"L'abisso di Ofelia" Acrilico su faesite - 2013 - Eloisa Guidarelli
Parole rosse
Come posso…. Il diavolo piangeva commosso…
Ci sono parole rosse, come labbra
traboccanti di intenzioni non dette, ma concesse, ci sono parole allusioni, ci
sono parole fatate, vellutate, sussurrate solo nel pensiero che non diventano
suono, ma che ti entrano dentro, come un atto sessuale, parole che danno
piacere, parole che fanno male, parole che sono quadri e fotografie, le mie.
Parole che dovrebbero implorare perdono, parole che sono un dono, parole
vestite da suore, parole bruciate eretiche, parole che ti inibiscono, parole
che ti stordiscono e ci sono anche solo parole per non dire niente… le usa
spesso la gente, quando nasconde un discorso interiore dove ci si lascia
morire, meglio non dire, parole di scorta per mancate occasioni. Abluzioni,
gargarismi di sogni dentro la gola e si sputa ancora tutto fuori, fantasmi ed
errori nuovi. Abiurare le proprie ferite sotto il sole, con parole lascive e
furtive, per dire che non si muore se si rinuncia a sé… Parole rosse come gocce
di sangue virtuale sullo schermo, a scherno del deserto che ci ha inglobato
dentro. Da tempo.
Sono tornati i ricordi, sipari pesanti, fanciulli assenti all’appello,
fuga dal mondo nel giorno più bello, che colpo di scena vederti la schiena come
in un sogno che lascia luce soffusa ti ricordi l’amore e cancelli ogni scusa. E
si accusa di gesti stretti ai vestiti, di parole nascoste dietro agli inviti,
di sguardi tangenti a sete fuori luogo, di dubbi indecenti rimasti in un bolo
di saliva che non si deglutiva, e varcava l’imbarazzo passo dopo passo, una
stanza buia e asciutta, priva d’anima e di vita, la lama arrugginita sopra la
ferita. Fantasmi annoiati dalle bocche rosse e sensuali gestiscono la vita
privata e sono solo affari. C’è una eleganza data dall’eccesso di cinismo,
vestita a lutto di distanza, c’è una maschera aderente ai tuoi lineamenti, li
ricorda, direi quasi “somiglianza”. C’è uno specchio che non riflette il tuo
volto, il tuo corpo, c’è una foto scattata con gli occhi, capovolta nel
cervello, in cui tu sei sempre assente anche quando eri presente. Si sente,
dentro la pelle, nelle budella, sotto le ciglia, il tuo amore è strisciato via,
ha lasciato la scia, ha sibilato un addio, sembrava un comando, ho ricordi in
bianco e nero, dopo un bacio perfetto, sulle labbra il disprezzo, che sapore ha
ora l’idea di te, l’amaro concetto di ogni tuo gesto, le lenzuola pesanti e
lacrime concesse a un automa non del tutto istruito sul dolore dell’altro,
montato per sbaglio, si sono dimenticati di concederti un cuore, solo l’odore
che lascia la tua paura, che eterna paura che hai, ma come fai? E’ la paura
peggiore quella dell’amore… è una paura inferiore, è la paura più vigliacca che
c’è, è la paura di te, è la fobia più nera… ed è così vera, si tocca la tua
paura d’amare, fa male. Prenderti, girarti, ma chi ti ha montato, come si
azionano i sentimenti… quando c’eri con me dove sei stato. Assente. Assente. Ma
chi ci ha fatto conoscere? Ma quale assurda beffa del destino, chiamarti amore,
averti vicino… io che da sempre ho tutti i sentimenti davanti come armi, tu che
sei nato con una cassa toracica vuota, fa eco ogni nome gridato dentro te e a
un “perché”, torna un perché… E penso a ogni minuto concesso da te, desiderato
da me. E penso all’amore con te che era fare l’amore con me, e poi alla tua
risata che trascinava via come una cascata, che forse era l’unica cosa vera e
stonava, come stonava la nostra intesa, qualcosa non tornava, la tua risata
come pioggia acida, rinfrescava la pelle, faceva tacere il cuore ma ero in
errore… e poi parole, parole, parole, le gettavi di fila, come un esperto,
potevi gettarle e farle rotolare una dietro l’altra, perfette, per farmi
inciampare. Sei il male, non solo il tuo, sei anche il male mio, riesci a
tirare fuori il peggio di me, del resto è l’unica cosa che posso avere in
comune con te. E adesso svuotata come ogni giornata, cambiare pelle, cambiare
vita, trascurare una ferita, portare il cuore a tracolla l’ennesima volta, come
in fondo non avesse mai fatto parte di me, sorridere a destra e a manca, come
il mondo fosse il ricevimento in una stanza, in una stanza dove celebriamo
questo lutto alla maniera americana, mangiamo sui sentimenti deceduti e saluti.
