sabato 12 febbraio 2011

25 giugno 2007

Deglutisco e subisco trasfusioni di sangue d’altri per via etere durante un telegiornale  che non ha ne’ il mio respiro, ne’ il mio battito cardiaco, ne’ la mia regia, ne’ i miei colori, ne’ le mie censure, sento l’aria dividersi in frammenti e crollarmi rumorosamente ai piedi e i tuoi occhi scatole d’ossigeno. E i tuoi occhi vetro di Murano, trasparenti, ma un esperto vetraio ci soffia fuoco attraverso e da dentro, è per questo che se ci sei tu mi tuffo in quello sguardo profondo come lago senza fondo e mi raggomitolo all’altezza delle fiamme calde che avvolgono i tuoi pensieri fatti della ricchezza più grande degli ideali in cui credi, o fosse solo nel porti domande.
Ma gli amori sono spiagge idonee che balene stanche con il cuore in estinzione e la vita intercettata da radar scelgono per morirci spiaggiate.
Mi vedi? Sono tra tutti i morti distesi, nelle gocce di sangue rapprese dentro le mani innocenti lasciate aperte a creare nidi sporchi con polpastrelli al cielo.
Mi vedi, sono in tutti gli occhi annegati nel pianto di soprusi e violenza, mi senti? Sono in tutte le offese fatte a chi non può difendersi.
Mi senti, quando col pennello sfioro la tela per dimenticare un tempo che non sento, leggi a cui non appartengo, mi vedi, quando uso la penna come una pistola e buco fogli senza vita nella speranza nuda che l’ipocrisia per mano al cinismo, non mi rincorra o pesti  lacci di scarpe, che non hanno nulla a che fare col perimetro dei miei passi o le orme delle mie idee e le ombre dei sorrisi che mi precedono, inchinandosi di lato al mio volto, che è oltre lo spazio e non c’entra nulla con la meridiana antica e ferma dell’ora di tacere. Ho occhi che come imbuti raccolgono lacrime che piovono dal cielo e poi mi scendono giù, giù per il collo, è acqua fredda, immobile. Sono le lacrime di tutti, dolcemente salate e io le raccolgo. Le trattengo come tra montagne che sembrano braccia pesanti, conserte, ferme. Le cullo e le espongo alle stagioni, proprio come la mia pelle. Sono pozze salate, dove gente nuda, privata di tutto, rincorsa dal deserto alle spalle, si china e con la lingua comincia a leccare, c’è sempre da bere, ci sarà sempre da bere, mentre il sole ci accarezza le scapole nude e percepiamo lentamente di esistere, ci cadono altre lacrime a ingrossare il bacino, lacrime subito bevute, con occhi rivolti verso l’alto ad attendere un segnale  d’agguato. Come prede. Le mie parole, come le mie tele, le vedo sul fondo, deformate, come segreti svelati soltanto a chi percepisce mancanza, privazione e fame.

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