venerdì 16 settembre 2011

Kattiva

Ultimamente i sogni mi sbattono in faccia il complesso d’Edipo, e risalgo da un tuffo in apnea sfiorando il sesso del padre e poi i pettorali e attrazione e disgusto. Ciuffi di peli che sono alghe sbagliate. Poi, poi chiedo asilo in una specie di studio e ci dormo, ci striscio, ci vivo. E’ una sorta di magazzino gestito da un losco individuo e gli faccio puntuale il resoconto di ciò che ho preso da uno scatolone aperto… Serviva per lo spettacolo ciò che ho preso, sono una teatrante senza un tetto, ne’ famiglia al momento. Si ho ricordi, ma sono in prestito. Sono sporca e ho i capelli lunghi seduti sul collo e l’uomo del magazzino compare ogni tanto. Mi attrae. In quel momento capisco che sono spacciata, perché sono attratta dai margini, dalla perversione, dalla sporcizia, sono attratta dall’uomo sbagliato. Però che piacere dormire sul pavimento, rannicchiata come un cane e dovere stabilire solo che fare al momento o se ho fame. Abbraccio mia cugina, in un altro frammento di vita onirica, mia cugina più piccola, e sono immersa fino al collo nella mia famiglia cattolica, seduta di spalle alla madre di S. e ad altri parenti neppure importanti al ricordo. E mi giro con rabbia, come una tigre, e minaccio di fare ciò che a stento vorrei dire, riguardo l’eresia della morte, della morte del Papa e mi spiego con calma e loro mi guardano tale e quale figlia a sproposito e ingrata, e brandendo alla vita la mia cugina piccola imbottita di scuse e morale, con la mano aperta, cingendole i fianchi e con autentica sfida, punto la spada alle loro labbra serrate e faccio roteare la croce… via… Dev’essere che stavo spiegando loro la mia personale posizione, quando mi sono esibita in un cabaret alquanto esilarante all’incirca la chiesa, ed è morto il Papa. Io ho solo eliminato una battuta. Poi sapevo che non mi capivano, così gli giravo di nuovo le spalle, ma il mio potere stava nel fatto che io ero sporca, blasfema e dormivo per terra e avevo una mano trattenuta sulla pancia di mia cugina, su un ricordo d’amicizia relativo all’adolescenza. Poi sono aggrappata al corpo del mio insegnante di recitazione e penso che lì si raccolga tutta la mia storia, siamo vestiti ma appesi uno all’altro in un abbraccio, meglio, quasi lasciassi il mio collo a un gancio. E lì era come iniziasse o finisse tutto. Come potessi dargli me stessa in un pugno, come ciondolo, che si racchiude serrando le dita al mondo. Dono. E lui sapeva di me e di dove dormivo, della mia ribellione, della rabbia, ed ero solo seduzione ma niente a che fare con la presunta bellezza, ero la parola stessa, sciolta sul suo corpo che scendeva prendendogli le esatte misure, centimetro per centimetro per amarlo meglio e per sempre.

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