Foto-Grafica Eloisa Guidarelli |
Le sorelle “per
sempre”
Tutta questa vita incustodita, piena di rabbia, tutta
questa vita come strascico di sposa fuggita e di mancate promesse per
l’eternità, e poi tutta questa vita passata dagli occhi e finita su gocce
d’acqua rotonde che strisciano sul vetro di un magnifico paesaggio che rimane
rappreso tra le labbra e il vapore di un respiro, questa vita di timore, di
ore, di acqua calda come l’aria. Questa vita di bestemmie sussurrate e di poesie
dove si inciampa, questa danza di scimmie che hanno imparato la matematica ma
hanno perso l’eleganza. Mangiare le voglie come le foglie dell’albero di una
vita tradita e stare sotto l’arcobaleno, china, tenere il freno con le dita dei
piedi, non vedi…
Camposanto di errori portati con vanto, profilo sinistro,
un mazzo di fiori secchi, li getto come un colpo di frusta distratto nel vento
intatto, talmente fermo che potresti tagliarlo con un filo, come polenta, la
vita è in ritardo e gli anni vicini, appesi come biancheria da stendere al
sole, come i nostri corpi, le nostre parole che cadono come monete distratte
rovesciate le tasche. Mani alle orecchie, il volto distrutto, ho sbagliato
tutto, mi ha mangiato il sarcasmo, mi ha sedotta il cinismo, ogni sbaglio mi
avvolgeva i talloni come pozzanghere che fanno specchio ai temporali passati e
ne imprimono i volti, sfuggenti, fatati. Ho osato per noia e depravazione, ho
osato persino per confusione, ho osato per istinto e per narcisismo, ho osato
cantare quando era fuori luogo, come a un funerale, come a un terremoto, ho
osato per inquietudine, ho osato per curiosità, forse per sentire il male che
fa e il piacere che da’ogni età. E poi ho osato sempre, perché non lo so, avevo
l’acqua nelle orecchie, a volte devi compensare, la vita fa male se vai troppo
in profondità, può mancare l’ossigeno. E’ così, a volte sono arrivata anche lì.
Come faccio, come posso, questa società ci sta addosso, premuti, come in un
autobus affollato, ti invade il fetore, sente quello che dici, ha sguardi in
tralice sui tuoi vestiti, fermata prenotata, fammi scendere, è una vita sudata,
ho ideali sicuri, ma intanto siamo tutti fianchi contro culi e si ondeggia e
basta una frenata, per cambiare sponda, per amarsi, per uccidersi o farsi una
risata, è una vita di massa dove c’è chi conduce, chi conduce si è sniffato la
coca, ma ciò che conta è che ci si riproduce, e c’è chi scende e chi sale e chi
si sospende per evitare, per attendere l’onda lunga, per tentare di galleggiare
al di sopra. Al di sopra delle tue sopracciglia dove si estende la meraviglia
di gesti incantevoli che non hai mai avuto ma che io ti ho inventato. Al di
sopra delle tue labbra che custodiscono parole mai nate, in quel solco di
velluto che porta alle narici degli odori condivisi di paesaggi immaginati, e
sapori inventati all’occorrenza nati dall’incoscienza, al di sopra delle
giornate condannate mai avute, al di sopra di ogni aspettativa, la vita nelle
tua pelle soltanto, nell’odore, nel tatto, strisciando con la guancia, le
labbra, i seni e il cuore, giochi fatti nel tempo che passa, registrati
nell’immortalità interiore, nell’anima che non muore, e si rinnova, come quando
tiri un sasso nell’acqua e lei ti restituisce la faccia, “per sempre”, parole
che vanno oltre i migliori auspici che puoi fare, parole che da morti ci
verranno a trovare e porteranno fiori alle nostre tombe, e sfioreranno le
ceneri, ci solleveranno le gonne come lingue di vento che sento, parole che
sopravviveranno, ad ogni costo al nostro posto, a costo di essere
impollinazione, a costo di essere fuoco, a costo di farsi intravedere per poco
dagli esseri viventi, parole assenti sulla nostra pelle, mani delicate e
sottili, a sfiorare le tue spalle rotonde e i tuoi sogni infantili, parole che
sono state opere d’arte, “per sempre”, sono due parole che fanno tacere tutto,
bloccare una risata sospendere un rutto, senti che silenzio, non c’è altro da
dire, se le vuoi sentire, le porta sulle labbra l’amore, le puoi bere e non le
puoi restituire, non converrebbe neppure un granché sarebbe l’ultima cosa che
potrebbe sopravvivere in te. Queste parole come sorelle ubriache allacciate le
mani in un giorno d’estate, mai invitate alla fine della sua vita, perché non
avevo previsto la sua fine e neppure che l’avrei mai digerita, infatti mi pesa
sullo stomaco e la gola e sono metà anestetizzata non sento parte della vita,
non sento questa giornata, a questo mi ha portato la sua dipartita e non mi è
bastata neppure la mia arte, io mi mangio il cuore a parte e non sento neppure
male, e come fa? Erano cuori nati per battere vicini, era oltre l’amore, erano
destini.
