martedì 14 giugno 2022

La tua follia asciutta di cicale sotto il sole


 

La tua follia asciutta di cicale sotto il sole.

 

Avevo scelto accuratamente il vestito e la biancheria intima per un romantico vaffanculo. A passo veloce, sfuggenti riflessi dalle vetrine come scatti rubati all’anima, falcavo l’aria a passo marziale, per non essere in ritardo al funerale del nostro prequel di un sesso senza seguito.

Puoi toglierti la maschera so che dietro non c’è volto, amo la sincerità del tuo corpo senza testa perché hai la maschera di quello che hai voluto che vedessi nella tua mano destra. Mi piace quando accampi scuse, e pensi che io sia così scema e me le beva, quel castello di cazzate di carta, una sull’altra, in equilibrio precario non mi offende più, l'offesa di te stesso sei tu. E poi quanto ossigeno di botta alla tua partenza, sei strisciato via veloce e sinusoidale ti sei infilato dentro l’ascensore, dandomi le spalle, io avevo il tempo di una colazione. Sola. La più bella colazione della mia vita. Tutto era buono, la pasta era una favola, il caffè era vero caffè, e io avevo addosso quel cappotto, era il mio quadro perfetto, lo stesso cappotto che avevo sdraiato dentro la macchina dell’uomo che davvero ho amato. L’uomo che ho amato di più e non eri tu. Quando sei talmente innamorata che ti dici potrei morire, morire adesso che tutto è perfetto, che del resto so già tutto, morire adesso tanto che differenza fa, siamo l’eternità. Un cappotto coperta, una macchina bianca come una barca, a precipizio nella notte sulla neve, la luna perpendicolare al battito cardiaco, posso ancora sentire sotto i polpastrelli le gocce d’acqua e vapore di disegni interrotti e sublimi ai finestrini. Ne ho bisogno, mi protegge, mi scalda, mi pare mi faccia volare e sbattere porte, sono io, quel cappotto sono io, potrebbe andarsene allacciato da solo con tutte le mie idee sotto nude e calde. Avevo le mie valigie, una tracolla sulla spalla destra, una tracolla sulla sinistra, un incrocio di lacci sul petto, sembravo pronta per il confine, sembravo il dott. Zivago, e non mi sarei girata mai. Era freddo, era sciopero, avevo ogni motivo per essere felice e ancora ogni motivo per essere depressa, ma ero e basta, e la mia colazione era perfetta. Era stata una bella notte, al mattino potevo pure non essere io, del resto non sapevo neppure chi cazzo fossi tu, non sarei uscita da quel bar, si la parte migliore è stata la colazione peccato che tu te ne fossi andato o magari è stato proprio per quello. Da lì seduta come tanti, quanto dolore passato, quanto dolore ancora avrei avuto davanti. Tanto rumore è come il silenzio. Fa lo stesso effetto di isolamento intatto. Ecco perché nei Bar vanno a scriverci dentro. E’ come stare in un utero con voci e ombre esterne che non ti riguardano ancora. Quando sono staccata persino da me e dal mio stesso nome e sento come invece siamo tutti legati uno ad uno in un tragico, assurdo, comico destino. Ferma assente nel presente, il sapore del miele sulle labbra. Ora sarei uscita e tutto sarebbe ricominciato, veloce, un carosello folle, ma se restavo sospesa in quell’acquario di luce gialla, lì tutto era al rallentatore, era danza. Rumore dei piattini, parole gettate per abitudine, sorrisi che si sdraiano sui volti inconsapevoli di sorridere, sguardi scontrini, nell’ora di andare e di morire, rituale impastato ancora di sogni e vite parallele. Il nulla ha un rumore, un sapore, è un sottofondo di cucchiaini che mescolano e denti che masticano, pensieri dislessici in ritardo o in anticipo sui gesti abituali. E io senza nome e senza storia. Se fossi restata fino a scomparire… dissolvermi, nel concerto per lavastoviglie e sussurri, tra i grazie e arrivederci, un bar come una stazione, di arrivi e partenze, un’area di decompressione.  Invece, ho bilanciato le borse e sono uscita nel freddo. Senza neppure compensare ho affrontato l’apnea del mattino. E le voci tutte mi sono rotolate alle spalle, scivolate sulla schiena come rose del deserto spinte dal vento freddo della porta spalancata. Cammino nella città vuota, questa è un’altra vita, so che sono sola all'interno di me stessa, è come guidare un sommergibile nelle tenebre, i passanti sono scogli e rocce che evito con una disinvolta maestria, che ironia siamo tutti soli e non possiamo condividere davvero, possiamo raccontarci, esplorarci, scoparci, proiettare identità, desiderarci, ma siamo sempre soli, viviamo soli, moriamo soli, possiamo pensare di avere amici, nemici, a loro volta soli, pianeti che ruotano, entrano in collisione, si sfiorano, tangenti, indifferenti, in un ciclo indipendente continuo e solitario. Nessuno di noi ha scelto di nascere, la nostra vita è cominciata con una non scelta, e forse dopo in grande parte è proseguita con l’illusione che ci fosse una scelta, certo scegliamo, ma in base alle opzioni che ci si presentano, in base a quello che abbiamo, mai o quasi mai per