martedì 3 maggio 2011

A Dora

E’ ottobre e sono spariti i caprioli dalla mia vista, spero che nessuno li avveleni come ora il mondo sta avvelenando me. I simboli mi si sono sciolti sulle labbra che supplicano atee preghiere disperate e costanti, come le piante che annaffio ogni giorno, lacrime di sguardi che aspettano di sbocciare un giorno con loro. E che il sole o la pioggia, quotidianamente, mi pieghino il capo e diano una qualche direzione al resto. Dora, ci hanno costruito scatole d’ossigeno per i nostri passi vicini, per i nostri cuori gemelli, per i nostri egoismi così semplici e infantili, così poco meschini. I simboli mi sono scesi caldi dagli occhi e sono finiti nelle tele che sostano dietro la retina, a cavallo del pensiero prima che sia parola. Accarezzo il tuo pelo, come l’occhio segue l’onda, annuso di te, come a riempirmi dell’odore di reti al sole ad asciugare, sento l’infinito dove dio non ha imposto preghiere e ridendo di spalle ha sussurrato che non è mai esistito. E io e te lo abbiamo sempre saputo e non lo abbiamo tradito, e io e te l’abbiamo sempre saputo e sempre trovato. Mi ero costruita un amuleto magico da bambina e sta succhiando piano suppliche dal mio capezzolo, quello a sinistra, dove il cuore da sempre è orientato. Non ho bisogno di nessuno, solo del tuo alito e della tua coda che scuoti. Non ho bisogno di nessuno.

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