domenica 16 gennaio 2011

21 Novembre


LEGAME


21 novembre

A mezz’ora dalla fine di questa giornata di lavoro, a una settimana e qualche giorno dal varcare la porta di una nuova casetta in assenza d’anima con le pareti nude e con mobili che non abbiamo scelto, ma forse, presto ci apparterranno, apparterranno alla nostra vita quotidiana. E le nostre paure che si incrociano, corrono insieme e si sovrastano per poco, e ancora corrono parallele come binari equidistanti, diffidenti e concentrati su direzioni uniche, tocchiamo le stesse stazioni perché l’ha deciso un terreno comune, ma quello che vede chi sta a destra non è quello che vede chi tiene la sinistra. Le tue paure di abbandono, la mia rabbia, la tua libertà pretesa, la mia libertà concessa, due sconosciuti che pensano di conoscersi in parte, poi la mia pittura, la tua neve, le mie parole e le tue taciute, il mio allungare la mano, il mio ritrarre la mano, ora. Non voglio aiutare più nessuno da oggi senza prima aiutare me. Avevo una rabbia cieca, che era sangue e budella e ho stuprato una tela, ma poi il viso dipinto era quello di una santa con la propria figlia, visi antichi, sguardi eterei, un colore vinaccia che copre i capelli castani di entrambe e visi bianchi e apparecchiati sopra occhi immensamente grandi, dipingevo la pace, l’amore e un legame forte, ma la mano aveva una spada e non un pennello e squarciavo pensieri duri e ne uscivano occhi languidi e le mani mentivano la foga, la rabbia, l’oltraggio, i colori mi sbattevano in faccia la vita, l’abbandono, la quiete e da quella tela, infine, mi sono sentita tradita, smentita, come se la mia rabbia fosse stata fatta passare a forza da uno scolapasta e mostrasse ora qualcosa di calmo, rappreso, innocuo o che resta. Quello che era stato trattenuto ero io sbattuta al muro con il rumore di uno straccio zuppo e con occhi spalancati e sgranati a guardare quello che i pensieri e non le intenzioni avevano dipinto, le mie intenzioni erano fatte di odio, sangue, lotta e vittoria conquistata fino all’ultimo morso, e questa impotenza e il blu che non mi serviva, ora. Il blu non era neppure il colore giusto in quel momento e non riuscivo nella prospettiva di quelle due donne a creare l’abbraccio. Alla fine come a una donna a cui hanno strappato un sogno di carne, non avevo bisogno che qualcuno provasse a capirmi, amo quando come un serpente sono pronta in un equilibrio perfetto a cercare l’istante in cui, ipnotizzato il mio angelo, io stessa, ma solo per difesa, darò a me stessa la morte. Perché siamo tutti innocenti assassini, ci uccidiamo, ci assolviamo, ci facciamo un processo sommario e cancelliamo con orrore quello che è troppo meschino e brutto a vedersi, io invece voglio difendermi a spada tratta proprio quando qualcosa di serpeggiante, scivolandomi dentro, creerà in qualcuno un attimo di sconcerto, di smarrimento o disprezzo. Di noi va compreso e accettato tutto, di me voglio scordarmi di essere un oggetto di cristallo trasparente e indistruttibile, mi rompo facilmente e ho parti oscure e profonde tante quante quelle solari e splendide.

E così è tutto finito, ieri, di sabato, nove mesi insieme, neppure due di convivenza, sono qui in una casa che non è mai cominciata, non abbiamo appeso un quadro, c’era solo la tua valigia sempre pronta, come una minaccia, ci sono foto della Corsica e più niente è stato aggiunto nell’album dopo l’estate, un inverno non c’è stato, la tua fatica nello stare qui e con me è il ricordo più vivo di tutto. Ho cominciato il giorno stesso con una doccia e il giorno dopo, che è oggi, ho lavato lenzuola, casa, volevo lavare via noi. Ho un affitto doppio da pagare e i tuoi messaggi lontani e prevedibili, perché tu ti ricordi di noi solo quando sei abbastanza lontano. Ancora non credi di avermi persa, sono tornata già due volte, perché non questa? Ho già cambiato la serratura, ho chiuso, e me lo dico per rassicurarmi, che ho finito di supplicare amore, che amore non si può chiamare. A volte non capisco cosa è successo, tutta la vita ha preso a girare, mi ha sbattuta addosso a te un vento forte e dopo non ho più visto dove andare, mi sto asciugando le ali come un insetto tirato fuori dal vino, mi piaceva l’odore ma ci stavo affogando. Quando le ali saranno asciutte volerò via e non importa dove. Dovrei essere comunque felice, ho una casa e sono sola, l’ho sempre voluto questo, l’ho diviso con l’uomo sbagliato, capita, ora mi rialzo, se fosse un film, se fosse un film lo direi buttando fumo fuori dalla bocca, o appoggiata alla spalliera di una sedia con una birra in mano, forse mi colerebbe matita nera, e avrei seni appiccicati alla canottiera e capelli spettinati, seni piccoli appiccicati alla canottiera da uomo e un’aria di indipendenza data soprattutto dall’essere lercia e scalza. Ma è la realtà e quasi mai nella realtà c’è una regia che c’entra. Ora mi rialzo, come sempre. Ho la possibilità di conoscermi a fondo, davvero. Sono lontana dalla tua insensibilità, dalla tua rabbia repressa, dal tuo desiderio malato di una libertà giocattolo che è una scusa per non crescere mai, lontana dalla gente di cui ti circondi, vuota, superficiale, banale come queste parole in fila, arida più del deserto, apparente e fragile, priva di succo, avvizzita, uguale. Non c’è un figlio e non l’ho mischiato il mio sangue col tuo. E quello che mi manca sono le bugie belle a cui credere perché fossero la chiave a un altrove che ora mi lascia delusa. E questa casa non sa di te, non ci sono neppure abbastanza ricordi per piangerti, la sera le due ore per illuderti di vivere con me, non mi hai dato niente, niente…e ora cosa ti aspetti che pianga o rimpianga, posso solo rimpiangere di averti creduto. Credo che ti sarà impossibile essere credibile ai tuoi stessi occhi, figuriamoci ai miei.

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