lunedì 26 marzo 2012

E adesso che...


E adesso che…

L’umiliazione, la ricerca del lavoro più umile, poi la disponibilità, la sincerità, l’onestà e di contro il sospetto, e il più furbo, e il “ti fotto oggi se posso che domani è un altro giorno”, e lo spolpamento fino alle ossa. Divorano, e lo chiamano banchetto, i tuoi buoni propositi, succhiano ossicini unti delle tue brave intenzioni e ti rendi conto tardi che la tua anima s’è persa incastrata tra i loro denti. Sono licenziata sempre, ancora, prima di cominciare. Un qualsiasi lavoro. Mi si da’, tanto per… sfiducia a prescindere, i lavori mi scivolano addosso come preservativi lubrificati e stretti, altezza palle, da far diventare viola e scordare ogni orgasmo. Forse devo scrivere un romanzo decente, fare quadri eccellenti, visto che i lavori prendono distanza da me, e una mano rossa e callosa con le unghie lunghe, mi si conficca nel collo, mi trascina per i capelli e mi sbatte la faccia dentro questo foglio o dentro questa tela, o a spiare le quinte di un palcoscenico.
Quando sono diventata puttana, e neppure per soldi ma per fame,
quando puttana ho smesso di dipingere aspirando di servire ai tavoli per pagarmi un affitto in nero, là dove non arrivava l’aiuto nero di mio padre, anche lui nero,
quando sono diventata puttana e mi sono messa a impaginare libri d’altri che prendere ora in mano la penna brucia. Bella penna, l’ho fottuta al ristorante, quando mi hanno dato il “benservito” come cameriera, e io che lo credevo un complimento.
Quando sono diventata puttana, e di conseguenza ho allontanato quasi tutti per essere, meglio, di tutti.
Quando sono diventata così fragile e se lo ero anche prima perché non mi è mai pesato tanto come ora.
Quando ho smesso di desiderare un figlio, perché è meglio vivere per se stessi  e morire anche per se stessi.
Quando ho smesso di implorarti amore, e una saracinesca mi è cascata sulle labbra, di conseguenza pensarti di rado assomiglia a case dietro la nebbia o alla lingua quando si passa e ripassa su un dente scheggiato. Nient’altro.
Quando sono cresciuta indebolendomi, contorcendomi, seducendo e mai che io riesca ad essere, almeno, davvero stronza. Una puttana buona, attenta all’altrui dolore, una puttana che non conta i soldi e si chiede se chi le ha violato il corpo e il cervello almeno ha goduto.
E l’anima è finita a un incrocio, sfrecciano macchine tutte attorno e lei si guarda spaurita con occhi arancio, e io scendo dall’autobus, corro col fiato alla gola, sono in mezzo all’incrocio e faccio per salvare il piccione ferito, lui vola, meglio, si apposta sul cornicione. Potevano investirmi.
Ma la mia anima è lì, è dove c’è paura, è dove c’è qualcuno che non può difendersi, la mia anima è lì, ferita, sofferente, c’era il mio corpo e quello del piccione, ma l’anima era una e io ero lì. Ero lì, all’incrocio dove sfrecciavano le ruote. E quindi aveva senso, aveva senso andare in strada a raccoglierlo, sì, solo un attimo prima l’ho pensato: “è pericoloso”, ma poi ho buttato lo zaino sul marciapiede, lui era già lì, dove era pericoloso. E io sarei sempre rimasta lì anche se non mi fossi mossa. E io sono sempre lì dove è pericoloso.
Forse più pericoloso è perdere questo, che io non perda mai questo, che io possa rimanere fragile, una puttana buona, ma che io possa vedere sempre la mia anima intorno e non soltanto dentro.
Sì, volete le ossa? Sì, volete le guance? E poi le mutande, le labbra, i denti, e le mani e le braccia, coprirmi di sputi intravisti nei vostri sorrisi? Tanto sono altro, sono altro, sono quello che non si vede, non si compra, non si predispone, non si apparecchia, non sono la preghiera per ringraziare del cibo avvelenato, non sono il quotidiano, non sono le rughe sulla faccia di ogni cattiveria fatta a farvi invecchiare male, non sono labbra siliconate e fretta di andare, perché non sono mai io a selezionare personale, non sono mai io a giudicare, sono quella che viene giudicata, sono sempre quella inesperta, sono sempre quella sospesa a un filo che ondeggia e di altri è sempre l’ultima parola, sulla mia vita, sulla mia gioia, paura. Sono stanca di fluttuare nei gironi dell’inferno con buone intenzioni, curiosità a palate, ali ai piedi e scarso ossigeno nei polmoni. Sono stanca di fare la prova dell’olio cuore sulla merda oltre la staccionata e scivolarci fino alle ginocchia, con uno stronzo che mi dice il modo per tenermi in forma. Sono stanca di amori in scatola, frattaglie simmenthal, sentimenti sorridenti al macello e insalate di promesse uscite dall’orto biologico nella scatola cranica del tuo cervello. Ma le tue quando mai sono state parole? Io ricordo ravanelli, cipolle, bietole, cetrioli…e acqua piovana di un Dio ingiusto che piscia a pioggia sull’idea vaga di romanticismo.

E ADESSO CHE UN AMORE NON LO VOGLIO PIU’,
E ADESSO CHE UN FIGLIO NON LO VOGLIO PIU’,
E ADESSO CHE ALLE PROMESSE NON CREDO PIU’,
E ADESSO CHE POTREMMO, LEGGERI COME PALLONCINI CHE SCOREGGIANO IMPAZZITI, VERSO UN CIELO A OSTACOLI, COLPIRCI, SFIORARCI, BALLARE UN TANGO DI CATTIVE INTENZIONI E DI SPASSO SOLTANTO, PENSA ADESSO, NON MI FREGA PIU’ UN CAZZO.

1 commento:

  1. Siamo tutti puttane e sfruttati. Conserviamo a malapena l'ombra di un ideale. Ma forse è solo un ricordo. O magari ce lo siamo inventati.

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