come siamo, il meglio, il peggio, d’istinto, per convenienza, per vigliaccheria. Ruminiamo sereni massificati in un ampio recinto, difendiamo confini con orgoglio, e spaliamo merda dai mulini a vento. Siamo il nostro sogno irrisolto. Lo accarezziamo, lo addestriamo, e gli diciamo di attaccare. Lo teniamo nascosto, in un punto a volte troppo profondo, e non è più scandagliabile persino ai nostri occhi. Pesci ciechi nell'acqua nera, privi di luce, guidanti da istinti e movimenti lenti o a scatti, fermi sul fondo, le branchie mobili a setacciare ossigeno accarezzati dalla melma. Siamo talmente soli che quando non esisteremo più, tutto questo non esisterà più, non esisterà più solo per noi. "Noi" un plurale dal dolore singolare. Ora conoscete una solitudine più grande e perfetta di questa? E' indubbio c'è genialità nel sadismo della vita, negli universi paralleli e nei buchi neri dei pensieri, possiamo prenderla con sarcasmo, cinismo o con una certa ironia, possiamo essere disperati ma con stile, possiamo portare un dolore intatto con occhi colmi di fascino. La verità è che siamo il nostro amante, la nostra famiglia, il nostro amico e i nostri nemici, i nostri genitori, mentori e professori, il nostro tribunale peggiore e il nostro carcere a vita e quindi è di vitale importanza andare d’accordo con se stessi e lavorare sull’autostima, perché tanto vale trovarci almeno interessanti ai nostri occhi non potendo separarci da noi stessi. Il nostro portafortuna durerà più di noi, i nostri abiti, le nostre mutande, e la nostra sigaretta dureranno più di noi, il nostro inquinamento durerà più di noi. Ci muoviamo come immagini virtuali senza sentire la nostra fragilità e il rumore del nostro sangue come un fiume rosso controcorrente ci dice che siamo tempo, siamo fatti di tempo, tempo che abbiamo stabilito e creato, potevamo essere solo ossigeno, sentimenti incostanti meravigliosi fragili ed eterni, ma abbiamo deciso di essere minuti, ore e secondi, abbiamo deciso di avere fretta, di bruciare, quasi che correndo e zigzagando potessimo galleggiare in eterno in questo stagno. La donna urla all'improvviso e io non so neppure se sono a Bologna, ci sono due falchi che hanno fatto a pezzi due colombi, mi avvicino con la paura di riconoscere una coda piumata attaccata all’addome, non voglio vedere il capo di quell'animale altrove, non voglio cercare con gli occhi del dolore pezzi da ricomporre nella memoria, ma soprattutto non voglio conferma di un orrore vissuto con anticipo. Perché allora mi avvicino come un soldato abituato alla morte, perché non posso tirare dritto? Devo guardare i corpi, la morte, la lotta, la preda e la caccia, devo vivere tutta la paura, implodere di impotenza. Eccolo il tempo esatto della responsabilità dell’incontro. Essere tutto. E questo tutto non ha pietà di me.  Perché il mio volto è una maschera di freddo e distacco, perché arriva come eco tragica la tua risata unica, piena di dolore trattenuto e poi esploso? Un ricordo lento e liscio che si allarga come olio. E’ tardi su tutto quando mi avvicino alla donna,  mi cadono  parole monocordi e tragiche da labbra impotenti, sono lacrime, attonite e costanti, gocce cadenzate nel lavandino di un film di Bergman, i passi si muovono seguendo un metronomo interiore, il dolore è così antico, qualcosa di insinuante e cinico, annaspa per recuperare un po’ di egoismo per la sopravvivenza, ma non lo trova. Non posso. Non posso sopportare questa vita e il suo peso. “Si signora, ci sono i falchi, i falchi attaccano i colombi” E’ uscita da me questa frase? Ha un senso, è ordinata, comprensibile, strano dentro ho una tempesta e niente è ordinato e comprensibile. Ci sono i falchi, si anche a Bologna, continuo a parlare a me stessa con gli occhi fissi sul sangue che resta. Guardo la mia coda e le mie ali distanti, vedo il mio corpo spezzato, chiaramente. Ci sono prede, come me, il cuore ci batte veloce, sono morta tante volte signora, tante volte, sento tutto, sento la paura a miglia di distanza, i passi mi ricordano il dolore di esistere. Ho falchi su di me, stanno in un punto alto, fino a quando non si precipitano sul mio corpo per farlo a pezzi, ho falchi sopra la testa. E il momento peggiore, il momento peggiore è sapere che posso tornare a sorridere, il momento peggiore è quando a quel dolore trascinato nel tempo io non appartengo, c’è qualcosa di ingiusto nell’elaborazione del lutto, c’è qualcosa di terrificante nei lineamenti che devo trattenere per non farli svanire, c’è qualcosa di inquietante nella distanza che crea il tempo portandoti via tutto, perché alla fine ho qualcosa di chi amo fino a quando lo trattengo. Dentro. E lo psicologo con fare da psicologo mi parlava da Marte. “Soffrire o essere felici alla fine è una nostra scelta, se ci pensa bene noi possiamo scegliere di soffrire come di non soffrire” Ah si? Perché cazzo sono qui...  Lo guardo come si studia un insetto mai visto prima.