E tu che farai ora della scomoda parte di me, tu facile a liberarti di ogni
peso, tu talmente pieno di te che riesci bene a dimenticare e archiviare, basta
cercare qualcosa dentro te da ammirare, da leccare, da annusare… Ho la mia
malinconia malleabile, impermeabile, l’ho accarezzata come fosse a torso nudo,
l’ho esaltata e l’ho invitata dentro me, le ho mostrato tutte le stanze vuote e
dove ho fatto le prove per una giornata senza te, senza te nella testa, senza
te in ciò che resta, la tua mancanza ingombra più della tua presenza che almeno
era già assenza, la tua ombra pesa ora più del tuo corpo di allora. Più del tuo
corpo di allora. E basta! All’equilibrio precario, a misurare parole che non ti
conducessero altrove, una relazione come una casa fatta di carte da gioco,
guarda sta in piedi per poco, attenta non soffiare, dì al cuore di battere piano,
non dirgli “Ti amo”, non fare un movimento di più verso di lui, che tutto
crolla, che poi non esiste più, però per i pochi minuti a disposizione guarda
che esaltante costruzione,
morditi
le labbra e trattieni il respiro, l’estetica merita di starti vicino.
Balle! Mi rifiuto, è tutto caduto, il castello di carte, il gioco dell’arte, la
tua attenzione su di me, il tuo respiro vicino, come un animale a sangue freddo
ha bisogno di un corpo caldo ma è solo per rimanere vivo, basta con le molliche
di pane, questo amore crepa di fame,
basta con la tua finta pazienza e la tua convenienza, questo amore ha
spalancato la bocca di rabbia, basta stare a galla, scendi nell’abisso,
sporcati le mani, rimani due minuti nel dolore, senti l’odore, senti
l’imbarazzo, senti la vita che muore nel tuo distacco, e corri e inchinati e prendi le occasioni e
striscia e ammicca e sorridi, zucchero filato di intenzioni, poterti trascinare
per i capelli che non hai in tutti i miei guai e non pretendere certo di essere
capita, ma sentita, sentita. Non ce la fai, ti mancano i mezzi, ti mancano gli
occhi interni, ti sei giocato il cuore non so neppure a quale età… che
differenza fa… Rimani inebetito “adesso cazzo le dico”… Prova a dirmi che hai
mentito, anzi se è troppa fatica, dimmi quando mi hai detto la verità, è un
calcolo minore, non dovresti cadere in errore, hai lo sguardo stupito “Come
cazzo l’ha capito?” Non ti chiedevo neppure di non tradire, ma potevi non farti
scoprire. Non ti puoi permettere una donna tu, tu non ce la fai più! Tu con i
tuoi sentimenti in scatola, mi è partita dal cuore una risata e non credo tu
l’abbia sentita, una risata su una storia finita, una cerniera sollevata, un
reggiseno allacciato, un maglione infilato sulla pelle che aveva il ricordo
recente delle impronte digitali di un deficiente.
Tu.
Mai Più.
E inglobato il mio viso alla notte, baciata l’oscura bocca, lasciato
lacrime come gocce di rugiada, scambiato l’arcobaleno con l’asfalto della
strada, avere fretta di finire, di reagire, di soffrire, di entrare nella
cabina del silenzio e fare le domande al tempo. Un momento. Solo per me.
