Eloisa Guidarelli - Foto
L’impaginatrice
Se avete un sogno, come quello di diventare scrittori, di pubblicare il
vostro romanzo, il vostro segreto tenuto a lungo nel cassetto, che dico, in una
chiavetta, allora il mio consiglio è
quello di non finire mai a lavorare
presso una casa editrice, soprattutto una piccola casa editrice, magari con
traffici poco chiari da parte di un editore yuppie - rampante che divide il suo
tempo tra viaggi all’estero dove i soldi vengono investiti in gioco d’azzardo,
e traffici inquietanti di mobili Ikea,
che regolarmente vengono recapitati alla casa editrice e guardati con
malinconia dalle ragazze che lavorano presso la stessa, non pagate da mesi e
che non sanno come montare i mobili e soprattutto dove poterli ulteriormente
nascondere. E’ così che, da potenziale scrittrice, non avendo né conoscenze, né
spalle coperte, né un’idea geniale al momento, ma un affitto da pagare e il
fiato sul collo dell’affittuario, caddi
nella trappola, e scoprendo che presso una casa editrice cercavano
un’impaginatrice, con l’aiuto di una mia ex compagna di classe grafica
pubblicitaria, imparai a impaginare libri in una notte, anche io ho una
maturità in grafica pubblicitaria ma avevo rinunciato ancora giovanissima
dibattendomi in una tesina dove spiegavo a severa e integerrima commissione di grafici che fare la grafica
pubblicitaria significava fondamentalmente lavare il cervello alle persone, e
su questo adducevo tesi su tesi, scomodando Marcuse, Mc Luhan, e Freud, con la
determinazione di Guevara ed il sincero disprezzo di Nietzsche, leggera al
contempo come Epicuro, la commissione irrimediabilmente offesa a morte mi
congedò non proprio con il massimo dei voti, ma io mi sentii una sorta di
Giovanna d’Arco e seguii le voci, e così mi iscrissi all’Accademia d’Arte Drammatica,
divenni attrice, e quando hai scritto
“attrice” sulla tua carta d’identità diventa un vero casino trovare qualsiasi
lavoro, anche perché ai colloqui non ti credono, a prescindere da ogni tua
possibile esperienza lavorativa, di contro, si innamorano, e le cose si
complicano, quando il tuo ipotetico datore di lavoro passa a narrarti tutta la
sua infanzia. Comunque in una notte sono diventata impaginatrice e la mattina
dopo sono andata al colloquio di lavoro, dopo innumerevoli colloqui di lavoro,
innumerevoli lavori differenti, a progetto, sostituzioni maternità,
sostituzioni Avatar, di collaborazione, sotto ricatto, dopo essere stata cameriera, avere censito
per il comune di Bologna su foto aeree tutto il verde pubblico di Bologna,
avere lavorato come commessa in un
negozio di ottica per un ottico frustrato che voleva solo sciare e andare in
bike e della vista degli altri, come degli ultimi occhiali alla moda, non
poteva fregargliene di meno, e poi negozi di abbigliamento con commesse
strattonate obbligate a lavorare e piegare maglie già piegate in una sorta di
catena montaggio-cinese, buttata da un teatro all’altro, e ancora come Baby-Sitter, come bagnina,
come insegnate di Acqua-Gym, come organizzatrice eventi culturali per un
mafioso che contrabbandava in quadri falsi e opere moderne e al contempo apriva
bordelli in Russia, (di questo mi resi conto quando vedevo sparire le
segretarie giorno, dopo giorno, senza che se ne sapesse più un benemerito
nulla), pulizie ai piani in un albergo, dove seppi poi, sarebbe stata gradita
anche la prostituzione delle cameriere ai piani, e ogni sorta di diavoleria pur
di partecipare a questa ignobile corsa per la sopravvivenza pura, una cosa
l’avevo chiara, del tuo curriculum non gli frega nulla a nessuno o almeno non è
quello che fa propendere per un assunzione, così avevo deciso di andare vestita
da Catwoman. Il Dialogo fu più o meno questo :
- Così tu sei un impaginatrice?
-
Sì
- Sei assunta.