 

Un conto alla rovescia e hai il tempo per nasconderti, poi ti vengo a cercare, non farti trovare. Ho le mani aperte sugli occhi chiusi, sono stelle marine pescate da acque salate e loro non possono più respirare neppure se adesso le ributterai in mare.

 

Aspetti le apro le porte delle mia anima nuova, ecco alla sua destra come alla sua sinistra le interiora, qui è tutto stato distrutto, ecco cos’è il lutto. Macerie dopo la guerra. Certo posso decidere anche di non soffrire, le chiudo la porta di questa anima a pezzi e ci facciamo due cicchetti? Posso essere un androide sereno, anzi a pensarci bene è per questa applicazione che la pago.

 

So che spalancherà le fauci il senso di colpa, conosco le risate piene del castigo, quelle uscite di corsa e lanciate sulle scale, sbattendo la porta, conosco i sorrisi traditi dal dolore, usciti quasi senza pensare ma che adesso vogliono arretrare. Una bellezza spenta, nascosta, una fossa comune, un cimitero di ossa, un azzardo colto in fallo. Il prurito osceno di verità immorali, cascate trasparenti dai denti, la sorgente fresca, di stupefacente bellezza.  La felicità e il dolore come due mani, palmo contro palmo, non vedi è sempre stata la stessa identica cosa, il sangue rosso che filtra nella neve, i popcorn e le ciliegie, una storia di merda, una colazione perfetta, un lutto nascosto dentro il cappotto, il tuo corpo spezzato, le ali perdute, un cielo capovolto, una donna spaventata, rassicurata prontamente dell’inevitabile. L’inevitabile non ha colpa, ma io non ho bisogno della colpa per stare male mi viene bene uguale. Il mio dolore non cerca scuse, scorciatoie, indulti. Non c’è cauzione per il mio dolore. Resta. Anche se pago. La resa, occhi testimoni fermi e incapaci come le mani, le intenzioni tenute a freno, un guinzaglio corto alle emozioni, perché se tremo lo vedono, lo sentono. Riesco ad essere felice nel dolore più profondo, perché lo esploro, ci cammino dentro, esco dal lato opposto e ricomincio fino a quando lo trasformo.

