venerdì 17 maggio 2013

"Per sempre"

Foto-Grafica Eloisa Guidarelli



Le sorelle “per sempre”




Tutta questa vita incustodita, piena di rabbia, tutta questa vita come strascico di sposa fuggita e di mancate promesse per l’eternità, e poi tutta questa vita passata dagli occhi e finita su gocce d’acqua rotonde che strisciano sul vetro di un magnifico paesaggio che rimane rappreso tra le labbra e il vapore di un respiro, questa vita di timore, di ore, di acqua calda come l’aria. Questa vita di bestemmie sussurrate e di poesie dove si inciampa, questa danza di scimmie che hanno imparato la matematica ma hanno perso l’eleganza. Mangiare le voglie come le foglie dell’albero di una vita tradita e stare sotto l’arcobaleno, china, tenere il freno con le dita dei piedi, non vedi…

Camposanto di errori portati con vanto, profilo sinistro, un mazzo di fiori secchi, li getto come un colpo di frusta distratto nel vento intatto, talmente fermo che potresti tagliarlo con un filo, come polenta, la vita è in ritardo e gli anni vicini, appesi come biancheria da stendere al sole, come i nostri corpi, le nostre parole che cadono come monete distratte rovesciate le tasche. Mani alle orecchie, il volto distrutto, ho sbagliato tutto, mi ha mangiato il sarcasmo, mi ha sedotta il cinismo, ogni sbaglio mi avvolgeva i talloni come pozzanghere che fanno specchio ai temporali passati e ne imprimono i volti, sfuggenti, fatati. Ho osato per noia e depravazione, ho osato persino per confusione, ho osato per istinto e per narcisismo, ho osato cantare quando era fuori luogo, come a un funerale, come a un terremoto, ho osato per inquietudine, ho osato per curiosità, forse per sentire il male che fa e il piacere che da’ogni età. E poi ho osato sempre, perché non lo so, avevo l’acqua nelle orecchie, a volte devi compensare, la vita fa male se vai troppo in profondità, può mancare l’ossigeno. E’ così, a volte sono arrivata anche lì. Come faccio, come posso, questa società ci sta addosso, premuti, come in un autobus affollato, ti invade il fetore, sente quello che dici, ha sguardi in tralice sui tuoi vestiti, fermata prenotata, fammi scendere, è una vita sudata, ho ideali sicuri, ma intanto siamo tutti fianchi contro culi e si ondeggia e basta una frenata, per cambiare sponda, per amarsi, per uccidersi o farsi una risata, è una vita di massa dove c’è chi conduce, chi conduce si è sniffato la coca, ma ciò che conta è che ci si riproduce, e c’è chi scende e chi sale e chi si sospende per evitare, per attendere l’onda lunga, per tentare di galleggiare al di sopra. Al di sopra delle tue sopracciglia dove si estende la meraviglia di gesti incantevoli che non hai mai avuto ma che io ti ho inventato. Al di sopra delle tue labbra che custodiscono parole mai nate, in quel solco di velluto che porta alle narici degli odori condivisi di paesaggi immaginati, e sapori inventati all’occorrenza nati dall’incoscienza, al di sopra delle giornate condannate mai avute, al di sopra di ogni aspettativa, la vita nelle tua pelle soltanto, nell’odore, nel tatto, strisciando con la guancia, le labbra, i seni e il cuore, giochi fatti nel tempo che passa, registrati nell’immortalità interiore, nell’anima che non muore, e si rinnova, come quando tiri un sasso nell’acqua e lei ti restituisce la faccia, “per sempre”, parole che vanno oltre i migliori auspici che puoi fare, parole che da morti ci verranno a trovare e porteranno fiori alle nostre tombe, e sfioreranno le ceneri, ci solleveranno le gonne come lingue di vento che sento, parole che sopravviveranno, ad ogni costo al nostro posto, a costo di essere impollinazione, a costo di essere fuoco, a costo di farsi intravedere per poco dagli esseri viventi, parole assenti sulla nostra pelle, mani delicate e sottili, a sfiorare le tue spalle rotonde e i tuoi sogni infantili, parole che sono state opere d’arte, “per sempre”, sono due parole che fanno tacere tutto, bloccare una risata sospendere un rutto, senti che silenzio, non c’è altro da dire, se le vuoi sentire, le porta sulle labbra l’amore, le puoi bere e non le puoi restituire, non converrebbe neppure un granché sarebbe l’ultima cosa che potrebbe sopravvivere in te. Queste parole come sorelle ubriache allacciate le mani in un giorno d’estate, mai invitate alla fine della sua vita, perché non avevo previsto la sua fine e neppure che l’avrei mai digerita, infatti mi pesa sullo stomaco e la gola e sono metà anestetizzata non sento parte della vita, non sento questa giornata, a questo mi ha portato la sua dipartita e non mi è bastata neppure la mia arte, io mi mangio il cuore a parte e non sento neppure male, e come fa? Erano cuori nati per battere vicini, era oltre l’amore, erano destini.
C'è una ripetizione nel testo la parola "Vita" è usata spesso, ma non ne ho un'altra che abbia lo stesso significato, peccato...che non sia peccato, ed Eva si gira di schiena, il culo tondo come una mela, credevi di avere in tasca la verità, digerisco il senso del peccato, un torsolo nel palmo della mano, il corpo dentro un vestito usato, fantasmi di ore perfette, di fronti benedette rubate al sole, conosci il sorriso di chi muore? E' il sorriso migliore.