In prova ricevetti qualche volume di qualche esordiente scrittore,
parte di cartaceo, parte in CD, numeri di telefono di scrittori che attendevano
una risposta da sei, dieci anni, dovevo contattarli e dire che avrei preso io
in mano il loro “sogno”, cominciai a contattare qualche scrittore, archiviati i
morti, che erano il numero maggiore, e
i cui parenti, generalmente, mi rispondevano garbatamente che non sapevano
neppure che il defunto avesse mai tentato di pubblicare qualcosa e anche chi lo
sapeva schivava il discorso, discretamente glissava nell’indifferenza più
assoluta, facendo intuire che potevo cestinare il tutto, in genere dovevo dare
la precedenza a quelli a cui rimaneva poco da vivere, avevo questa prerogativa,
l’editore mi chiamava anche la domenica se si trattava di fare un contratto e
di impaginare in tutta velocità, in corsa con la vita, e consegnare appena in
tempo il libro, probabilmente primo e ultimo libro, peccato che io in qualità
di essere umano, mi legavo ovviamente agli scrittori, alcuni li odiavo
sinceramente, ma con altri mi perdevo
in chiacchierate al bar dell’ATC tra camionisti e tranvieri e fumo, mi
offrivano un succo in bicchieri annebbiati da una lavastoviglie che non lavava
e caffè pomeridiani, mentre parlavano, parlavano, parlavano, alla loro
impaginatrice, alla loro amante, alla loro madre, alla loro amica, alla loro
musa, e io tornavo a casa e mi mettevo al computer a leggere, impaginare, a
seconda del carattere che volevano, delle foto che sceglievano, a seconda che
volessero solo una correttrice di bozze
o solo una madre, che ne so io, o solo una scusa, nel frattempo l’editore aveva
stabilito che io ero l’impaginatrice di punta e che avevo uno studio esterno,
casa mia, e questo studio esterno costava, e quindi a chi lavorava con me, lui
chiedeva molti più soldi, “l’impaginatrice esterna, certo è veloce, però io
devo mandare il lavoro fuori questo alza un po’ i costi…” io non lo sapevo,
ero all’oscuro delle sue macchinazioni, me lo disse più tardi, un giorno,
strattonandomi quasi, perché sentiva il rischio che lo sputtanassi
ingenuamente, che nulla trapelasse! Io poi lo feci trapelare nell’immediato… ma
questo avvenne un po’ dopo, quando appunto capii quello che stava accadendo agli scrittori e a me che
naturalmente lavoravo di più, costavo agli scrittori di più, lui guadagnava di
più, ma a me non cambiava nulla, io ero sempre pagata uguale, sottopagata
uguale, comunque io a lui costavo, a quello che diceva, e gli scrittori
pagavano e da me pretendevano, mi chiamavano a tutte le ore e non sapevano
certo che l’impaginatrice di punta prendesse 40 euro a libro, per lavorare in
nero in casa sua, un buco di 40mq dall’affitto in nero, 40 euro a libro, sia
che si trattasse di un volume di 400 pagine, di un’enciclopedia medica con
innumerevoli foto da impaginare e magari pure correggere, rielaborare con Photoshop,
oppure banalmente di un raccontino di appena 15 pagine, sempre e soli 40 euro.
Gli scrittori a cui finivo per raccontarlo per coscienza e sincerità, spesso
oltre ad essere stati già derubati da lui, sapendo che quei soldi che credevano
per me non arrivavano a me, si tiravano fuori altri soldi e me li mettevano in
mano, per la strada, a un bar, pregandomi di accettarli perché non ce la
facevano a pensare che il loro libro nascesse da tale sfruttamento. In
compagnia di quattro gatti, uno tra i quali Marcos da poco entrato in famiglia,
salvato da una guerriglia con i cinghiali e che marcava il territorio pisciando
un po’ ovunque per casa e ricordandomi
a tratti il mio ex compagno che a modo suo aveva marcato il territorio
anche lui, prima che lo cacciassi e lui come atto estremo di disprezzo nei miei
confronti si portasse via il televisore.