 

Così nelle giornate più belle ho ricucito la mia pelle.

 

“Eloisa”.

Sento tutto il peso del mio nome quando mi volto a fatica.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

mercoledì 26 gennaio 2022

Arma di distrazione di massa

 


 

Primavera 2021 da Bologna zona rossa, e purtroppo questa volta non è per definire una Bologna rossa perché orientata a sinistra, ormai è da un anno che un virus letale sta sterminando l'umanità da nord a sud a est e a ovest del mondo, ci dividono in zone per gravità, l’Italia va dal rosso all’arancio ma nulla che abbia a che fare con la filosofia buddista e pacifista. Le abbiamo tentate tutte, noi, prima degli scienziati. Abbiamo steso ogni possibile striscione dai balconi, “andrà tutto bene” scrivere andrà tutto bene è stato quasi peggio che andare a trovare i parenti, il virus tanta presunzione non l’ha mandata giù, la risposta è stata peggiore di ogni previsione apocalittica. Ma non ci siamo piegati e abbiamo urlato "Bella ciao" da tutti i balconi, pensando, sai mai, che il virus sia un poco, poco fascio, ma il virus non prendendo posizioni politiche ha falciato da destra a sinistra, al centro. Urbi et orbi ha gridato il papa disperando benedizioni all’umanità tutta e il virus l'ha preso in parola, urbi et orbi. Tutti morti. E dove la scienza, sperimentando vaccini su vaccini a fatica, in tutta velocità, rassicurandoci, bloccandoci con decreti legge a pioggia, alternando un semaforo impazzito di giallo, rosso, arancio, fino a non capire più un cazzo, se potevamo uscire quel giorno, fino a che ora, e dove potevamo andare. Ancora oggi quando usciamo per via di questo tira e molla camminiamo bloccandoci di colpo, un po’ come uno, due, tre per le vie di Roma, o uno, due tre stella (a secondo delle difficili infanzie avute), muovendoci a scatti come ragni d’acqua. La mascherina? Ne abbiamo fatto una commedia dell’arte, l’abbiamo portata sul gomito, l’abbiamo portata sulla bocca allargando le narici all’aria, pendente da un orecchio, come una borsetta a una sfilata, come una bandana sulla fronte, ovunque, possibilmente evitando naso e bocca. Le abbiamo fatte in cotone 100% lavabili e rinnovabili, il virus rideva, le abbiamo fatte patriottiche, come se una bandiera italiana potesse a lui, il covid, creargli problemi di confini, le abbiamo fatte mimetiche e con Guevara alla festa del PD, nulla lui rideva e contagiava. Sono entrate nel quotidiano più intimo le abbiamo poste in mezzo alla biancheria del cassetto, che nella fretta del mattino rischi di infilarti un perizoma in faccia e uscire, le abbiamo dimenticate appese allo specchietto della macchina, come improbabili santini “attento non correre c’è il covid”,  e poiché più della paura di morire è la nostra creatività nella capacità di strumentalizzare ogni tragedia a nostro favore... abbiamo dato alla luce il capolavoro dell'ipocrisia applicata! A cosa? A quello che ci mancava anche prima del covid, ma attribuendogli ogni colpa oggi. L'Alibi! Ed ecco nascere milioni di facce profilo sui social network di artisti che non vengono considerati e frasi minacciose, inquietanti e paurose "L'arte è lavoro" . Niente da dire, faccio l'attrice, sono pittrice e chi sono io per non concordare, solo, una piccola remora, un piccolo dubbio doveva sorgere in quelle menti votate all’arte, ma prima del Covid non ti eri reso conto che il teatro era in crisi, non ti eri reso conto che la categoria tutta non è mai stata considerata un lavoro? Che l’arte è sempre stata la “sacrificabile" che quando dici “faccio l’attore" o “la pittrice” o lo “scrittore" o l'artista di strada qualcuno ti ha sempre di rimando domandato, come non avessi capito bene "si, ok ma intendevo di lavoro?” E allora perché siamo scesi in piazza tutti con orgoglio avvolto come tritolo e sguardi truci e indignati a gridare che l’arte è un lavoro quando ci hanno chiuso i teatri? Perché quando erano aperti e vuoti andava tutto bene? E quando non eravamo considerati affatto una categoria di lavoro fondamentale e neppure di lavoro e non c’era pandemia, dove eravamo tutti? E ancora perché, questa categoria, che sottolineo è pure la mia, unita a tante altre categorie, non