Lucida. Lontana. Strana. Il giorno dopo hai negli occhi una luce ambigua,
qualcosa di affascinante, qualcosa di vissuto, di esitante, di saputo, hai
fabbricato nel mentre parole sagge, sai darti persino consigli, se potessi al
momento opportuno scordarti del male per il calcio nel culo. Vabbeh che c’è,
non si muore, non si muore, toccatevi, non si muore perché finisce un amore,
cos’è? Semmai si torna in sé… Ecco potrebbe aiutare sapere che lui se la passa
davvero male… Aspettare, aspettare. Le grandi coppie della storia… magari
Giulietta non aveva questa fretta di morire e forse Eva, Eva si annoiava da
morire, e Rossana non ne poteva più di
lettere ben scritte, forse avrebbe tralasciato l’aspetto per del sano sesso,
forse se Ofelia non si fosse annegata, ma armata come una Giovanna D’Arco si
fosse vendicata, magari anche soltanto amando qualcun altro che lo meritasse
anche di più, forse se avesse fatto della sua pazzia un’arte, se l’avesse
persino esaltata, se come sanno fare gli uomini così bene l’avesse utilizzata a
scusa, forse chiamandomi io Eloisa, chissà… potresti fare la fine di Abelardo
tu?… Mi aiuterebbe di più… Ma no stai lì, stai così, la punizione più grande per
te è stare tutto il tempo in tua compagnia, forse nel sogno di D’Annunzio
troverai la soluzione a tutto quanto. Che incanto. Basta che non debba
sorprendere più la tua faccia da bambino colto con le mani nella marmellata,
quell’aria di santità che ti appare prima di inventare la scusa più puerile che
ci sia, in cui l’offesa non sta neppure nella scusa in sé che trovi per me, ma
bensì nel fatto che offende a morte la
mia intelligenza, il pensiero tuo che precede la suddetta scusa fatta
all’occorrenza, ovvero che io possa bermi questa scemenza! E la butti lì così…
resti col fiato mozzo, la bocca a cerchio, sospeso, nell’attesa della mia
reazione, e in quell’arco di tempo persino l’amore, testa tra le mani, se c’è
stato, si allontana da te, si vergogna di te, mi guarda perplesso, come mi
dicesse “Io non lo conosco affatto” e prende le distanze, in maniera elegante,
di un uomo trafelato, svergognato che fugge via, con la scusa della fretta, dei
surgelati, della pastasciutta sul fuoco… non lo so, l’amore si dissocia da te,
perché… sei una scatola vuota… sei una storia senza ne’ capo ne’ coda, sei il
caffè col sale, uno scherzo da prete, sei la stretta di mano a un amico dopo
che hai appena pisciato, sei un attacco di colite, sei il compagno di banco che
non fa copiare, sei il bambino che fa la spia, e tra guardie e ladri tu sei la polizia, in classe sei il primo di
sicuro, quello che sa leccare il culo, poi sei colui che elargisce bontà in
cambio di pubblicità, e forse siamo tutti uguali, forse non esistono le ali per
noi, solo sentieri sporchi, adatti agli spilorci di sentimenti, forse dobbiamo
stare attenti a quello che ci serpeggia dentro, al sorriso di cartapesta che
tradisce la nostra protesta. In fondo siamo tutti infedeli anzitutto a noi
stessi, vorremmo essere buoni, giusti e benedetti, ma non è così, siamo
egoisti, arrivisti, narcisisti, spesso dove passiamo sporchiamo e non puliamo,
forse anche quando amiamo, ci siamo persi in una favola antica, e non ci
raccapezziamo un granché sul fascino del buono e del suo perdono. Ma tu sei un
vigliacco all’unanimità, io sono ribelle è un fatto di pelle, l’odore che fa, e
come la si sa indossare, come la si fa partecipare al battito del cuore, ma tu
quello non ce l’hai, tu sei stato condannato a grande clamore, venduto, alla
sbarra, all’ergastolo perché privo d’amore… Essere ribelli è una lotta
anzitutto dentro di te, è la via scomoda, è l’accusa logica, è la via tortuosa,
è accettare strane parentele, con la malinconia, la solitudine, anche la paura,
muta e sicura di sé. E notte, notte in abbondanza a vestire la tua pelle
stanca, stanca di sfidare “perché”. Non è la convenienza mai e sono sempre
