giovedì 8 settembre 2011

Un giorno in Aprile

Hai saputo di questa mia colazione, lacrime e marmellata. Desiderio di parlare ai miei gatti e spiegargli con calma che  questa casa dall’affitto in nero non è mai stata eterna, che i soldi che tengo nel barattolo di yogurt da 1 kg stanno finendo e che in qualche modo cambierà questo destino, ma mi faceva male il fatto che non posso veramente dirglielo, che dovrò solo catturarli un giorno e tornare. E ritornare adolescente in casa di mia madre e ringraziare. E poi c’è chi crede e non ci crede e pensa che magari ci marci, che se cercassi meglio un qualsasi lavoro lo troveresti, che forse è colpa tua, che forse è il tuo carattere, che vuoi fare la Principessa sul pisello. Così alla mattina, quando esci per portare la spazzatura speri di non incontrare nessuno per non ripetere le stesse identiche frasi di un copione conosciuto: “Si, non ho ancora un lavoro”, ma incontri tutti, tutti quelli che quando hai un lavoro non incontri, e sono tutti ben disposti, proprio oggi, a farsi un po’ di cazzi tuoi, i loro sguardi scettici, proiettili sottili che ti sibilano ai lati, incrociandosi veloci, e a te sembra di giustificarti, e quando sei in casa e hai appena chiuso la porta alle tue spalle, sospiri e ti vergogni, ma più che altro nei tuoi confronti, perché hai sentito di umiliarti. E questa mattina è piena di tafani e forse quest’anno andrò via prima della stagione degli scorpioni, e vorrei salutare le mie api e tutti i ragni. Mentre me ne sto seduta in un divano sfondato, da dove esce gomma piuma, dove il mio gatto Marcos ha più volte pisciato. E allora quest’anno forse i miei soldi in nero non ci saranno, e ci sarà qualcuno che per questo rinuncia alle meches sui capelli, io mi perdo il tetto per un momento. Ideali che si contorcono all’amo, come esca fresca per barracuda che vanno di fretta. E siccome non ho più niente da perdere, rispondo alle vostre domande, con un giorno di pura mortalità sulla pelle e consapevole come le macchie di viole nella Primavera, vi sbatto il mio corpo nudo in terrazza a godermi l’ultimo sole, e scuri che si aprono e chiudono piano, come le note di una brutta canzone: “Non ha un lavoro e se ne resta lì con le chiappe al vento, col seno che fuoriesce di lato, con questo vento, in questo caso!”. Non sono mai stata un quadro per famiglie, ho sempre e solo “turbato”.  Perché se la barca affonda puoi fare tre cose: nuotare con l’illusione di approdare da qualche parte, morire tra lacrime e grida, o morire col sorriso nel sole. Invece, basterebbe suonasse il telefono, un qualsiasi lavoro e potrei cavarmela di nuovo, riunire il vostro “coro” di facce perplesse, i vostri dubbi  a cappella e raccontarvi che forse starò qui un altro anno che è un immenso tempo per portare altro scandalo all’ipocrita vostro convento, al rione dei mormoni, ma non squilla questo cazzo di telefono, non so che farmene di tutto questo silenzio, sembra di essere morti in anticipo, di essere fantasmi che si aggirano su chi il mondo invece lo fa girare, lavorando senza avere la coscienza di lavorare. E chi lavora muore uguale, e chi lavora soffre uguale, e chi lavora conta le feste, aspetta l’estate, e intanto la vita gli mangia le ore, e chi lavora rinuncia ai diritti, agli spazi, magari a pensare, perché bisogna ringraziare e lavorare, sarai uno schiavo senza diritti ma almeno non muori di fame, sarò uno schiavo, si risponde di là, ma almeno io ho un’identità, guarda, guarda, la puoi toccare… Si, la tocco, Ma non ti fa male?
Sarò uno schiavo, riprende quello là, ma almeno io ho un conto in banca e la mia vita è chiara, lineare, senza sorprese, senza pretese, conforme alle regole, con onestà, c’è crisi, per altri, passerà… non passerà, non è un raffreddore del cazzo, aumenterà, e ci sarà un giorno, un giorno diverso da un altro, inevitabile giorno che la gente ridotta alla fame e a crisi di identità, privata di dignità, scoppierà, ci sarà il giorno che chi si sta per buttare dalla finestra, dirà: “No, prima faccio festa!” e andrà a sparare nel culo a chi resta, sotto la voce protesta o sotto la voce crudeltà. Ci sarà il giorno che la gente si incazza, sarà come accendere una miccia, sarà tardi per sistemare le cose, per risolvere con altre parole, sarà solo Rivoluzione, Rivoluzione! Sarà massa di gente che non avrà più altro che questa rabbia innocente e tra sangue e violenza si farà il ritratto, l’esatto ritratto di questo periodo storico di merda.

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