Tra lavatrici e letture di ogni tipo finivo spesso quasi accasciata,
stremata, addormentata con cartelle in mano, con scadenze, appuntamenti in bar
fumosi, richieste di cambiare tutto il lavoro appena finito anche all’ultimo
minuto dall’andare in stampa. Sognando di diventare pittrice. Non c’era una
vera e propria selezione, non c’è
alcuna selezione in una piccola casa editrice, semplicemente perché chiunque si
rivolga alla casa editrice che abbia scritto un capolavoro o una cagata
immensa, porta denaro, e quindi è il sognatore, lo pseudo o reale scrittore che
tiene a galla la baracca, così capitava di rendersi conto di impaginare libri
davvero validi e mi veniva da piangere, e libri illeggibili dai quali in genere
mi usciva una risatina isterica che somigliava al preludio di pazzia di Jack
Nicholson nel film Shining, e infatti il mattino aveva l’oro in bocca e gli
scrittori chiamavano:
-
Ciao
come stai, posso darti del tu? Diamoci del tu… l’hai letto, secondo te, cosa te
ne sembra… voglio dire fai con calma l’impaginazione, tutto, però posso sapere
cosa ne pensi ecco…
-
Si,
ho letto, ecco penso che la storia sia originale, però c’è un problema, visto che mi hai detto di non limitarmi
all’impaginazione, ma ecco di farti l’Editing del libro, ecco… insomma…non si
può scrivere un romanzo tutto in gerundio.
-
SILENZIO-
-
Pronto,
mi sente? Scusa, mi senti? Ci sei?
-
Si,
me lo hanno detto altri, questa storia del gerundio, ma ecco il fatto è che a
me il gerundio piace e così lo metto.
-
Si,
il problema è che mancano gli altri verbi, ora in un certo senso io non so
neppure come tu abbia fatto a scriverlo, perché scrivere un intero libro in
gerundio sia chiaro è davvero un fatto eccezionale, però ecco io dovrei
sostituire qualche gerundio, sai necessariamente per la comprensione.
-
Capisco,
se tu dici così…pochi però…Ah, scusa un’altra cosa, io non ho registrato alla
S.I.A.E questo lavoro e vedi, questo è un ambiente dove poi le idee le rubano,
quindi io dovrei assolutamente registrarlo prima…
-
Prima
di cosa?
-
Prima
che lo rubino, l’idea.
-
Di
un libro in gerundio?
-
No,
della trama, la storia è molto originale e voglio dire…
-
Si,
ma ecco, non lo rubano, dentro di me pensavo “ ma vogliamo scherzare chi
cazzo se lo ruba, leggerlo è stato un’impresa titanica e ora devo anche
tradurlo…” In effetti la storia che emerge da questi gerundi è…sì…
originale. Ma non è così facile che rubino, nel senso, ora verrà stampato e a
suo nome, a tuo nome, all’interno della casa editrice nessuno ruba testi o
idee, non tra noi impaginatori, io poi da quando lavoro qui voglio fare la
pittrice.
-
Ah,
io voglio fare lo scrittore.
Si insinua un pensiero, furtivo, subacqueo “Forse capisce solo se lo
mando a cagare in gerundio”.
Ma il fatto è che poi al di là di tutto erano sogni, erano persone che
stavano bene con i loro sogni, e io chi ero per distruggere sogni, chi ero per
decretare che in quella storia, in quel pozzo di gerundi, non ci fosse in
effetti un’idea importante, c’era una
storia persino commovente, di una tale pura ingenuità, magari a parte la forma
era geniale, o forse io volevo pure salvarli tutti, ma tutti no, non era
possibile, decisi che l’ideale era impaginare solo, non leggere nulla, e non prestarmi
a dare giudizi seppure me li chiedessero sempre, se il libro era buono avrei
voluto dare tutto allo scrittore e gridargli “fuggi via!” E se il libro era un
completo schifo, mi deprimevo, e mi deprimeva il fatto che non ci fosse alcuna
selezione, perché qualsiasi libro avrebbe avuto un certo numero di copie
stabilite da contratto, una misera inaugurazione personale, ospite Eva Robbins,
amica dell’editore, qualche coglione della Bologna bene, due finocchi di
antipasto in pinzimonio, un vino in cartone, un trombettista preso all’angolo
per strimpellare qualche nota, in caso di crisi addirittura un triste cd
registrato e cantante neomelodico esibirsi in playback, comunque sarebbe andata
così. Sarebbe andata così talento o
meno. Quelli che avevano talento erano nel posto sbagliato, quelli che non lo
avevano erano illusi di avercelo, perché i loro soldi erano sempre soldi, i
contratti sempre contratti e il denaro non è di talento o no è denaro entrante,
e questo mi avviliva, mi avviliva perché il lavoro era uno dei lavori più belli
che ti possano capitare, perché nel mucchio di scrittori folli c’era anche
tanta bellezza e umanità e anche molte storie tragiche dietro, a volte un libro
era più che un sogno, a volte era ciò che sosteneva un essere umano dal crollare
quando tutto intorno la sua vita era un incubo, quindi gerundio o meno a me
dispiaceva sinceramente per tutti, me compresa, sottopagata e sfruttata,
colleghe comprese, sottopagate e sfruttate. Eravamo tutti in mezzo a una farsa.