ultima tutti gli istruttori di palestre, tutti, siamo scesi in piazza a urlare e chiedere regolamentazione sul lavoro e rimborsi quando anche prima del covid nello sport ad esempio abbiamo sempre avuto contratti da schifo? Insomma come mai il covid ci ha fatto improvvisamente diventare tutti Sacco e Vanzetti, non disposti certo a morire come loro ma solo quando a rischio è stato il nostro culo? Un tantino ipocrita, la battaglia è giusta, sacrosanta ma fatta in un momento parecchio opportunista, mi sarebbe piaciuto di più vedere ognuna di quelle categorie avere riempito le piazze prima del Covid e magari non per tornaconto individuale ma davvero sociale. Anzi mi sarebbe piaciuto di più vedere ogni categoria che affiancasse l’altra invece di tante manifestazioni monouso. E questo è avvenuto in ogni comportamento fino all’assurdo o al paradosso dell’individualismo. Ad esempio con il "proibizionismo" dei decreti anti Covid siamo diventati tutti contrabbandieri e pirati, nella nostra mente non era per tutelarci no era per il gusto di proibire, eravamo in dittatura, è incredibile perché non riusciamo mai a riconoscere una dittatura e a meno che non ci riguardi ce ne siamo sempre sbattuti alla grande delle dittature altrui, eppure il fatto che dovessimo seguire regole precise per non contagiarci ci ha fatto sentire in dittatura, cioè per noi fondamentalmente è dittatura tutto ciò che non mi permette di fare quel cazzo che mi pare compreso contagiare chi mi pare. No, no lasciate perdere la frase usata “la tua libertà finisce dove comincia la mia” per il popolo no vax è sempre stato la mia libertà comincia dove finisce la tua, ma poi dove sta scritto che tu debba avere la tua libertà? Basta la mia. Ecco il capolavoro del secolo, no vax contro … contro cosa? Non c'è l'altra parte, una volta erano fascisti contro comunisti, oggi no vax... contro? Contro? OH diamoci un nome perché qui è un casino… Questi si sono vestiti da prigionieri dei campi di concentramento, capite? Pensate ancora tutti che il nostro più grave problema sia il Covid-19? Il Green Pass? Secondo me abbiamo un problema molto più grave e soprattutto per il quale non vedo vaccino. Come in molte tragedie se non fossero tragedie ci sarebbe da ridere, ma come ridere su tanti morti, passati e presenti, come ridere? Una risata seppellirà il mondo, intanto stiamo scavando la nostra fossa non per pandemia ma per ignoranza e follia, per un disegno perfetto di autodistruzione, non siamo la specie più intelligente del pianeta e stiamo andando consapevolmente verso l’estinzione, come Willy il Coyote noi camminiamo nel precipizio e stiamo sospesi fino a quando non guardiamo giù e allora la realtà ci travolge e allora si precipiterà senza speranza. Sarà una morte comica. Sarà una morte idiota. Ho visto cose che voi umani… Ho visto no vax che non avevano mai fatto sport in vita loro infilarsi una tuta e buttarsi in strada per correre, non per sport, ma per sfida, piuttosto che di Covid-19 muoio di infarto! La morte d’un Dio me la scelgo io! E se corro lo faccio in zona rossa e senza mascherina, voglio tossire in faccia a tutti, a tutti quelli venduti al sistema, a tutti quelli che credono alle grandi bugie perché non sono mai esistiti i forni crematori come non è mai esistito il Covid-19 . Le file di bare che non si contavano? Un montaggio televisivo.  Virologi, scienziati, politici, giornalisti e artisti venduti al sistema. Comprati dal sistema. E' un esperimento, i vaccini sono sperimentazioni di massa, e chi si fa il vaccino diventa poi comunista! Ecco perché è pieno di comunisti, ci vogliono fare diventare tutti comunisti. Sono loro a immettere le varianti… noi siamo le loro cavie.  