domenica 10 aprile 2011

Come Pioppi nella stagione degli allergici...

Febbraio 2011


Ricordi volano sparsi come Pioppi nella stagione degli allergici, come una scomoda Primavera venuta a bussare quando dovrebbe esserci la neve, c’è quel ponticciolo, quell’acqua sporca, quel fondale incerto come la memoria, c’è quel sole strano che punta alla mia faccia e il suo bacio caldo scivolato sulla guancia, distratto sulla fronte, come un saluto che si deve, ma già si guarda oltre, c’è il mio sole dentro, nascosto alle stagioni, ma girasoli interni spostano il capo giallo in incaute direzioni, sogni ingenui sbocciano ai lati dei miei e dei tuoi passi. Poi c’e quel tuo sorriso, il tuo eterno sorriso come un caffè con panna gettato in pieno viso, e poi capelli d’angelo annegati dentro l’agata sospesi nel tuo petto... E poi tutti i tuoi progetti, e poi quel mio grande silenzio, interrotto spesso solo da un sorriso un po’ più spento, stavo in fondo solo alla base dell’arcobaleno, le tue promesse vaghe scivolate sul mio seno, era facile trovarti, seguire tracce del tuo ego, era facile eccitarti, bastava “toccare” il tuo narcisismo, magari con un certo ritmo, bastava diventare specchi dove tu potessi vederti, bastava essere appena un passo dietro ai tuoi passi, era facile ingannarti, bastava buttarsi contro le tue gambe come i gatti, eri talmente pieno del tuo amore per te stesso che bastava entrare nel tuo vortice per farti credere di essere complice di queste giravolte, di essere causa e merito della tua adrenalina, e tu che tutto muovi e tu che tutto sei, che con i tuoi occhi e la tua risata promuovi e bocci vite altrui, in un epilogo folle di vite gettate a caso da atea non mi immagino un interrogatorio sul peccato, ma se in un inferno onesto, un angelo messo a pretesto mi puntasse il dito, o mi chiedesse flebile con la voce già in sorriso, con l’intenzione a ghigno, a scherno delle ali : “Quanto hai davvero vissuto, e pensi che ti sia bastato?” Risponderei: “Forse non ho abbastanza vissuto, ma sapessi quanto ho immaginato, sapessi quanto ho immaginato”, ho immaginato da avere la pancia piena, da avere esaurito lacrime, e i sorrisi riciclati, quelli preventivi, quelli provacati solo da altri sorrisi, e così il tuo pensiero era vestito di nero, ti muovevi nel tuo incedere sciolto, col senso del peccato al tuo fianco e tenevi le pagine dei libri d’arte tra le mani sopra la testa come paracadute, precipitavi, sottolineavi, succhiavi dalla cannuccia, profetizzavi, avevi labbra carnose nate sopra le mie parole, che non avevano alcuna intenzione, stavano come i lupi a fare cerchi concentrici in pensieri labirintici, annusavano teoremi, stavano poggiate sui denti come dolmen in deserti dimeticati da dio, sempre a gara, le mie stupide parole, con labbra disposte a baciare soltanto, che sarebbe stato il concetto migliore, di un taglio sul cuore che irrigava il terreno di sangue preparandolo alla raccolta del grano.

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