Quando consegnai il primo lavoro di impaginazione all’editore, feci conoscenza
anche del suo socio amministratore, l’editore era un uomo giovane, belloccio,
superficiale, controllava il lavoro ma non gliene fregava nulla, voleva fare
soldi e bella figura, ti rifilava
immediatamente altri lavori, altre scadenze veloci, ti spogliava con lo sguardo
ma era persino troppo pigro per spogliarti del tutto : “Ah, bene, tu
vorresti essere pagata, ah questo non io, abbiamo l’amministrazione”. Peccato
che vedevo solo lui e nessun ufficio amministrativo, lo osservavo perplessa, a
quel punto gli si affiancò un uomo giovane, che mi sorrise compiaciuto, si
sfilò il portafoglio dalla tasca e mettendomi i soldi nelle mani : “Sono
l’amministratore, ecco”. Fumo negli occhi, erano fumo negli occhi,
un’apparenza di burocrazia ridicola, in quanto in un lavoro in nero in effetti
c’è poca burocrazia da svolgere. I miei guadagni erano soldi messi nelle mie
mani, contanti che mi infilavo in tasca, io ero un fantasma e loro pure, solo
che avevano tutta una maschera di facciata e la casa editrice esisteva, esiste
tutt’ora.
Editore – Eloisa, fatti dare un libro da Sonia, Sonia ha materiale per
te, ho detto di mettertelo da parte è da fare con urgenza, ma dov’è Sonia?
Sonia aveva una pessima aria dopo una nottata nella quale era stata
svegliata nel cuore della notte perché doveva aiutare l’editore a fare non si
sa cosa, Sonia si faceva le canne per affrontare le giornate, era una brava
impaginatrice e aveva la sfortuna di dovere coordinare tutte e soprattutto di
fare anche da segretaria all’editore per pochi soldi, quando c’erano. A Sonia
un giorno portai un sacco pieno di vestiti, ero lì per ritirare il solito
lavoro, la guardai sorridendo, era esile, capelli corti neri alla maschietto,
erre moscia, scarpe basse da uomo, inesorabilmente stanca, dark nell’anima.
-
Hai
lavoro per me? Che roba è, chi sono? Dimmi che non c’è qualche maniaco di mezzo
e neppure qualcuno che sta morendo? Senti un poco in questo sacco c’è roba che
io non utilizzo più, è mia, se non ti offende, io mi scambio sempre vestiti con
chi mi pare, te li regalo, mentre parlavo le tiravo fuori un chiodo in pelle,
con bottoni con delfini, e vedevo il suo viso illuminarsi, non era offesa, anzi
gradiva il pensiero, è che preferisco sapere che l’indossi qualcuno a cui
piace, mi sto disfando delle cose in pelle, da animalista non riesco più a
portarle, e anche altre cose - le tiro fuori un top viola, completamente
nudo sulla schiena, una roba un po’ tipo cinquanta sfumature di viola, Sonia
rideva e si illuminava, andavamo tutte d’accordo. Il suo Harem di donne in nero
e sottopagate andava incredibilmente d’accordo. Era assurdo farci la guerra tra
noi si era troppo impegnate a farla a lui.
L’amministratore invece era un uomo politicamente a destra che mi
sfotteva perché io ero politicamente a sinistra e portavo Guevara al collo.
-
Ciao
comunista!
-
Ciao
Fascio, hai lavoro per me?
- Ehi c’è un lavoro che fa proprio al caso tuo, abbiamo già il
contratto, ma è malato gravemente, bisogna che gli dai la precedenza subito.
- Senti, io non ho più voglia di incontrarmi con persone che stanno
male, non ce la faccio, fallo fare a qualcun’altra…
- E’ un libro che parla del periodo storico della Resistenza, ma se non
ti interessa c’è sempre una cosa sul sesso…
-
Della
resistenza? Ok, lo prendo io.