C'è una ripetizione nel testo la parola "Vita" è usata spesso, ma non ne ho un'altra che abbia lo stesso significato, peccato...che non sia peccato, ed Eva si gira di schiena, il culo tondo come una mela, credevi di avere in tasca la verità, digerisco il senso del peccato, un torsolo nel palmo della mano, il corpo dentro un vestito usato, fantasmi di ore perfette, di fronti benedette rubate al sole, conosci il sorriso di chi muore? E' il sorriso migliore.
Ma le ho buttate le parole “per sempre”, le ho lacerate
nella mia mente, gliele ho infilate giù per la gola insieme al suo ultimo
respiro.
L’ho cercata l’eternità,
affondava in sabbie mobili il mio terrore, mi mancava il tuo odore, avrei cercato l’ultimo tuo respiro sul
muro per metterlo al sicuro, per poterlo ascoltare, per tirarmi per il culo, ho
creduto nella magia, in tutto quello che mi avrebbe portato via, ti creo uno
spazio d’aria ogni notte tra le mie coperte, tra le nostre bocche, perché tu
possa dormirmi accanto, soltanto traboccare di sangue e d’amore e diventare
anemica, bianca e sottile per raggiungere un sole sferico altrettanto distante
che non scalda, ho tralasciato la cortesia, ho indossato un’armatura che fa paura,
ho rivestito il cuore di un’impermeabilità, così sai non si bagnerà, ho lacrime
che cercano te e sono mani, sono lacrime che affondano e spingono e assalgono,
con violenza, con urgenza e non ascoltano, non accettano. Sono arrivate così
violente le sorelle “per sempre” per sempre dentro te, le sorelle “per sempre”
ti devono bastare, sono l’immortalità, sono la poesia e poi sono l’eccellenza
di questa vita che ha scadenza, e anch’io le ho fatte mie, perché non potevo
sopravvivere altrimenti, rimane il fatto che sei sempre dentro me, però sento
la mancanza terrestre, vitale, quella fatta di respiro e di odore, quella fatta
di sguardi e d’amore, quella fatta per me e per te e di un mondo che poteva
anche durare tanto così, perché non finiva lì. E io potevo toccarti, toccarti,
allora spiegami dov’è l’infinito e se in qualche modo lo abbiamo tradito, posso
vivere di un momento dilatato, le parole “per sempre” mi hanno varcato il
ventre hanno tirato lembi da lato a lato e si sono infilate dentro come sorelle
diverse, come noi sotto le coperte, io le ho fatte entrare, come si fa entrare
la notte, persino come si incassano le botte, mi hanno fatto talmente male, mi
sentivo stritolare, le ossa, le budella, com’eri bella, come una giornata
perfetta e io sono quella che resta ma non basta. Come faccio a portarmi i
fiori, non sento neppure gli odori, chi porta i fiori alle persone morte dentro
e quanti fiori ci vogliono per chi muore ogni momento, ci sono vivi che ballano
danze con chi non c’è più, e lo vedi nelle iridi diverse, in un incanto che le
coglie oblique, in sorrisi quasi di scherno alla vita, come se sorridere di per
sé significasse averla tradita, ci sono persone come me che danzano con parti
oscure senza paure ma con tanta malinconia, che a volte abbonda e diventa gioia
profonda, gioia che ingombra e deve sfociare a parte forse attraverso l’arte,
come troppa felicità mal digerita che deve essere vomitata, perché non la si sa
trattenere e stai a vedere che è perché nelle persone come me c’è un momento in
cui, non lo diresti mai, i troppi guai e il tanto dolore, fosse in uno scarto
di cielo, in una leggera distrazione portata dalla giornata, in un angolo di
minuto sospeso in un perché senza tempo, beh in quel preciso momento, si
percepisce con netta chiarezza che la vita e la morte sono la stessa parola guardata alla luce o letta
nell’ombra, la paura allora si allontana, si distende, non importa quello che
finisce o quello che comincia ma quello che si sente, e in questa immortalità
veloce altrimenti sarebbe letale, in questa immortalità avvertita e già
sparita, in questa immortalità minuta e finita ci dev’essere l’unico senso
della vita, non so dove si va a finire, non è religione la mia, forse più
magia, forse anche la dovuta follia, forse è un ideale che è bestemmia, un
sogno che sgomenta, forse in altri tempi sarei bruciata, l’immortalità è in una risata. E’ in un’idea perversa di una
vita diversa che raramente assaporiamo, perché corriamo e non viviamo, perché
collezioniamo e non amiamo, perché siamo ma non sentiamo, perché uccidiamo
subito il bambino che è dentro di noi, l’unico che aveva avuto le idee chiare
sul presente e su come ci si sente a calzare le scarpe per gli istanti.
A calzare scarpe per gli istanti e a sapere di questa
necessità, la vera immortalità.
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