giovedì 20 gennaio 2011

Giugno 2007








Giugno 2007

Precipitando dalle mie labbra, ti persuadono i denti prima delle parole, che sono spezzate, sono solo veicoli per avere la scusa e creare sentieri con pupille che a piedi nudi possono scorrere, così da entrare nella tua bocca, abbracciare la tua lingua, e raggomitolarmi all’altezza della tua gola, a un passo dalla galleria. A un passo dalle intenzioni, a un passo dal farmi deglutire. Le tue pupille mi dicono di cosa so ora. Ho consapevolezza della pelle bruna e di dove poggiano i capelli, ho pensieri che galleggiano e sono all’improvviso tirati sotto da pesci che se li ingoiano e li risputano. Ho pensieri come molliche di pane, nell’acqua li vedo raggiungere lenti il fondale, essere sminuzzati da branchi argentati, come pasti scostanti di cui lascio cibarsi i miei occhi, eternamente incantati dalla discesa nei mari o dalla mano aperta sull’acqua all’angolo tra il cielo e l’idea di cibare il mondo e la mia fantasia. E sono passati venti minuti di totale assenza su curve di livello anni luce di distanza dalla mia coscienza. Ogni giorno, sandali sul pontile, canottiera azzurra con bretelle a x sulla schiena, trecce bionde spettinate, gambe nude, piccoli lividi bluastri, mani prensili, agili e veloci, sguardi sempre un passo avanti rispetto ai passi. Passi su passi ogni giorno per vedere il cane a macchie sul porto. Legno marcio. Odore di molluschi, marciume eterno profumo. Il cane è morto anni dopo, ha mangiato una testa di pesce con dentro l’amo. Trecce bionde, passo fermo, sandali, piedi piccoli, mani prensili, sguardi sempre un passo avanti rispetto ai passi, canottiera azzurra con bretelle a x sulla schiena, gambe nude, lividi bluastri… Questo è il tempo.  La morte è il tempo. Broncio eterno, di spalle un faro, luce impazzita, senza senso, mare mosso, cuore sospeso ad attendere barche mai partite, mai arrivate, traiettorie rimaste sconosciute, cuore ingrossato, stagioni sulla pelle, tentati ritorni. Ho ingoiato un giorno un amo nella testa di un pesce e lì è finito il mio gioco. Sono uscita di spalle dal tempo, dal tempo col broncio con nuovo silenzio. Ho inglobato il mondo. Gli occhi sono diventati ostriche, la terra e il sole le perle che vi ho chiuso dentro, chi li rivuole indietro mi deve pescare, o aprire o bruciare in acqua bollente o glieli posso vendere al mercato del porto, quello che fanno i bambini, con la licenza di un sogno, e sguardi rivolti a gambe infinite e irraggiungibili per concetti pratici e piccoli, nei pugni l’infinito. Ho fagocitato l’odore del mondo che era porto e gabbiani, ho annotato tutti i pesci distesi come me, vicino agli ami. Ho accarezzato tutti i cani… Ogni giorno ho capito che non è domani. Ho preso lunghe distanze dal tempo, ho fatto tante domande alla morte, mentre nera si avvolgeva a nascondere parti di sole, mentre nera sorrideva, seduceva, come donna tra infinite parole, come gonna a raccogliere polvere e gettare su asfalto colore, come donna che non ascolta, travolge. I bambini non hanno paura. Curiosità a milioni di trucioli, rabbia a punti interrogativi. Spiegami il tempo, quello che un giorno ho visto e il giorno dopo non c’era. Spiegami l’inganno che serve a ogni mio compleanno, spiegami la fretta e la risata e i tuoi denti splendidi nella vita ingoiata, spiegami il pesce che corre all’amo, spiegami il cane che mangia la testa di pesce, spiegami il padrone che muore nel raccontarmelo ma ha pelle dura di pescatore. Spiegami perché mi hai mostrato sto quadro se non c’è stata altra soluzione, dimmi dov’è l’assassina che ho celato e che sento graffiarmi mentre le sue orecchie sono appoggiate sul mio sterno, aspettando esitazioni nel battito cardiaco, dimmi dov’è la parte che ti rassomiglia, sadica per nascita e non per scelta, mentre la tua gonna gitana ha spazzato tutto e io sono finita dove una lumaca di mare ha lasciato stanca il suo guscio. Sono altri venti minuti, la pioggia continua a cadere, la fantasia mi si allarga ai piedi bagnando la strada e un punto è caduto dal cielo, pesci sono guizzati lungo tutto il corpo, erano pensieri fuggiti nell’ora di andare, come uno schiaffo sull’acqua dove c’era la pace.




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