Non racconterò fatti e antefatti, era l’uomo più gentile che avessi mai
incontrato in vita mia, tutt’ora uno dei miei più grandi amici, e cosa
fondamentale pur dovendo affrontare in quel periodo della nostra conoscenza e
del nostro lavoro in comune un male oscuro di cui mai mi parlò e mai mi
dimostrò di dargli minimamente peso, in qualche modo mi piace pensare che gli
portai fortuna, intanto non morì, e sul suo volto magro e provato ma pieno di
gioia e di energie vitali per il progetto di scrittura, capii che questa morte
vagheggiava più nella testa degli altri che ti vedono sempre morto prima che
accada, e che chi è malato ha spesso dentro di sé più vita di chiunque altro,
sorpresa da questo atteggiamento, mai vittimistico, mai depresso, ma
propositivo, ottimista, mi entusiasmai e dimenticandoci entrambi della
malattia, collaborammo molto bene, gli raccontai ogni cosa della casa editrice,
ci misi tutta me stessa per il suo libro, e ne uscì uno splendido romanzo su
quel periodo storico, ma cosa più importante, nacque un’amicizia profonda e
tutt’oggi debbo a lui la conoscenza di due uomini, suoi amici, che divennero
poi anche grandi amici miei, che nella mia vita, insieme a lui, sono stati
fondamentali nell’aiutarmi, sostenermi ad avverare il mio di sogno, quello di
pittrice, ma questa è un’altra storia.
Noi ogni tanto ci troviamo a bere e a raccontarci la vita, a parlare di
politica, resistenza, amore.
Gli altri scrittori con cui
lavoravo erano: un uomo che scriveva libri in bolognese stretto, e raccontava
tutte le storie più esilaranti di via del Pratello, e le storie erano davvero incredibilmente belle, ma anche lui
aveva qualche problema con i verbi e l’esposizione, difficile però addentrarsi
nel dialetto con licenza e poi li ritenevo tali capolavori che gli avevo
applicato licenza poetica e ammetto in cartaceo, con il suo permesso, me li
sono pure tenuti, per rileggermeli. Lui mi offriva sempre pistacchi e succo di
frutta allo squallido bar-scommesse dei tranvieri, e mi suggeriva se volevo
fare la pittrice di dipingere donne grasse, perché nessuno lo aveva mai fatto.
Certo, a parte Botero… voleva solo me per impaginare i suoi libri, altrimenti
non impaginava, non pubblicava con questa casa editrice, l’editore con lui era
sotto ricatto, mi accompagnava rigorosamente all’autobus e non mi rompeva mai
le palle telefonandomi ogni ora della giornata, si fidava ciecamente, avevo
anch’io licenza di impaginatrice e carta bianca. Ma non erano tutti così, altra
cosa che prediligeva il mio editore, era non solo passarmi scrittori in punto
di morte ma anche erotomani, mi appioppò un libro sul sesso, di non so quante
pagine, su un coglione che raccontava bieche avventure erotiche, dove la donna
aveva la stessa funzione di una bambola gonfiabile ma se possibile con meno
dignità, e dove il sesso descritto veniva tranquillamente applicato nelle
situazioni più inusuali, in tram, sulla torre Eiffel, per le strade, senza
limiti d’età, d’incesto e dignità, ci teneva a livello maniacale all’impaginazione
e telefonava da qualche isola, o dicendo che era sul bordo di qualche piscina a
bersi cocktail e a ispirare il suo genio, il suo libro era un volume
incredibilmente enorme, di stupido sesso, la trama era inesistente,
accoppiamenti su accoppiamenti, un film porno a confronto era un opera dalla
trama intensa, così quando si impuntava sul capolettera avrei voluto gridargli
in faccia: “Avrai un capolettera stupendo, una consonante o vocale iniziale
della prima parola della prima riga di testo degna degli antichi monaci
amanuensi ma ciò non cambierà l’autentica merda che hai scritto!” “Maschilista
del cazzo!” Ma deglutivo, per il capolettera di questo sfigato chiederò di più
di 40 euro. Me la gioco sul tempo, lui ha fretta e dove la trova un’altra impaginatrice che lavora alla paga di
una cinese, me la gioco con calma e poi chiedo di più all’editore. Con
l’editore erano scenate alla “mezzogiorno di fuoco”, in mezzo la sua scrivania,
io con il libro nella chiavetta e lui con la mano sul portafoglio.
