsare e trascinare capelli, come tentacoli che possono anche fare male. Meduse rosa e gelatine molli. I pensieri. Ho lasciato che bambini sadici mi cavassero domande con bastoni e mi impanassero di sabbia e poi si distraessero dalla morte rosa come caramella gommosa, per finire altrove a inventare canzoni nate e morte ora.

martedì 1 febbraio 2011

Dai polsi mi escono viole

22/7/07

Guarda, sputo nel piatto dove mangio, è una pietanza che non sfama e puzza a distanza, “attenta” mi risponde il superiore, se non mangi questa minestra… Certo che salto! E nel vuoto mi rigiro e cado in piedi come un gatto, meglio della merda allungata nel tuo piatto. E’ così che è cominciata l’anarchia l’ho seguita per vicoli bui e odore di piscio, misti all’odore che fiutano le mie narici, pregustando l’aroma proprio dell’adrenalina scaturita dalla mia fantasia. Ed è per questo che prima di consegnarti i miei sogni in un sacco e aspettare che neonati tu me li leghi a un laccio e questo a un sasso, mentre i miei occhi comincerebbero con loro a sprofondare e le mie orecchie li sentirebbero gridare e mi si contrarrebbero le labbra per i seni pesanti di latte fermi a guardare. E’ per questo che ho armato l’arco, e la penna è diventata una freccia, intinta nel veleno nero della mia fantasia… L’uomo che amo ha portato una carriola che era ruggine e vento come la mia gola e non mi ha disinfettato ferite, mentre una quercia mi sosteneva la schiena e il capo e avevo lo sguardo vuoto e troppo lontano per vedere chiaro. L’uomo che amo si è messo di fronte ai miei occhi che non guardavano, aspettavano e si riempivano di colori gettati dal tempo, dalla pioggia, come di terra e di fango. E petali e semi condotti nelle pupille per sbaglio da un vento contrario. Poi l’uomo che amo ha rovesciato tutte le lettere sparse sul mio corpo. Il romanzo mi è caduto sulla pelle, i suoi occhi sono diventati verde bottiglia e me li sono versati in gola e mentre mi succhiava il seno c’era l’odore di rosmarino e di mare tutt’attorno. Poi sono cresciuti alberi nelle pupille nere a cibarsi della notte e solo il verde portava sfumature, annaffiato col sangue delle mie ferite, il dolore ne è uscito rafforzato come un gioco di colori complementari. L’uomo che amo ha labbra amare e per questo non mi vuole baciare, dai polsi mentre lo guardo mi escono viole.