Chi si è vaccinato ha cambiato il suo DNA, è un mutante! I vaccinati non possono fare sesso con i non vaccinati, i vaccinati si moltiplicheranno tra loro ma chissà quali nuovi mostri potranno nascere, e poi chissà gli effetti collaterali e quelli che avverranno invece nel tempo, nei mesi, negli anni, mutazioni, nuove patologie, morti misteriose. Lo stesso rischio insomma che hai quando compri un iPhone o ti mangi una bistecca da allevamento intensivo, dove gli animali sono alimentati a cibo geneticamente modificato, ormoni e antibiotici, ma non sei spaventato, non ti turba che ormai tutta la popolazione sia resistente agli antibiotici, non ti impedisci di mangiare pesce al mercurio e plastica, non temi di respirare ossigeno ibrido da il tubo di scappamento della nuova macchina sul mercato che ti sei così guadagnato. Non ti ho visto così preoccupato dagli OGM nel tuo piatto. Questa morte non ti preoccupa? Non ti preoccupa l'ambiente, i tumori per inquinamento, per alimentazione, gravi allergie per inquinamento, non ti preoccupano guerre e vere dittature o che si sciolgano i ghiacciai, estinzioni di specie, un futuro da migrazioni climatiche e te la fai addosso per un vaccino? E allora il no vax raccoglie tutti gli articoli delle persone morte per reazione da vaccino, che esistono, sì, purtroppo, ma loro però volevano farlo e questo anche non è da sottovalutare, hanno affrontato tutto anche per le vostre belle facce no vax, tutti i morti di covid che superano di gran lunga quelli da vaccino non sono morti in un set cinematografico, sono morti in questa realtà, e non hanno potuto scegliere di farselo o meno, non c’era vaccino e non c’era scelta, il no vax arriva a minacciare di morte anche chi da ex malato uscito da terapia intensiva dice di vaccinarsi, chi era no vax e ha cambiato pensiero è minacciato di morte, però parlano di dittatura, ma la dittatura non era quella cosa per la quale la libertà di pensiero non era tanto accettata… E siamo oggi nel 2022, gennaio 2022 e possiamo vaccinarci, non tutti, in molti paesi non possono e lì, lì potete parlare di dittature, e se vi aggrada andarci, vederla da vicino una dittatura, troverete affinità di pensiero ma magari non vi piacerà o forse la soluzione sta nel proibire ufficialmente i vaccini. “Li abbiamo ma ve li proibiamo” Immediatamente avremo i pro – vax in piazza che urlano dittatura! E questo paradosso che i fascisti diano ai comunisti dei fascisti? Questo è un problema di identità senza precedenti nella storia… I nuovi fascisti che tirano bombe a chi si va a vaccinare, hanno una lista di persone da minacciare di morte tra giornalisti, politici, chirurghi e ogni altra persona che non la pensi propriamente come loro, parlano di dittatura e fascismo e sono fascisti. Hanno un arsenale di bombe da fare invidia ai paesi in guerra e non solo non vogliono vaccinarsi loro, che fino a quando non è obbligatorio, in dittatura non ci sei, ma non permettono agli altri di vaccinarsi, ai medici, agli scienziati ai virologi e quant’altro di fare il loro lavoro. E’ il capolavoro della distrazione di massa, oggi parliamo solo di no vax e di green pass e di covid19, come mai non ho visto le piazze piene di manifestanti per le morti sul lavoro, per i migranti che muoiono in mare, per i femminicidi, per il razzismo, ci siamo davvero stupiti, sinceramente stupiti che questo cattivone di virus continuasse ad uccidere nonostante le nostre precauzioni. Nonostante le nostre continue attenzioni, nonostante le nostre corse all’aperto sfiatando addosso al primo che passa, nonostante la nostra distanza l’uno dall’altro di pochi centimetri, nonostante la nostra corsa ai saldi appena abbiamo potuto, nonostante la nostra movida, il nostro tentativo di eliminarlo fumando cannabis, nonostante gli autobus stipati, nonostante i nostri manifesti “andrà tutto bene”, nonostante le preghiere, le bestemmie, nonostante le nostre dirette on line a pagamento, nonostante le nostre manifestazioni no-vax, nonostante partite a pallone improvvisate in ogni fazzoletto di terra disponibile, nonostante la congrega delle mamme incinte unte dal signore che possono anche non portarla, nonostante io piuttosto che passare a un metro dal mio vicino lo salti alla cavallina, nonostante al di là delle zone rosse, arancio o gialle, in quanto daltonici abbiamo sempre fatto i fattacci nostri, dico, come, come, come è potuto accadere, quando abbiamo persino pensato all’ambiente dotandolo di tutte le nostre mascherine gettate al suolo o nel mare, abbiamo falsificato green pass, abbiamo fatto feste e orge per contagiarci e ottenere in maniera naturale l’immunità,  davvero non ci meritiamo tutto questo.