-
Ti
pagherei Eloisa ma…non ho soldi, ho lasciato il portaf…
Quella del portafoglio a casa era una costante quando si trattava di
pagarmi
-
Niente
soldi, niente libro.
-
Ma
il libro sul sesso deve essere pronto
immediatamente, devo averlo oggi, altrimenti salta tutto.
-
Il
libro è qui nella chiavetta, tu posi i soldi al centro della scrivania e io la
chiavetta, non fare scherzi questa volta sono 100 e me li sono guadagnati
tutti, un gesto sbagliato e butto la chiavetta nel cesso, e addio sesso a New
York o come cazzo si chiama! Tutte le sue capolettera nella fogna, non so se mi
spiego!
Generalmente me ne uscivo con i soldi e il compito di comprargli due
pacchetti di sigarette dal tabaccaio. Lui aveva solo impaginatrici donne, due
cose gli interessavano i soldi e le donne, era un uomo semplice, prevedibile
non c’è che dire, tutto poteva essere ridotto a facile compromesso con pelo e
soldi. Quindi il classico berlusconiano, immagino. Ma la casa editrice
cominciava ad affondare, si stava su sabbie mobili, le ragazze preventivamente
nascondevano i soldi che arrivavano, era l’unico modo per avere lo stipendio,
oltre a un soddisfacente numero di canne per affrontare ogni sorta di colloquio
con scrittori e soprattutto con lo stesso editore. Per fortuna io lavoravo in esterno
e avevo libri ostaggio nella mia chiavetta che tenevo in tasca come una Colt.
Mi capitò tra le scrittrici esordienti una ragazza, ci scrivevamo via mail,
aveva scritto questo libro, una sorta di storia di incesto ma non solo, la sua
scrittura era erotica, sensuale, non banale, la sua scrittura era una bomba, “Cazzo,
ho pensato, cosa ci fa una scrittrice qui, devo avvisarla!”
Via mail:
-
Il tuo libro è davvero interessante, coinvolgente, affascinante e
indecente, scrivi molto bene, l’ho
impaginato, ti invio un pdf , per qualsiasi cosa sono qui, credi nei tuoi
sogni.
Eloisa
Ps- Nel senso credici anche
dopo averlo pubblicato con questa casa editrice, insomma credici sempre!
La risposta fu esplosiva mi ringraziò entusiasta dicendomi quanto fosse
importante per lei.
Io, la testa tra le mani, ora di fronte avevo un libro di uno scrittore
che ci teneva davvero che io in prima pagina mettessi il suo stemma di
famiglia, ero bloccata sullo stemma di famiglia, lo sguardo vacuo come chi non
riesce a staccare le pupille da una lavatrice in funzione, ero a un punto di
non ritorno, avevo un altro libro sugli extraterrestri, avevo un libro
ambientato nella Toscana che narrava di storie tra Re, Duchesse e Regine in
versi, che si accoppiavano tra loro in una sorta di epopea d’altri tempi e da
spazi lontani e distanti, decisi che
questa pila sarebbe rimasta lì, avrei riportato tutto all’editore, dicendogli
che per 40 euro a libro se li impaginasse lui, che me ne andavo senza rancore
ma avevo bisogno di pagarmi l’affitto e anche di un lavoro, che mi dispiaceva
perché quel lavoro lo amavo, non amavo lui ma il lavoro sì, e non ci vivevo.
Poteva fare due cose, aumentarmi lo stipendio, ma sapevo che avrebbe
più facilmente trovato un’altra me disposta a lavorare per quei soldi senza
aggiungerne altri, lo avevo fatto anch’io dimostrandogli che era possibile, o
sorprendermi, ma la gente ti sorprende raramente, per lo più ti dà conferme, e
infatti, disse semplicemente:
Certo, ti capisco, hai ragione, ma io non posso dare di più, ciao.
Il risultato furono aspiranti scrittori delusi, Sonia con una pila di
libri da farsi tutta da sola, altri scrittori che sarebbero inevitabilmente
deceduti nell’attesa, cuori infranti, tentativi di cercarmi, ma non rispondevo
più a mail, quando una storia è chiusa è chiusa e gli scrittori dovrebbero
capire, cazzo, la parola :
FINE.
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