affari tuoi tutti gli altri guai, è la coscienza tua che sventola come
bandiera, forse è una guerra persa ogni sera con il sogno di una battaglia
alata, sussurrata da angeli depravati mai stati comprati, sono le tue lacrime
quelle del mondo e con quelle vai affondo giorno, dopo giorno. Non ho nulla di
immacolato e sono piena di rabbia, di sbagli e cicatrici e di ore felici, non
ho soluzioni a niente e consigli meno ancora, ho incubi che mi prendono le
misure per vestire in maniera adeguata le mie paure, mi sento sempre fuori
luogo perché ogni luogo è dentro di me, eppure non li conosco abbastanza questi
paesaggi in abbondanza che prendono distanze infinite, e inciampo scandagliando
nel buio pareti e pendii, giochi di addii e morti apparenti, non mi parli, non
mi vedi e non mi senti. Accidenti essere quello che si è pesa da morire, non
mentirsi, non tradirsi pesa anche di più. La società vuole la tua felicità, la
tua serenità e la tua bontà, e il tuo silenzio al contempo, guarda un po’,
quello che avresti voluto anche tu da me, per questo non posso fare per te. E
mi becco da una vita dell’idealista, dell’estremista, della femminista e tu
qualunquista, tu paciere in ogni situazione, cordialità a profusione, tu sai
stare al posto tuo, eh sì! E’ così che si fa, tu ti accontenti e mischi gli
ideali con i finanziamenti e una causa santa per carità è ancora più urgente se
si guadagnerà, e palcoscenico il tuo sorriso, come i tuoi occhi stretti dove
l’anima se c’è ti chiude le palpebre, tira il sipario per te, mi unisco al
pubblico applauso di chi non sa esattamente chi sei e applaude l’istrione, io
applaudo il coglione ben nascosto in te, perché in fondo è pur sempre un’arte
quella di ingannare, quella di apparire per ciò che non si è, crederci per
davvero alle tue buone ragioni, crederti davvero sincero e esaltare le tue
bugie, dedicarmele ogni giorno e io a farle mie, sei la carta del regalo, sei
una bugia di fiocchi rossi e argento, sei il profumo sulla pelle, sei uno
stordimento lento, sei la vetrina, sei la pubblicità subliminale, quella che fa
più male, sei l’uomo che ho amato dentro che stento a dimenticare, sei
l’amicizia gettata nel cesso, sono stata il tuo tempo concesso, la bilancia
dell’amore, toccava terra dalla parte mia, si sollevava come mongolfiera verso
il cielo da parte tua, imparità di intenzioni, di emozioni e di verità, mi hai
detto saltiamo nel vuoto per gioco, io l’ho fatto e so come si sta, tu sei
rimasto lassù dal tuo pulpito, con le dita dei piedi arrischiati all’abisso,
Dio fai che non ci finisco, che come lo gestisco… l’ignoto, e poi il vuoto, e
la paura, lei tienila laggiù tanto non serve più, poi lei è l’artista e
l’intellettuale vera… lei dello stare male fa arte, lei del precipizio conosce
il vizio, io dalla mia ho più strategia, più giudizio, ho un equilibrio
interiore… per favore, non scherziamo, io non la amo, non amo nessuno io!
Rimani al sicuro, avvolto al calduccio della tua prevedibilità, viaggia il
mondo fino a che dovrai pure renderti conto che non hai mai viaggiato in te. Ti
dovrai chiedere perché, forse perché non c’è nulla da vedere, non c’è nulla da
sapere dentro te, forse sei apparenza, ti fai spazio nell’arte, oltraggio a
parte, ti imponi di forza e strattoni e rubi occasioni, in tutta onestà, leggo
la tua fragilità, la leggo nella tua impudenza e nella tua goliardia, la leggo
soprattutto ora che non ti amo più e sono solo mia, la leggo nel tuo egoismo…
se ti vedessi ora come ti vedo io, con questa neutralità, in questa terra di
nessuno, l’unica terra dove sei qualcuno, la tua identità spogliata, dagli
occhi oggi disingannati e tristi, domani gli stessi occhi di rabbia e
disprezzo, oggi ti detesto, domani non proverò altro che un vago ricordo di
eventi legato al tuo nome, senza traccia di sentimenti, vaga persino l’
opinione circa te, come uno che non conta più,
ieri eri tu.
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