Ma a chi fa comodo questa potente arma di distrazione di massa? Quanti hanno utilizzato al meglio questo Covid-19, a chi e a quanti ha fatto comodo, una cosa è certa questa pandemia non solo non ha tirato fuori il meglio, ma ci ha detto molto chiaramente chi siamo. E’ stato lo specchio di una umanità alla deriva dove il virus stesso non è ciò che di peggio poteva capitarci ma il virus stesso in qualche modo è stato l’unico vaccino che aveva il nostro pianeta già in ginocchio per un virus letale, molto più letale, chiamato a torto “essere umano”.

 

Poi l’ho visto, il capolavoro, il genio, la soluzione dell’uomo. Homo Sapiens Sapiens ma anche come si dice a Bologna Umarel Umarel!  Era lì sulla panchina, sotto il sole, incurante della zona rossa fuoco, mascherina  a coprirgli bocca, naso e occhi, aderente alla faccia come Alien, perfettamente immobile, disteso, gambe rigide e piedi a martello, tangente alla panchina. Non seduto ma poggiato come se da posizione verticale fosse caduto rigido e di spalle sulla panchina, rigor mortis. Mi avvicino, respira? Lo fotografo, nessuna reazione. Poi ho capito! La strategia, la creatività umana primordiale, la soluzione contro il temibile, terribile, covid19, era lì, eterna, sperimentata fin dai tempi delle grotte e dei primi graffiti sulle grotte, fin dalla scoperta del fuoco, l’unica, la sola soluzione adottabile, alla faccia degli scienziati in gara per i vaccini, lui, un pensionato aveva gabbato tutti, lui combatteva il covid19 fingendo di essere già morto! E perché no? Si è sempre fatto in guerra, si è fatto con le fiere più feroci e se sei convincente, ma bravo eh? Quelle ti annusano e poi ti lasciano stare. Eccolo là, geniale. Eccolo come in un film di fantascienza applicata. L’uovo di colombo, la soluzione atavica, come la paura.