Ma le ho buttate le parole “per sempre”, le ho lacerate nella mia mente, gliele ho infilate giù per la gola insieme al suo ultimo respiro.

L’ho cercata l’eternità,  affondava in sabbie mobili il mio terrore,  mi mancava il tuo odore, avrei cercato l’ultimo tuo respiro sul muro per metterlo al sicuro, per poterlo ascoltare, per tirarmi per il culo, ho creduto nella magia, in tutto quello che mi avrebbe portato via, ti creo uno spazio d’aria ogni notte tra le mie coperte, tra le nostre bocche, perché tu possa dormirmi accanto, soltanto traboccare di sangue e d’amore e diventare anemica, bianca e sottile per raggiungere un sole sferico altrettanto distante che non scalda, ho tralasciato la cortesia, ho indossato un’armatura che fa paura, ho rivestito il cuore di un’impermeabilità, così sai non si bagnerà, ho lacrime che cercano te e sono mani, sono lacrime che affondano e spingono e assalgono, con violenza, con urgenza e non ascoltano, non accettano. Sono arrivate così violente le sorelle “per sempre” per sempre dentro te, le sorelle “per sempre” ti devono bastare, sono l’immortalità, sono la poesia e poi sono l’eccellenza di questa vita che ha scadenza, e anch’io le ho fatte mie, perché non potevo sopravvivere altrimenti, rimane il fatto che sei sempre dentro me, però sento la mancanza terrestre, vitale, quella fatta di respiro e di odore, quella fatta di sguardi e d’amore, quella fatta per me e per te e di un mondo che poteva anche durare tanto così, perché non finiva lì. E io potevo toccarti, toccarti, allora spiegami dov’è l’infinito e se in qualche modo lo abbiamo tradito, posso vivere di un momento dilatato, le parole “per sempre” mi hanno varcato il ventre hanno tirato lembi da lato a lato e si sono infilate dentro come sorelle diverse, come noi sotto le coperte, io le ho fatte entrare, come si fa entrare la notte, persino come si incassano le botte, mi hanno fatto talmente male, mi sentivo stritolare, le ossa, le budella, com’eri bella, come una giornata perfetta e io sono quella che resta ma non basta. Come faccio a portarmi i fiori, non sento neppure gli odori, chi porta i fiori alle persone morte dentro e quanti fiori ci vogliono per chi muore ogni momento, ci sono vivi che ballano danze con chi non c’è più, e lo vedi nelle iridi diverse, in un incanto che le coglie oblique, in sorrisi quasi di scherno alla vita, come se sorridere di per sé significasse averla tradita, ci sono persone come me che danzano con parti oscure senza paure ma con tanta malinconia, che a volte abbonda e diventa gioia profonda, gioia che ingombra e deve sfociare a parte forse attraverso l’arte, come troppa felicità mal digerita che deve essere vomitata, perché non la si sa trattenere e stai a vedere che è perché nelle persone come me c’è un momento in cui, non lo diresti mai, i troppi guai e il tanto dolore, fosse in uno scarto di cielo, in una leggera distrazione portata dalla giornata, in un angolo di minuto sospeso in un perché senza tempo, beh in quel preciso momento, si percepisce con netta chiarezza che la vita e la  morte sono la stessa parola guardata alla luce o letta nell’ombra, la paura allora si allontana, si distende, non importa quello che finisce o quello che comincia ma quello che si sente, e in questa immortalità veloce altrimenti sarebbe letale, in questa immortalità avvertita e già sparita, in questa immortalità minuta e finita ci dev’essere l’unico senso della vita, non so dove si va a finire, non è religione la mia, forse più magia, forse anche la dovuta follia, forse è un ideale che è bestemmia, un sogno che sgomenta, forse in altri tempi sarei bruciata, l’immortalità è  in una risata. E’ in un’idea perversa di una vita diversa che raramente assaporiamo, perché corriamo e non viviamo, perché collezioniamo e non amiamo, perché siamo ma non sentiamo, perché uccidiamo subito il bambino che è dentro di noi, l’unico che aveva avuto le idee chiare sul presente e su come ci si sente a calzare le scarpe per gli istanti.

A calzare scarpe per gli istanti e a sapere di questa necessità, la vera immortalità.













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