domenica 23 gennaio 2011

Ottobre 2007

Distacco




Ottobre 2007

Ho detto t’amo a uno spettro non poteva provare lo stesso sentimento, ho detto t’amo ad un uomo che ama a gettone, ed ora è semplicemente finito il tempo concesso, ho detto t’amo a un genio privo di umiltà, per questo mi è parso di passare con un dito attraverso le sue lacrime senza più trovarlo, le mie erano salate, sospese come granelli di sabbia e mi aravano le guance, le mie lacrime erano prese all’amo e si contorcevano senza convenienza alcuna, senza alcuna strategia, e senza alcuna ipocrisia, non c’è ipocrisia quando con la bocca spalancata, si agonizza cercando aria che non arriva, le mie lacrime percorrevano sentieri noti, come la strada di casa, con le chiavi in mano anzitempo per aprire la porta, e finire sopra le mie labbra a spazzarsi i piedi da ricordi recenti e sciolti, una base d’acqua calda, naufragava in quello spazio, come solo l’insenatura di scoglio accoglie l’acqua di mare, di proposito. Ho fatto amicizia col serpente e l’avvoltoio, l’ho fatto per placare piano un dolore intollerabile, per la giusta dose di veleno, utilizzata per difesa e per concessione liberarmi della zavorra dei nostri cuori dimenticati a marcire altrove. L’avvoltoio e il serpente ora mi stanno fieri al fianco e io con loro, avanziamo, mentre alle nostre spalle monta un mare rosso e dal profondo piroettano bolle in superficie. Ho scritto parole, le ho sotto la corteccia cerebrale, le estraggo come pallottole, non so usarle, come quando si nasce e ci si trova le dita e non si sa ancora che farne, così provo se le mie parole magari sono buone col pane. Al momento giusto ho tirato fuori un amante come da un mazzo di carte, era il mio arrivederci con le labbra dipinte, era il vento e la gioia e le mani alla faccia. Non basta. Non cambia. E soprattutto non resta. E neppure se ne va. Ho portato la mia educazione e cortesia alla porta, scusandomi del disordine che ho dentro e che male mi gestisco ma di cui evidentemente non riesco a fare a meno e non se ne sono accorte di essere state congedate, perché a volte sono inavvertitamente educata e cortese, mentre arroto coltelli sulle mie difese. Ho un rapporto stretto con Tolstoj, soltanto. Ho la neve che mi scende dalla gola al seno, poi sulle labbra, poi nei denti e ora che la bevo credo di vedere tutto chiaro. E’ un’illusione data dal freddo del ghiaccio. Questo silenzio che mi accarezza le guance e mi racconta favole, mi bacia i capelli, ho la sua mano sul mio collo, mi sospinge con il palmo aperto sulle mie scapole quando salgo le scale, si addormenta al mio fianco e mastica piano i miei ricordi, le tue attenzioni che c’erano, i tuoi progetti che non iniziano mai e le tue scuse senza fine e mi reprime, mentre mi mordo le ginocchia nel tentativo di esistere ancora. Mi addormento con l’avvoltoio e il serpente e trovo le giuste distanze, tengo sul seno ciclamini come frecce, da scoccare per uccidere il mio istinto, l’avvoltoio lo fa a pezzi, gli sorrido e andiamo avanti, strani nemici, complici a trascinare orme nel deserto, strani amici giudicati forse troppo presto.



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